La montagna di carta
Cosa significa fare l’editore. Spiegato da due decani del settore
Il difficile mestiere di chi fa libri. Un po’ condottiero, un po’ guerriero. Lo raccontano Teresa Cremisi di Adelphi e Naveen Kishore di Seagull in questo dialogo d’autore
Un dialogo con due grandi editori sul loro difficile mestiere. L’occasione è la prima edizione del premio per l’editoria intitolato a Cesare De Michelis, l’editore e fondatore di Marsilio scomparso quattro anni fa.
Uno di fronte all’altra, Naveen Kishore, editore e fondatore di Seagull Books, e Teresa Cremisi, presidente di Adelphi e prima alla guida di Garzanti, Gallimard e Flammarion, si sono incontrati qualche settimana fa a Venezia, durante l’inaugurazione del festival Incroci di civiltà. Kishore ha vinto il premio e Cremisi ha presieduto la giuria che glielo ha assegnato.
Un premio a un editore universale assegnato a Venezia mi pare abbia un suo senso preciso. Venezia è la città di Aldo Manuzio dove, nelle stanze della fondazione Giorgio Cini sono custoditi incunaboli preziosissimi, opere d’arte di forma e contenuto. Venezia è la Repubblica che per la battaglia di Lepanto ha inviato una flotta di golette, galee e galere, cioè imbarcazioni da guerra e commerciali. Venezia è una indicazione di cosa è e cosa fa l’editoria: mischia, media, sta in bilico, azzarda e ferma sulla carta parole e forme. Talvolta, anche, manda al macero. Illumina e oscura, innova qualcosa che è fermo dalla sua prima apparizione tra gli umani manufatti: il libro.
Se è vero che la Rosa è solo un nome, la forza è proporzionale al prodotto di massa e accelerazione e la Gallia è divisa in tre parti, il libro ha le pagine. Così sia. L’editore è qualcuno che, dato un oggetto immutabile, lo innova continuamente. Non si può fare altrettanto con le forchette o con le sedie che pure hanno la stessa forma dalla loro prima apparizione.
Questo dimostra che il libro ha una funzione nella cultura umana e dunque bisognerebbe immediatamente smettere di porre e porsi la domanda: «A cosa servono i libri?».
Così evito e chiedo a Cremisi perché è ragionevole e opportuno assegnare un premio a un editore. «Perché è un lavoro difficile», risponde sorridendo, schiva. È difficile, in effetti, anche raccontare cosa sia un editore, a che punto lo si diventi singolarmente, e anche cosa renda un gruppo di persone una casa editrice o un marchio riconoscibile. Le copertine? Il catalogo? Kinshore oltre a pubblicare libri pubblica, in effetti, un catalogo (il più simile per l’editoria italiana è Adelphiana 1963-2013). Il catalogo di Seagull somiglia al Mahabharata, è una tarsia e «un catalogo di vite in forma di libro ed è filosofico sia nel modo in cui modella ed espone il contenuto, sia per come si presenta, nella sua estetica», racconta Kishore: «Evidenzia una decisione, una resistenza al mondo e nel contempo empatia con la condizione umana, come per madame Woolf, gli artigiani sono anche artisti! È di certo una biografia. Non solo dell’editore... anche se questo è ovvio, ma è pieno di “vite degli altri”. Il catalogo di un editore ha a che fare con le intenzioni, più di tutto». E intenzioni siano.
Torno a Lepanto, una battaglia navale, perché ogni volta che si legge di Teresa Cremisi (interviste) o si legge ciò che Teresa Cremisi scrive («Ho una immaginazione portuale», incipit del suo romanzo “La Triomphante”, Adelphi, 2016, trad. E. Di Lella e F. Sala) spuntano immagini e parole di vele e di acqua: «Dal timone di Gallimard a quello di...», per esempio, o sue foto, col bavero alzato, dove sembra Corto Maltese.
Ecco, Cremisi ha riportato, rientrando in Italia successivamente al trentennio francese, un’idea e una rappresentazione avventurosa dell’editoria, piena di vento. Quando le chiedo come è cominciata la sua vita da editore risponde: «Avevo diciotto anni e decisi che una casa editrice era il luogo che faceva per me. Scrissi tre o quattro lettere a editori milanesi, mi risposero tutti. Guardai su una cartina quale era la più vicina a casa, scartai la Rizzoli perché avrei dovuto sobbarcarmi ore di tram, e mi presentai alla Garzanti in via Spiga. Preparavano un dizionario italiano-francese, il mio curriculum stava in due righe, diceva che ero bilingue, di proposito non avevo menzionato l’età. Quando mi videro si spaventarono e tre giorni dopo ricevetti una lettera che mi consigliava di ripresentarmi qualche anno dopo, alla fine degli studi universitari. Ma poi ci ripensarono, mi organizzarono un tempo parziale che mi permetteva gli studi e mi assunsero. Non ero proprio un editore, ero un redattore. Un buon inizio». Le avventure, questo insegnano i romanzi, non si annunciano mai dalla prima pagina: Edmond Dantès sta tornando a casa dopo aver fatto una piccola carriera sulla nave sulla quale era imbarcato, Dracula comincia per una compravendita immobiliare, e Cremisi diventa Cremisi spedendo un curriculum, come quasi tutti.
Kishore invece diventa editore di notte, o questo è il suo racconto, ma le storie d’Oriente di frequente cominciano per sogno o illuminazione. «Prima della mia nascita editoriale facevo il progettista di luci a teatro. E giacché il teatro non è pagato mai abbastanza perché si possa sopravvivere e provvedere al sostentamento di una famiglia, come toccava a me da quando avevo 16 anni, mi sono “reinventato” in un mestiere che da noi sia chiama “impresario” e che ai giorni nostri porta il nome di event manager. Il primo evento che ho organizzato è stato un concerto rock, il 5 marzo 1972. Si apriva con una canzone chiamata “Seagull Empire”. Il concerto aveva avuto molto successo in tutta Calcutta e, più tardi, organizzando il secondo concerto rock mi sono portato dietro il nome “Seagull Empire presenta”... Molto dopo, il 20 gennaio 1982, mi sono svegliato nel cuore della notte, avevo l’impulso a creare e guidare una casa editrice di arte, cinema e teatro. Così è nata Seagull Libri. E ora compiamo quarant’anni!».
Cremisi, alla domanda su quale sia la relazione tra editore e lettore risponde: «Tenue. Certo è meglio essere anche un lettore. Ma l’editore è un mestiere più variegato, implica doti contraddittorie e accetta anche i difetti. Si può essere editore in cento modi diversi». Il modo in cui lo è Kishore è: «Leggiamo e dunque pubblichiamo. C’è un legame tra lettori e editori come c’è tra leggere e decidere cosa pubblicare. Gli editori si fidano del loro istinto, di ciò che sentono nella pancia, dell’intuizione di curare certi contenuti, fare libri, condividere idee e pensieri con potenziali lettori in tutto il mondo. E questo riguarda la condizione umana. Un’altra cosa: i lettori sono grandi detective. E un editore è il migliore dei detective!». Avventura di mare e di guerra da un lato, e investigazione dall’altra. Si ricreda chi pensa che editoria e scrivania fanno rima.
Ma quindi, incalzo Cremisi, cos’è l’editoria? «Ha a che fare con il giardinaggio. Voglio dire che si piantano dei semi, si aspetta, nel frattempo si fanno altre cose: questo per quel che riguarda il lavoro “letterario”. Scherzi a parte, l’editoria è un mestiere ibrido. È figlia della letteratura, arte o artigianato, come preferisce, e del commercio. Senza commercio non c’è editoria. Senza un’idea precisa dei contenuti da pubblicare non c’è editoria. Ci aggiunga un po’ di estro, un po’ d’audacia, non dimentichi sensibilità al tempo inteso come panorama culturale e politico». Estro e audacia sono ancora termini di avventura.
E i lettori, le lettrici? Quegli strani viventi, sparsi e nascosti, turisti e viaggiatori nelle librerie fisiche e argonauti di store online, chi sono? Esiste, soprattutto, l’ossessione dell’editore per il lettore? È profilazione merceologica o atto di ontologia, fede? Per Kishore «Certo, c’è ossessione dell’editore per il lettore. E passione. Fede. Speranza. E cosa più importante, intuizione. In ciò che pubblichiamo. Non di chi sia il lettore, ma di ciò che pubblichiamo. Quando scegliamo cosa portare nel mondo sotto forma di libro, il lettore non è tra le nostre principali preoccupazioni. È il contenuto a sostenere il lettore. I lettori trovano la loro strada verso i libri e non viceversa. I lettori sono esseri sensibili e spesso solitari. È la natura del libro e i pensieri che incarna a portare i lettori fuori dai loro nascondigli!». Teresa Cremisi ha un’altra versione, «Ossessione non so. So che un editore bravo i suoi lettori li inventa. O almeno li arruola sotto la sua bandiera».
Arruolare. Ecco qui. Uomini, donne, cavalieri, armi e amori di due editori internazionali. E di Cesare De Michelis, il quale diceva che i libri servono in mezzo agli esseri umani, nel mondo, in mezzo agli altri. Da soli su un’isola deserta, per esempio, di libri non si ha bisogno.