Ho visto cose
Con un passato televiso saldamente fondato sui reality stile Mediaset, era difficile aspettarsi dalla conduttrice il programma del secolo
di Beatrice Dondi
C’era grande attesa per il ritorno televisivo di Alessia Marcuzzi. E la domanda semplice semplice, di quelle che sorgono spontanee, è banalmente: perché? Cinquantenne in stile Dorian Gray, oltre cinque milioni di follower e una sorta di entusiasmo endemico che la accompagna da tempo, Marcuzzi nel suo passato recente e remoto non ha propriamente mai dato l’idea di essere un talento incompreso prigioniero suo malgrado della morsa di casa Mediaset.
Nata alla rincorsa delle coppie potenziali di “Colpo di fulmine”, cresciuta a pane e Festivalbar, era approdata come conseguenza naturale in quel mondo frutto di intelligenze maldestre altrimenti detto reality. Delle sue edizioni all’“Isola dei Famosi” si ricordano momenti altissimi, tra cui il “cannagate” denunciato con moralismo assertivo da una ex pornostar e la pubblica umiliazione di Riccardo Fogli in pelle e ossa da parte di quel signore di Fabrizio Corona.
«Sono pronta a fare altro», disse in chiusura dell’esperienza fra i naufraghi, lasciando aperti spiragli di buon gusto, giusto un attimo prima di finire alla conduzione dell’isola delle tentazioni, dove davanti al tradizionale falò cercò di gestire con garbo i disappunti amorosi di tal Damiano detto er Faina.
Dunque, eccezion fatta per la felice parentesi con la Gialappa’s di “Mai dire gol”, in cui lasciò libero spazio alla sua oggettiva autoironia, il percorso televisivo di Alessia Marcuzzi ha sempre fatto sottilmente intendere che non sarebbe approdato con facilità al programma del secolo.
Certo, veniva difficile supporre una quota imbarazzo di tale portata come quella presente nel suo “Boomerissima”, ma che avrebbe smentito la sicurezza dell’annuncio del consueto ottimismo del direttore Coletta («Se Rai Due facesse solo programmi di intrattenimento si risveglierebbe più facilmente. Quando i prodotti sono ben realizzati e coerenti, possono incontrare il favore del pubblico») era facilmente prevedibile.
Nato sulla suggestiva onda dell’inarrivabile Diaco, lo show di prima serata ospita l’ennesimo scontro generazionale che fa sembrare i giovani assai più anziani dei vecchi e riesce nell’impresa non facile di trasformare la leggerezza in semplice vacuità. In pratica, una sorta di come eravamo che non ce l’ha fatta, in cui si costringono glorie passate a cantare sempre la stessa canzone. E dove Alessia Marcuzzi, con perenne aria stupita da fotoromanzo, riesuma glorie recenti scongelandole dai reality di cui sopra.
Insomma, niente di nuovo su diversi fronti. Solo, come avrebbe detto il Mattatore, un grande avvenire dietro le spalle.
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DA GUARDARE MA ANCHE NO
Non sarà un’operazione nostalgia, come dice Minoli ma il suo Mixer (Rai Tre) di nostalgia ne scatena parecchia. Non tanto per il faccione multischermo del giornalista, quanto per gli ospiti di un’Italia che fu: Berlinguer, Vitti, Yourcenar, Troisi, Mastroianni. L’elenco continua, lo sconforto avanza, la visione merita.
È vero che amare (il calcio) significa non dover mai dire mi dispiace, ma dopo due anni l’abbonato Dazn vive quantomeno con una punta di rammarico. La rotella del buffering è ormai compagna di curva, il rimborso per il match non visto si aspetta con puntualità e il desiderio di tifare per le bocce è sempre più prepotente.