Cultura e filantropia
Collezionista e mecenati: chi sono le donne protagoniste della rivoluzione dell’arte
Cultura e filantropia
Collezionista e mecenati: chi sono le donne protagoniste della rivoluzione dell’arte
In Italia sono sempre di più le eredi di grandi dinastie che diventano imprenditrici e divulgatrici culturali. Spesso filantrope, con un forte impatto sul territorio
Le donne sono pessime collezioniste. L’accumulo e il possesso, quando si parla di arte, non fa per loro. Meglio condividere, creare progetti. In Italia le collezioniste che hanno subito un’evoluzione della specie sono ormai decine, divenute mecenati, imprenditrici e divulgatrici culturali, filantrope. Con loro, il collezionismo – passione spesso associata a perpetuazione ed espansione dell’io – diventa uno strumento di sviluppo collettivo, aprendosi a nuove possibilità. Sono donne che hanno un impatto sul territorio e sulla società, una sorta di redistribuzione della bellezza alla comunità. E non hanno lo stesso identikit: la collezionista-mecenate è una figura declinata in molte interpretazioni, talvolta controverse, mai scontate.
In origine fu Patrizia Sandretto Re Rebaudengo che ha aperto l’omonima fondazione nel 1995. A lei probabilmente spetta il record mondiale di partecipazione a fiere e biennali. È diventata emblema del made in Italy artistico: ambito in cui gli italiani, sui palcoscenici internazionali che contano, scarseggiano; lei è ovunque. Il suo merito è di averci reso un po’ meno provinciali e di aver trasformato Torino in un hub dove tutti passano. Poi c’è Miuccia Prada, esempio macroscopico di impatto su una città: la nascita della Fondazione Prada è stata il tocco da capitale europea che Milano agognava. Ora la fondazione vive di vita propria, ha una programmazione impeccabile, una ragion d’essere a livello culturale che la rende ben più del mausoleo di chi l’ha creata. Patrizia e Miuccia, quindi. Ma non solo.
Rimanendo a Torino – dove, peraltro, la rinascita della Pinacoteca Agnelli si deve soprattutto a Ginevra Elkann, che ne è presidente – si trova Rebecca Russo, che ha dato vita alla fondazione Videoinsight®. Aprite la sua pagina Instagram e vedrete quanto vita e arte possano mescolarsi. Rebecca ha in collezione alcune centinaia di video, nel 2010 ha brevettato il Metodo Videoinsight® adottato da diversi ospedali e, da psicoterapeuta, il suo intento è curare attraverso l’arte. Prossima sfida: creare un avamposto del contemporaneo in Irpinia convertendo l’ex carcere borbonico di Avellino in spazio espositivo.
A Bologna, Anna Gaia Rossi ha creato con Palazzo Bentivoglio un universo parallelo. Oltre alla collezione e ai progetti artistici che apre alla città (l’ultima mostra su Patrick Procktor), il suo contributo è anche dialettico. Ecco il suo vademecum sul collezionista: «Io lo intendo, in un sistema fragile come quello dell’arte italiana, come utilizzatore e sostenitore – avendone i mezzi – di tutti gli elementi che lo compongono: artista, galleria, critico o storico dell’arte, curatore, archivisti o registra, restauratori, artigiani, grafici, uffici stampa e così via. Ciò che mi intessa è creare un micro-ecosistema, un circolo virtuoso in cui le persone possano effettivamente svolgere il lavoro per il quale hanno studiato, senza frustrazioni».
A Bologna risiede anche una delle più grandi filantrope italiane, Isabella Seragnoli, che ha dato vita a Mast, fondazione polifunzionale con focus sulla fotografia. Verso il mare, a Forlì, di musei di arte contemporanea non se ne vedono: a presidiare il territorio c’è Monica Zoli che, attraverso la Fondazione Dino Zoli, ha creato un baluardo di welfare aziendale alla DZ Group. L’ultima mostra prodotta è la personale di Elena Bellantoni; protagonisti, sia come attori sia nella produzione delle opere, i dipendenti dell’azienda.
A Venezia, patria elettiva di Peggy Guggenheim, Gemma Testa ha donato al museo di Ca’ Pesaro 105 opere d’arte, collezionate con il marito Armando Testa: capolavori di Robert Rauschenberg, Anish Kapoor, Ettore Spalletti e altri. Così racconta l’iniziativa: «L’arte mi ha donato molto e con essa la mia vita è stata felice. Mi sono sempre adoperata nel promuovere gli artisti affinché avessero visibilità e negli ultimi anni ho pensato fosse arrivato il momento di dare loro un futuro».
Ma perché limitarsi quando si può invadere una città intera? Beatrice Trussardi, con la fondazione omonima, ha donato a Milano diversi landmark, tanto effimeri quanto persistenti nella memoria collettiva: i bastioni di Porta Nuova impacchettati nei sacchi di juta di Ibrahim Mahama o la piscina dorata al Centro balneare Romano di Nari Ward, che con le termocoperte usate per scaldare i naufraghi ha parlato d’immigrazione in modo sorprendente. Marina Nissim, presidente di Bolton Group, è a capo della Fondazione Elpis, da cui è nato il progetto “Una Boccata d’Arte”. Ogni anno finanzia un evento artistico in 20 borghi italiani, uno per Regione: Travo, Morgex, Fumone, anche se solo per un’estate, sono apparsi sulla mappa dell’arte contemporanea.
A Roma ci sono Beatrice Bulgari, con la sua Fondazione In Between Art Film, le cugine Anna d’Amelio e Fabiana Marenghi Vaselli che dirigono la Fondazione Memmo e, da un anno e mezzo, ha aperto la società benefit Forof, creatura di Giovanna Caruso Fendi, che conserva i marmi colorati della pavimentazione della basilica Ulpia. L’archeologia è rianimata dal dialogo con artisti contemporanei, una sperimentazione che ha visto la nascita anche di un profumo. Giovanna ha coniato l’espressione «mecenatismo collettivo» e così la spiega: «Il mecenatismo non dev’essere appannaggio solo di chi ha grandi patrimoni, ognuno può contribuire a modo suo; Forof vuol essere un catalizzatore di questo mecenatismo diffuso, la cultura si sostiene anche pagando il biglietto in un museo».
A pochi passi da Forof si è trasferita Teresa Iarocci Mavica, casa con terrazza che guarda il Quirinale, rifugio perfetto per una mecenate «in convalescenza». Nel 2021 Teresa è stata eletta donna dell’anno in Russia, dove ha guidato a lungo la V-A-C Foundation di Mosca (con avamposto a Venezia), uno dei più grandi investimenti privati in cultura mai avvenuti grazie alla volontà e ai rubli di Leonid Michel’son. La mission, come l’aveva immaginata lei, era quella di favorire il dialogo tra Europa e Russia attraverso l’arte. A dicembre 2021 ha inaugurato Ges-2, un mastodontico centro culturale che porta la firma di Renzo Piano, ma nel febbraio 2022 quell’utopia di creare un ponte tra mondi distanti è finita anch’essa vittima della guerra. Mosca-Roma solo andata? Se così fosse, si spera che Roma sappia accogliere il suo impareggiabile know-how.
Perché anche il mecenatismo causa polemiche e cortocircuiti ideologici. Umberta Gnutti, sposata Beretta (e si parla di fucili), ha aperto la sua collezione al pubblico attraverso Spazio Almag a Roncadelle, nel Bresciano: una fabbrica di famiglia per onorare Bergamo e Brescia capitali della cultura. Le opere della collezione sono impeccabili: Elmegreen&Dragset, Paola Pivi, Nan Goldin, Marinella Senatore. Quando le hanno contestato l’incompatibilità del suo ruolo di generosa, e molto esposta, mecenate con la sua vicinanza all’industria delle armi, Umberta ha fatto presente che gli investimenti sono fatti con soldi suoi e non del marito, ma senza l’ipocrisia di prendere le distanze dal business coniugale. Patemi della contemporaneità, in cui si guarda al processo più che al prodotto e in cui è tabù qualunque rappresentazione che non abbia un sottotesto etico.
Non solo luoghi fisici. Le mecenati colonizzano anche spazi virtuali e simbolici: Katia Da Ros, vicepresidente di Confindustria con delega a Cultura, Ambiente e Sostenibilità, sta censendo le aziende che custodiscono una collezione. E con il gruppo di famiglia, Irinox, sponsorizza un premio fotografico per contrastare gli sprechi alimentari: “Save the Food”. Cristina Fogazzi, ossia l’Estetista Cinica che ha costruito un reame su Instagram, tra una crema al retinolo e un fango drenante lascia spesso apparire un’installazione di Leandro Erlich o un neon di Nico Vascellari. Perché per lei è fondamentale la riappropriazione collettiva, universale, dell’arte. La contaminazione sembra funzionare e le sue follower visitano i musei consigliati (nel volume “Il mio Grand Tour. Storie di luoghi, di arte e di ansia”, Rizzoli). Diva Moriani, invece, ha portato l’arte dentro Dynamo Camp, centro d’eccellenza di terapia ricreativa per bambini affetti dalle più svariate patologie: nella gallery all’interno del campo i giovani ospiti creano opere con artisti riconosciuti.
Il cerchio si chiude a Napoli, nella zona di Porta Capuana: qui Rosalba Impronta, oltre ad aver avuto un impatto, lo ha saputo pure misurare. La fondazione sua e del marito si chiama Made in Cloister, ha sede in un chiostro rinascimentale, salvato dall’incuria, e attraverso l’arte punta a rigenerare il quartiere. A ogni mostra sono coinvolti artigiani locali che collaborano con gli artisti. Nella zona stanno sorgendo nuove attività e l’indotto della fondazione è sempre più diffuso: l’economia legale si espande. Dimostrando che quando la partecipazione è corale e dal basso ci può essere progresso, senza che per forza ci sia gentrificazione.