Danza

Carla Fracci, l'eterna fanciulla sulle punte

di Francesca De Sanctis   9 novembre 2023

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L'étoile della danza Carla Fracci, scomparsa due anni fa

L’étoile che il mondo ha sempre celebrato. Ma anche la donna meno conosciuta. Che rivive attraverso i ricordi di artisti, amici, familiari. È “Codice Carla”, il film di Daniele Luchetti sulla grande ballerina

Leggiadra, elegante, luminosa, unica Carla Fracci: un mito, un’icona, l’étoile che il mondo non ha mai smesso di celebrare. Se n’è andata poco più di paio di anni fa (era il 27 maggio del 2021 e aveva 84 anni), eppure sembra sia rimasta sempre tra noi. Basta fare zapping tra i canali televisivi ed eccola che danza in “Giselle” con un’altra leggenda della danza, Rudolf Nureyev, o in coppia con il ballerino danese Erik Bruhn in “Romeo e Giulietta”.

Applaudita ovunque si esibiva, “l’eterna fanciulla danzante” (come la definì il suo amico Eugenio Montale) era molto amata anche da chi non era certo un esperto di balletto. Lei era semplicemente di tutti. La fermavano per strada, la baciavano, la veneravano come se avessero di fronte la Madonna. Ma per capire chi era davvero Carla Fracci e cosa l’ha resa un’icona vale la pena vedere “Codice Carla”, il film documentario scritto e diretto da Daniele Luchetti, in arrivo nelle sale il 13, 14, e 15 novembre, prodotto da Anele e Luce Cinecittà con Rai Cinema, con le musiche degli Atoms For Peace edite da Thom Yorke e Sam Petts-Davies, con Thom Yorke anche nel ruolo di Music Supervisor.

Questo film racconta di un’altra Carla, di una donna, prima ancora di una ballerina, che prende vita attraverso le voci di artisti, amici, collaboratori, intervallate con vecchie interviste, filmati quasi dimenticati, spettacoli da rivedere o da scoprire. E così ascoltiamo le parole di Roberto Bolle, Jeremy Irons, Marina Abramovic, Carolyn Carlson, Eleonora Abbagnato, Alessandra Ferri, Enrico Rava, Chiara Bersani, Beppe e Francesco Menegatti, Luisa Graziadei, Vittoria Regina, Gaia Straccamore, Hanna Poikonen. Difficile definire cosa sia esattamente quel “codice” che sembra accomunare artisti tanto diversi. Prova a spiegarlo il figlio di Carla, Francesco Menegatti, architetto: «C’è un codice segreto fra gli artisti, è una sorta di materia oscura che lega tutte le galassie, qualcosa di inspiegabile, di totalizzante, di misterioso», dice.

Figlia di un tranviere e di un’operaia, nei primi anni del dopoguerra Carla fu iscritta alla Scuola di ballo del Teatro della Scala perché alla mensa distribuivano un piatto di pasta. Realtà o leggenda?: «È quello che mi raccontava mia madre. I miei nonni pensarono di iscriverla lì per garantirle un pasto», spiega Francesco: «Mia madre mi raccontò anche che non fu scelta subito. Ad un certo punto l’insegnante disse: “La gà un bel faccin”, e così presero anche lei. Quindi un po’ per caso, un po’ perché qualcuno ha avuto la giusta intuizione è iniziato il suo percorso. Fatica e convivenza con il dolore sono sempre state le caratteristiche che poi ne hanno fatto l’artista che è stata, fino alla fine. Mia madre era un piccolo guerriero».

Un ritratto dell’artista nel documentario “Codice Carla”

 

Ma nella vita privata «era una madre amorevole, sapiente, saggia, per quanto le è stato concesso. Era una donna di poche parole, ma quando venivano dette erano quelle e basta. Era molto autorevole». Con lei, da bambino, Francesco ha girato tutto il mondo. Ma ci sono stati anche anni in cui Carla si è esibita in provincia, nei luoghi di lavoro, nei piccoli centri e addirittura sotto i tendoni, pur di avvicinare il pubblico al balletto. «Nella sua identità di donna e di artista ha contato molto quel periodo. Ci ha lasciato una grande dote di umanità e di bellezza», ricorda il figlio.

E a proposito di bellezza ecco cosa dice nel documentario Chiara Bersani, performer che trasforma il suo corpo disabile in “atto politico”: «Io credo che la bellezza sia una questione di abitudine, è più facile trovare la bellezza in un corpo e in una forma di danza concordata e raccontata per anni, piuttosto che trovarla in una forma nuova. Eppure esiste, si muove su altri canoni, ma è altrettanto dignitosa».

È la bellezza, dunque, che cercano gli artisti? «Io credo di sì», risponde Chiara dal Regno Unito, dove è in tournée con “Sottobosco”. «Provocazione, disordine, nuovi canoni di bellezza, questo cerca l’essere umano». Poi racconta del suo rapporto con Carla Fracci: «Per me è una donna mastodontica... Non c’era mai stata una relazione diretta con lei, finché mi è stato chiesto di fare una mia versione della “La morte del cigno”. In quel momento sono stata chiamata ad affrontare la danza classica, a vedere da vicino  chi abitava quel mondo dal quale mi sentivo esclusa, e dal quale mi sento tutt’oggi esclusa, anche se vengo almeno riconosciuta come interlocutrice, che è già un passo avanti importante».

Quando si danza, c’è sempre un cervello dietro, ricorda Carla Fracci nel film, che  intrecciando passi di danza, performance, schiene inarcate alle interviste tratteggia un ritratto inedito di lei. «Era una persona autentica», dice Carolyn Carlson. L’ultimo pensiero, prima di morire, è stato per i più giovani, come ricorda il figlio: «Diceva che la sua esperienza alla Masterclass della Scala su “Giselle” era stata una delle cose più belle che aveva fatto. Ai giovani credo abbia lasciato un’eredità densa e antica che arriva da lontano. Lei era soprattutto l’incarnazione di una sapienza che eternamente si tramanda di maestro in maestro».