Teatro

Milo Rau: «La mia Antigone in Amazzonia è un simbolo di resistenza»

di Sabina Minardi   3 ottobre 2023

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Il regista svizzero Milo Rau

Il regista svizzero porta in scena una delle più amate figure della tragedia classica. E la trasferisce nella regioni del Brasile. Terra di violenza ma anche di donne e uomini che non si arrendono

Primavera 2019. Milo Rau, nome di culto nella drammaturgia per la sua potente capacità di indagare il presente e di metterne in scena i conflitti e le contraddizioni, si reca nello Stato brasiliano del Parà. Le foreste bruciano: spregiudicati interpreti del capitalismo, decisi a sostituirle con coltivazioni intensive, incalzano gli antichi proprietari delle terre. È qui che l’ex direttore del teatro NTGent, ora alla direzione del Wiener Festwochen, entra in contatto con le lotte degli indigeni e con il Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra. E decide di trasformare quella tragedia contemporanea in paradigma di uno sviluppo fuori controllo che minaccia la sopravvivenza stessa dell’umanità. Mettendo insieme attori professionisti e no (Frederico Araujo, Sara De Bosschere, Pablo Casella, Arne De Tremerie, l’attivista indigena Kay Sara in video). E collegando la resistenza a un sistema che tutto divora alla fierezza di una Antigone disposta a dare la sua vita contro Creonte.

Chiude la Trilogia degli Antichi miti, cominciata con “Orestes in Mosul” e seguita da “Il Nuovo Vangelo”, l’opera “Antigone in Amazzonia”, che debutta in prima nazionale al Teatro Argentina di Roma il 3 e il 4 ottobre, nell’ambito di Romaeuropa Festival 2023. Uno spettacolo che se riecheggia l’Antigone di Sofocle ha un preciso episodio sullo sfondo: il massacro di Eldorado do Carajàs. Una strage, avvenuta il 17 aprile del 1996, dove diciannove contadini, che avevano occupato per protesta un tratto di autostrada, furono uccisi dalla polizia militare. Corpi lasciati senza sepoltura. Oltraggio e condanna, nel mondo antico, a non avere mai pace, come per Polinice, fratello di Antigone. La dissidente.

Milo Rau, con Antigone, emblema della lotta tra legge morale e legge degli uomini, siamo nel cuore della tragedia. Che cosa significa evocare questa figura nel suo percorso teatrale?
«Antigone rappresenta il no più radicale. Non solo ai dettami politici, ma un radicale no, perché non ha paura di morire, all’intero sistema capitalistico: nello specifico, alle leggi di Creonte. Antigone è una donna libera. È personaggio esistenziale: la personificazione della resistenza».

La resistenza oggi è donna?
«Guardando alle lotte di oggi si può avere l’impressione che sia femminile e che lo sarà ancora di più in futuro. Ma credo che questo stia già accadendo da diverse generazioni. Per esempio, la mia è la prima generazione cresciuta più o meno completamente secondo una legge femminile, nella totale assenza di un sistema patriarcale a partire dall’infanzia. Io non ho conosciuto padri e credo di far parte di una generazione che non li ha conosciuti. Ora noi abbiamo davanti un’altra generazione: dove una donna come leader morale o come figura dissidente potente e carismatica denuncia che è necessario un altro futuro e un’altra civiltà. È esattamente questo ciò che viviamo oggi. Naturalmente mi riferisco al principio del femminile e non a un’identità biologica».

Un momento dello spettacolo “Antigone in Amazzonia”, in scena per REF il 3 e il 4 ottobre

 

Cosa la appassiona del teatro classico, e cosa di esso vive nella sua idea di teatro?
«Credo che, per ragioni sconosciute, i Greci, quando crearono quello che oggi chiamiamo “teatro” come evento pubblico, fossero molto consapevoli del cammino ontologico che la civiltà stava facendo in quel preciso momento, mentre passavano dalla società tradizionale a una sorta di democrazia moderna. I Greci hanno scisso il genere dalla natura, dall’essere una cosa sola con la natura, procedendo verso una civiltà della tecnica e mettendo in discussione gli dei attraverso la ragione e la filosofia. Tutti questi cambiamenti fondamentali, questi antagonismi sui quali si basa ancora la nostra società, sono originati lì. Ed è come se il significato tragico di questa scissione tra l’umanità e il cosmo fosse già nel cuore della tragedia greca. Questo mi interessa: andare nell’abisso dell’interiorità, leggendo e poi mettendo in scena queste tragedie».

Lo spettacolo conclude il suo viaggio intorno alla violenza: personale e collettiva. Qui siamo di fronte alla violenza ambientale, urgenza autentica del nostro tempo. Anche il teatro ha la responsabilità di promuovere una coscienza ambientalista?
«Penso che il teatro sia una macchina che produce sempre consapevolezza. La cosa che conta di più è la presenza o la produzione di questa consapevolezza all’interno di una messa in scena. Per me, fare teatro non significa produrre consapevolezza per qualcun altro, ma generare una produzione artistica nella consapevolezza di ciò che l’arte può fare. Credo che questo sia il modo di avvicinarsi a una vera consapevolezza nel teatro. Insomma non è uno specchio per lo spettatore. È lo specchio di chi fa teatro».

La sua Antigone è una critica al capitalismo e a uno sviluppo dissennato. Esiste ancora la possibilità di invertire le cose?
«Penso che la nostra civiltà sia in qualche modo condannata e debba essere sostituita da un altro modo di concepire la relazione tra ciò che ho chiamato natura e umanità o passato e presente o Dio e le leggi morali di una società umana. La seconda riflessione che posso aggiungere è che poiché la civiltà occidentale, greca, tragica, si basa proprio su queste separazioni, il cambiamento non può venire dall’interno di questa civiltà, ma deve provenire da un’altra civiltà, da una società globale. E penso che questo sia il prossimo passo hegeliano che dobbiamo fare tutti insieme, creando quello che molti chiamano realismo globale, una consapevolezza globale e non locale. Credo che questo percorso collettivo possa essere creato anche da progetti come “Antigone in Amazzonia”, “Orestes a Mosul”, “Il Nuovo Vangelo” o “La Clemenza di Tito”. Questi progetti sono un laboratorio per ciò».

Milo Rau, ma lei ha fiducia nella politica? E il teatro è strumento politico?
«Il filosofo francese Jacques Rancière ha distinto tra “la politique” e “le politique”: la politica quotidiana che cerca una sorta di compromesso all'interno di un sistema che porta alla catastrofe. E il Politico, che è il no radicale di Antigone, per esempio, lo sforzo di aprire uno spazio di nuove decisioni per un futuro veramente diverso. Quindi, il Politico è lo spazio dell'arte e la politica è lo spazio della società. E penso che proprio se si unisce il Politico - quindi l'Arte - con i veri movimenti della società civile come il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra brasiliano, movimenti che rappresentano una vera alternativa alla democrazia compromessa dell’era neoliberale, allora si può diventare, come artista, strumento della propria epoca».