La terza stagione dello show di Prime Video mette insieme piccole star social e grandi dal repertorio solido. Ma il tutto si regge praticamente solo sulle spalle del comico siciliano. Che ancora una volta si conferma incapace di deludere

Che peccato: “Lol 3” non fa ridere. Inutile girarci intorno. Un po’ come quelle belle case, bella vista, bella luce per carità, che però ti lasciano lì in piedi all’ingresso, coi fiori in mano per un invito a cena e nessuna voglia di accomodarsi con gli ospiti. Questo terzo giro del rodato show di Prime Video ha raccolto in un salotto personaggi che passano dal completamente inutile all’inutile, con qualche eccezione certo (a partire dalla regina Massironi) ma sempre con l’ostinazione che porta a fare battute casuali, una dopo l’altra senza riuscire a dare quel senso compiuto che a volte solo la risata accogliente riesce a offrire.

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Unico faro, la luminosa presenza di Nino Frassica, gigante bambino, capace di rendere il surreale amabile cifra quotidiana.

Aria incolta come una barba, cappello d’ordinanza e quell’atteggiamento di chi sarebbe stato comunque a proprio agio anche da un’altra parte, si porta dietro quell’attitudine stupita coltivata dai tempi del frate da Scasazza, passata dai papillon del bravo presentatore e poi approdata al tavolo di Fabio Fazio.

Così Antonino Frassica da Messina entra nello studio e rilascia il suo corpo comico, regalando, in mezzo ai tanti nomi della media e nuova era, il senso solido del mestiere realizzato ad arte.

Il meccanismo di “Lol” ha sempre una sua ragione, con il senso claustrofobico della risata che implode, ma come spesso accade la quantità non è un valore. Non è difficile far ridere, è durissima invece lasciare nel pubblico quel senso di compiutezza della battuta, tanto da farlo diventare un regalo all’improvviso, mai fine a se stesso. Perché Frassica non fa il comico, è comico. E intorno a questa che appare come una sottigliezza si costruisce un intero universo. Fatto di battute, quiz e frasi sbagliate, ma soprattutto di atteggiamenti, di postura, di intenzioni e di non detti.

A volte gli basta uno sguardo o una barzelletta di cui non è neppure importante il finale per risultare fresco come una rosa. Più da grande giovane che da grande vecchio, a cui i suoi compagni di viaggio tendono con il rispetto dovuto ma al tempo stesso con quella sgradevole consapevolezza di essere altro, anche un po’ a fatica.

Non basta infatti portare sul quel palco televisivo sprazzi di repertorio, seppur solido. O facce di gomma, versi, sequel o ancor peggio, tormentini pescati a mani basse da mondi diversi, rapidi ed evanescenti come quelli nati e consumati via social. Che dimostrano ancora una volta come sia difficile far funzionare i linguaggi trapiantati in scatole differenti. O per dirla meglio, con la lapide targata maestro Frassica: «Tu sei influencer? Ah, mi spiace».

 

DA GUARDARE MA ANCHE NO

“Ennio Flaiano straniero in Patria” è uno di quei documentari da vedere, ma alla bisogna anche da rivedere (su Rai Play), dove non solo si dimostra la bellezza della parola intellettuale ma in cui si sente persino la viva voce dello scrittore, alternata a quella di Neri Marcorè. Insomma, come passare bene un’ora e mezza.

Schlein è più snob, Meloni più affidabile, una più furba l’altra più empatica. Il sondaggio è davvero andato in onda al Tg La7 con tanto di commento del padrone di casa Enrico Mentana. Peccato non sia stato chiesto agli intervistati chi stira meglio o chi soffre di più per il ciclo, ma probabilmente ci stanno lavorando.

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