Televisione
Nei talk show l'informazione è sparita: c'è solo il tifo da stadio
Dal Covid all'ambiente, dalla guerra in Ucraina al conflitto in Medio Oriente quel che conta non è provare a capire ma da che parte schierarsi. Per una Babele tra insulti, urla, risse. E troppe parole a vanvera
Mario Giordano, con la sua faccia ordinariamente attaccata alla telecamera di “Fuori dal coro” l’ha riassunto in poche parole: «Chi non urla è complice». Perché l’importante è tifare. «Io non riesco a stare dalla parte dei più forti. Non riesco a stare con i tagliagole, con l'impero dell'Islam. Io sto dalla parte dei deboli, dell'Occidente». Non si capisce bene cosa sia successo ma a un certo punto il giornalismo televisivo si è sentito in obbligo di «stare dalla parte di», è salito in curva e si è messo a gridare a squarciagola, come Vittorio Gassman allo stadio ne I mostri di Dino Risi. Forza Roma, forza Israele, forza Gaza, forza vaccino, forza Zelensky, i talk show si sono infognati in una deriva tale da cui è ormai difficile uscire. In questa tossicità che rasenta l’inutile perché della verità o meglio dello sforzo di arrivare a sfiorarla non importa un granché a nessuno, quel che conta davvero è lo schieramento frenetico a cui si sentono costretti proprio coloro che dovrebbero tentare uno sguardo dall’alto sui temi bollenti, per stare solo dalla parte dello spettatore. Invece niente, dai che il tempo stringe, come in un tweet.
Così gli studi si trasformano in derby, o con Zerocalcare o contro di lui, o con Patrick Zaki o niente e chi dovrebbe tenere il fischietto ben stretto al collo si strappa la divisa da arbitro e si unisce alla prima squadra che capita. È la tv dell’emergenza, che si nutre della catastrofe come il boa de Il piccolo principe, e gonfia la sua pancia in attesa della digestione del successo di share. Che peraltro, come dimostrano i dati sia Rai che Mediaset e La7, ha smesso di premiare l’infodemia generale.
Il dramma quotidiano, che dura per mesi e mesi dopo i quali le parole sono solo un rumore indistinto è cominciato prepotentemente col disastro Covid. Le squadre scendevano in campo per guardarsi in cagnesco, venivano pescati brandelli di freak per straparlare di vaccino sì vaccino no, microchip, grafite, effetti indesiderati, dove tutti ma davvero tutti sembravano eletti a opinionisti, non importava a quale titolo l’importante era il dire. A prescindere. Un malcostume invasivo come il virus, quello di andare a pescare nei bidoni dell’estremo, cure a base di kiwi, i fan del paracetamolo, i nemici del green pass, l’ex questora negazionista e così via. Questa novella modalità di dibattito si pasce con agio dell’emergenza climatica, ed ecco che i ragazzi di Ultima generazione da una parte sono sbeffeggiati dai negazionisti climatici dall’altra a suon di strepiti: «Ecovandali», «Servi sciocchi» e così via.
La guerra in Ucraina, a un passo dalla serie B del campionato televisivo perché al momento tira meno del Medio Oriente è l’occasione d’oro per creare il personaggio Alessandro Orsini, nato e cresciuto negli studi della “Carta Bianca” targata Rai e teletrasportato su Rete 4 senza avergli dato neppure il tempo di spettinarsi. «Mi scusi se cerco di alzare il livello» era diventata la carta d’identità del professore in quota Putin, e per tenere fede al motto si è prontamente prestato al dibattito su Hamas in una rovesciata da applausi. I toni sono altissimi, la giravolta anche: «Il professor Orsini è libero di dire stronzate in questo Paese», dice con pacatezza Alessandro Sallusti. «Il professor Orsini non vive in un kibbutz ma in un Paese libero governato da Giorgia Meloni e dice quello che dice per 7-8.000 euro al mese». A quel punto la padrona di casa Bianca Berlinguer si irrita il giusto: «Non posso tollerare che si insultino le persone nel mio studio» e il pubblico quasi quasi ci casca.
Altro giro altra ruota, il caso principe di Elena Basile, le cui opinioni diventano esse stesse oggetto di tifo. «Bene brava bis» e «Si vergogni della sua erudizione» sono frasi pronunciate spesso in contemporanea. Chi sta con lei e chi la zittisce, chi la osanna e chi al contrario la invita esclusivamente per deridere le sue posizioni a prescindere, perché a quel punto l’ascolto di quella che si è autodefinita «l’unica voce del dissenso» diventa un momento del tutto trascurabile del dibattito. Al momento però Basile si è ritirata sul canale YouTube di Alessandro Di Battista che tanto il contraddittorio serve a poco, mentre proprio l’ex parlamentare 5 Stelle è diventato il novello bomber da talk show. Soprattutto di quelli targati La7, un po’ “In Onda”, un po’ “DiMartedì”, perché urla il giusto e non si sforza neanche lontanamente di trattenere quel lieve senso di ribrezzo per il vicino di poltrona, chiunque esso sia.
Alza la voce e si scontra con Donatella Di Cesare, si azzuffa con David Parenzo («Quella di Israele è una vile rappresaglia, sono le Fosse Ardeatine al contrario»), strilla a labbra strette a Giorgio Mulè: «Non avete il fegato di condannare», mentre Italo Bocchino lo ammonisce: «Tira fuori le palle». E sempre a “DiMartedì” litiga con Fabrizio Roncone e se la prende con la stampa tutta: «Vergogna, ecco perché non vi legge più nessuno. E così sei sistemato». Tipo cicca cicca cicca. Nel salotto di Augusto Minzolini su Rete 4 invece l’insulto ha solo tre sillabe: «Pagliaccio». E se lo rimpallano Piero Sansonetti e Pierluigi Battista: «Allora per te sono tutti pagliacci», «Non fare il pagliaccio», «Il pagliaccio sei te», «Basta che non mi interrompe quel pagliaccio».
Con questo clima di opinionismo di parte, mentre latita con convinzione l’approfondimento rivolto al telespettatore, si staglia l’intervista a Matteo Salvini. Ospite di Nicola Porro a “Quarta Repubblica”, il ministro dovrebbe parlare del Brennero, «ma quello che sta accadendo in Israele non mi può lasciare indifferente e lo dico da papà». E questa a onor del vero si era già sentita. Poi discetta sui terroristi con una dovizia di particolari neanche fosse una Wikipedia da Grand Guignol, se la prende con la Cgil in piazza ma soprattutto, svela la nudità dell’imperatore senza vestiti nuovi. E lo dice, nello studio silenzioso: «La cosa più incredibile è l’imbecillità italiana di qualcuno che parla a vanvera di quello che non sa, per esempio di Israele. Ma cos’hai nel cervello, la polenta?».