Fuori luogo, fuori dai denti, fuori misura. Così si descrive Chiara Francini nel suo quinto libro, “Forte e Chiara”, e così si mostra sempre, come una fiera di paese piena di colori e profumi, da cui pescare di banco in banco oggetti e sapori a sorpresa, per riempire un paniere mai colmo. Attrice, conduttrice, autrice, scrittrice, Francini fa tutto, tocca tutto, ride, si commuove e si racconta. «Scrivere un romanzo è un atto di incoscienza e coraggio, significa sentirsi un po’ Dio. È mettersi a nudo, far vedere tutto quello che ho dentro, ma, venendo dalla merda, sono abituata». La definisce merda, in realtà il suo essere una ragazza di provincia, una «paesana» è la terra a cui attinge, come Tara per Rossella. «Ho avuto un’infanzia straordinaria ma volta al sacrificio e al dovere. Mia madre è moderna e lavoratrice e al tempo stesso molto tradizionalista: il fatto che io abbia la lavastoviglie la fa soffrire, fosse per lei andrebbe ancora a lavare i panni al fiume. E questo suo essere un po’ un chiasmo l’ho assorbito anch’io. Non mi vergogno né oggi né ieri. E quindi sono ancora felice di quello che ho. Io dico sempre che ognuno è quello che ha mangiato da piccina». E tutto questo, il risultato di questa strano amalgama dagli occhi enormi, che esce di casa con la prima maglietta trovata nell’armadio, senza un filo di trucco e una luce che le viene da dentro, come quelle che restano accese nella sua casa tutto l’anno, ha una presa forte sul pubblico, su chi la legge, la guarda e l’ascolta.
«Credo di piacere alla gente perché sono sincera, parlo di cose autentiche e condivisibili, che nascono dalla mia formazione. Io non mi sono smemorata, il corpo ha una memoria e oggi faccio quelle cose che mi rendevano felice da piccola».
Non fuma Chiara, non beve, ma mangia, con l’entusiasmo proprio dell’infanzia. «A proposito cara, puoi portarmi una briochina?», chiede mentre parla, sorride, si guarda intorno e si concede con una naturalezza sconcertante ai diversi gruppi di ragazzi che le chiedono una foto. Un entusiasmo a tratti contagioso, di una donna che ha contezza di sé. «Ah quello sempre. Pregi e limiti. Serve chiarezza sugli ingredienti che hai, così poi puoi capire che tipo di cena puoi cucinare e poi fare di necessità virtù. Io sono certa del fatto che la consapevolezza di sé sia l’unica possibilità di felicità che hai. Anche se non hai avuto un’infanzia molto bella come la mia devi imparare ad amare la realtà che hai a disposizione».
L’infanzia, la mamma, il babbo, la nonna, lo zio. La famiglia di Chiara Francini è una parte costitutiva del suo essere, ne scrive, li cita, li ricorda. «Pensavo che se fossi stata la prima della classe mi avrebbero voluto più bene. Tutti noi vogliamo rendere fieri il babbo e la mamma», dice, mentre squilla il cellulare all’improvviso: «Dai mamma non posso sono con una giornalista de L’Espresso».
Chiara Francini gira l’Italia, in continuazione, per presentare i suoi libri e guardare in faccia i suoi lettori, uno per uno. E poi le tournée teatrali, un amore che non passa («Io sono egotica ma il principale bisogno è essere amata: per questo amo il teatro perché è un dialogo carnale vivifico, in fieri col pubblico».). Tanto cinema, quasi trenta film tra cui l’ultimo di Leonardo Pieraccioni in uscita il prossimo anno e “Addio al nubilato 2 – L’isola che non c’è” di Francesco Apolloni su Prime Video dal 17 ottobre («Cinema o piattaforme? Ah per me è uguale, io sono da bosco e di riviera»).
Sul piccolo schermo la sua è un’occupazione in senso buono che viene da lontano: «Amo fare la televisione perché è molto sincera, non perdona. E se va male, pace, torni a casa e ti fai un bel maritozzo con la panna. Cerco di scegliere solo progetti che mi facciano crescere, cose in cui io do e altrettanto mi viene restituito. Sono curiosa, amo interagire con gli altri e col mondo che mi circonda». “Love me gender” e la “Domenica in” con Pippo Baudo sembrano due programmi davvero diversi tra loro. In realtà alla base c’è sempre l’ascolto, la curiosità, l’importanza delle relazioni con gli altri.
Adesso è pronta a partire con la terza stagione di “Drag Race” passata a Paramount +. «Questo programma è la mia casa. Le competenze che porto in giuria? Cervello e tette. Entrambi quarta misura, coppa D. Praticamente una quinta».
E poi c’è stato Sanremo, con quell’intervento a tarda notte che ha fatto ribollire gli animi. «Allora facciamo chiarezza: non era un monologo sulla maternità ma un’osservazione sul favoloso senso di inadeguatezza, sull’altalena che riguarda le donne e in molte ci hanno voluto leggere questo aspetto. Ma io non ho mai voluto dire che non voglio figli, che li voglio, che non mi vengono. Io ho fotografato una riflessione vera, perché noi siamo imbevuti di questo. Noi bambine cresciamo con l’esempio della Madonna, un modello grande e luminoso». Beh anche abbastanza impegnativo cara Francini . «Ma sì, diciamo abbastanza impegnativo» - sorride. «Però ti viene da pensare a un certo punto che potresti fare un bambino e poi magari il corpo ti fa il dito medio, allora ti dici magari sono sbagliata, oppure poi lo fai e ti rendi conto che non è sto grande miracolo di cui ti avevano parlato tutti e allora ancora di più ti senti sbagliata». Nel solco della famiglia tradizionale, dunque. «No, io sono molto legata alla mia ma credo che famiglia sia un insieme di persone che si tengono per mano. I bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà? No, hanno bisogno di amore. Punto. Ed è fondamentale creare un alfabeto dell’amore e questo riguarda tutti i rapporti». E qui torniamo al tema dell’educazione. «Alle donne manca proprio l’educazione al potere. Quando penso a Elly Schlein o a Giorgia Meloni me le vedo sedute in punta di sedia, mentre i maschi sono sbracati. Noi donne non abbiamo la tradizione di occuparla questa sedia». Praticamente una fotografia su quella che è la condizione della donna oggi.
Ma quindi Chiara Francini femminista? «Il termine femminismo ha bisogno di essere risemantizzato. No, non sono femminista, io sono femmina, nel senso che sono consapevole di quello che sono le donne, so che io per prima devo fare venti per arrivare a tredici. Sono arrabbiata, certo, ma provo a esserlo in maniera proficua: detesto perdere tempo». E avere una premier è un buon segnale per questo Paese? «Non abbiamo bisogno di essere contente perché una donna in quanto donna è a capo del governo. Deve arrivare chi vale. Io sono ben consapevole che alle donne vengono date meno opportunità, che vengono pagate meno dei colleghi uomini e probabilmente io stessa guadagno meno di un attore maschio. Ma lo so e lavoro perché questa distanza diminuisca. Basta immobilismi in cui si frigna, è ora di muoverci, sviscerare, parlare. Il dialogo salverà il mondo, serve un lavoro profondissimo di alfabetizzazione. Io odio la matematica ma quando tu impari a memoria un postulato poi quello resta dentro di te e ti serve, tuo malgrado».
Bisogna parlare, educare, dice la saggia Francini, per creare un mondo in cui nessuno possa temere i lupi in agguato da cui ha messo in guardia il buon Giambruno: «Ma che ti devo dire, io ho sempre avuto una gran fiducia in Cappuccetto Rosso». Anche questa è una forma di politica, un voler vivere la società dal suo interno per cercare di avere voce in capitolo. «Il mio è un alfabeto carnale, non politico. Non voglio mettermi una scritta sulla mano pensando di aver fatto il mio dovere. Io sostengo da sempre la comunità Lgbtqi+ ma preferisco come gesto politico scegliere determinate trasmissioni, scrivere la rubrica sulla Stampa, i miei libri, quello è il mio fare politica, agire ogni giorno per quello in cui credo. Si può fare politica anche scendendo dall’autobus».
D’altronde ogni volta che Francini apre bocca in tv si scatena il finimondo. L’ultima volta è stata quando a “Carta Bianca” ha letto un passaggio del suo libro sui cosiddetti «sinistri». E apriti cielo. «Non sapevo che sarebbe diventata la fenomenologia della Treccani», dice con la sua risata contagiosa. «Io pensavo a chi non gliene frega nulla degli ideali ma è ricco sfondato, va in giro col Capitale sotto il braccio e si mette in bocca le belle parole solo per apparire. E questo per me è un sacrilegio. Come andare in chiesa a bestemmiare. Credo profondamente che i valori della sinistra debbano fondarsi sull’abbattimento delle disuguaglianze, sulla cultura come strumento di rivendicazione, credo debba parlare agli operai. Io vengo da Campi Bisenzio dove c’è la casa del popolo, sono cresciuta con l’immagine di Berlinguer e di Pertini, insomma vengo da quella roba là. Per me la politica è una cosa seria. Io ho in testa il discorso che Calamandrei fece ai giovani nel ’55 e ogni volta che ci penso piango». E si commuove mentre lo dice, al punto che usando una frase del suo libro viene voglia di chiederle di giocare ad amicizia con lei.
Ma cosa vuol fare da grande Chiara Francini? «Ah boh, quello che faccio ora, d’altronde sono una donna e posso far tutto».