Fatta l’Europa sarebbe stato opportuno fare anche gli europei. Ma non si può chiedere troppo ai nostri spiriti nazionalisti. Ancor prima che politica è una questione culturale. Cosa fanno le istituzioni dell’Unione per creare una identità da cittadini europei? Ben poco. E per questo bisogna aggrapparsi all’Eurovision, l’unica occasione televisiva per poter gettare uno sguardo alla finestra dei nostri vicini e scoprire come e cosa cantano.
Non è detto che siano scoperte esaltanti, ma almeno un’idea del gusto di islandesi, olandesi e abitanti dell’Azerbaijan, ce la possiamo fare. Per non dire che tra rivalità, colpi bassi e cordate di nazioni potrebbe anche essere visto come un piccolo manuale di geopolitica.
L’anno scorso, dopo aver fatto di tutto in passato per perderla (almeno così la raccontano i soliti complottisti) l’abbiamo anche vinta, condannandoci al grande privilegio di essere il paese organizzatore. Ma ne sappiamo abbastanza?
L’Italia è tra le big five, insieme a Spagna, Francia, Germania e Regno Unito, in quanto Paesi che danno maggiormente risalto all’evento, e per questo accede direttamente alla finale. Non è così per San Marino, ed è questa la ragione per cui Achille Lauro l’apostata dovrà sottoporsi alla selezione della semifinale, mentre Mahmood e Blanco si esibiranno direttamente nella finale di sabato 14. Ma se andiamo a sfogliare la storia della manifestazione non sembrerebbe sia uno status del tutto meritato.
L’Italia fu nel 1956 tra i Paesi fondatori, ma dal 1981 cominciò a saltare alcune edizioni addossando la colpa alla scarsa qualità dell’evento, poi a una presunta scarsa attenzione del pubblico. Dal 1997, l’anno in cui l’Italia mandò in gara i Jalisse, fu addio definitivo. Anni di totale disinteresse, grazie al quale anche Repubblica è potuta entrare nell’albo d’oro della manifestazione. Nel 2009 nessuna tv italiana era interessata a mandare in onda l’evento, per cui il broadcast fu concesso gratis al sito di Repubblica e fu commentato dal sottoscritto insieme a Ernesto Assante. Ma ahimé quell’anno in gara non c’era nessun italiano per cui tifare.
L’Italia è rientrata nella grande famiglia della canzone europea nel 2011 e da lì c’è stato un crescente interesse culminato nel 2020 con la quasi vittoria di Mahmood e l’anno scorso col trionfo planetario dei Måneskin.
Vale la pena ricordare che prima di loro a vincere l’Eurovision sono stati solo in due: Gigliola Cinquetti nel 1965 con “Non ho l’età” e, udite udite, Toto Cutugno nel 1992 con “Insieme”. Insomma per tornare europeisti convinti l’Eurovision l’abbiamo dovuta vincere. E se l’Italia rilanciasse l’indimenticabile Giochi senza frontiere? Senza frontiere, per l’appunto, e forse giocando giocando impareremmo a conoscerci meglio.