Non si placa la scia emotiva seguita alla pubblicazione della “nuova” canzone beatlesiana “Now and then”, e le ragioni sono piuttosto evidenti: la voce di John Lennon innanzitutto, da ovunque provenga, è un ciclone emozionale e ci riporta alla centralità della sua figura. Il fatto è che già dire “nuovo” singolo di un gruppo che si è sciolto 53 anni fa la dice lunga sulla singolarità del fenomeno Beatles. Ma è innegabile che pur nella intoccabile magia beatlesiana, l’effetto dell’ascolto del pezzo è decisamente strano e riporta in auge un tema ricorrente di questi ultimi anni.
Alla fine, ha senso? È legittimo completare qualcosa che decenni prima è rimasto incompleto in un cassetto? Si tende a pensare che Paul McCartney abbia una sorta di lasciapassare, un permesso senza limiti di operare come meglio crede sul patrimonio beatlesiano, e in un certo senso è proprio così, ma alcuni segnali incerti ci sono. Intanto la copertina, modesta, opaca, senza vita, e poi soprattutto il video che, pur essendo stato realizzato da Peter Jackson, è di rara bruttezza. E questo non va bene.
Per non dire che la pubblicazione del singolo sembra la ripetizione di quanto era già successo nel 1995. Con un’operazione praticamente identica era uscito “Free as a bird”, e quello sì fu sconvolgente, perché inatteso, spiazzante, era un modo di ricordare al mondo cosa era stato perso col brutale assassinio di Lennon. Anche lì, c’era un demo di un pezzo inedito che fu completato dagli altri tre Beatles.
Sono operazioni comunque difficili, delicate, discutibili e la sensazione di non necessarietà deriva soprattutto dal fatto che un evento così eccezionale, così unico, era già successo. Si pensò all’epoca che fosse irripetibile, e invece si è dimostrato perfettamente ripetibile. Ma il dubbio rimane. Ha senso mettere mano a progetti che per diverse ragioni sono rimasti incompleti? È legittimo? È corretto?