L’intervista
Jeanette Winterson: «L’intelligenza artificiale è solo uno strumento. Come lo usiamo dipende da noi»
Parla la scrittrice britannica: «Diamo sempre colpa alle macchine, siamo alla ricerca di qualcuno su cui scaricare le responsabilità, ma non dimentichiamo che gli esseri umani hanno sempre ingannato»
Può succedere che Harry Potter diventi siciliano o che un ragazzo cerchi di intrufolarsi nel Castello di Windsor per uccidere la Regina Elisabetta (ancora in vita), convinto dalla sua fidanzata virtuale. «C’è addirittura una App pensata per risparmiarci di fare l’esperienza con la morte», racconta la scrittrice Jeanette Winterson quando la incontriamo a Roma: «Imita i defunti così non siamo più costretti a separarci. Tutto questo è davvero molto strano e lo si deve all’Intelligenza Artificiale, anche se io preferirei chiamarla “intelligenza computerizzata” o “intelligenza alternativa”. Di alternative, soprattutto in questo tempo, ne avremo bisogno».
L’inglese Jeanette Winterson, divenuta famosa a venticinque anni con “Non ci sono solo le arance” cui sono seguiti altri bestseller, ha dedicato all’IA “12 Bytes. Come siamo arrivati fin qui, dove potremmo finire in futuro” (Mondadori), una raccolta di saggi scritta durante la pandemia nella sua casa nelle Cotswolds. «L’intelligenza artificiale è solo uno strumento e l’essere umano non è altro che un animale capace di utilizzarlo. Quello a cui assistiamo è però uno specchio, che riflette e ci rimanda il nostro lato peggiore. Diamo sempre colpa alle macchine, è facile, perché siamo alla ricerca di qualcuno su cui scaricare le responsabilità, ma non dimentichiamo che gli esseri umani hanno sempre ingannato, rubato e volto tutto a un profitto personale».
L’autrice, ospite del Festival Internazionale Letterature al Parco Archeologico del Colosseo, precisa: «Amo le tecnologie, non le considero mie nemiche, ma non posso essere passiva e accettarle, permettendo loro di orientarmi la vita. Come un sovrano, sono io che decido». Bisognerebbe cercare di dimenticare o quantomeno superare questa ossessione che abbiamo del tempo e dello spazio. «Lo diceva anche il critico letterario Harold Bloom: “Più vita in un tempo senza limiti”. Lo spazio è la vera ossessione, l’attrazione di moda per i ricchi come Richard Branson, Elon Musk e Jeff Bezos. Se penso alla Intelligenza Artificiale e al dopo, mi sembra che il suo impatto maggiore non sarà sullo spazio ma sul tempo». Cosa fare, dunque? «Potremmo continuare a usare la tecnologia per peggiorare la nostra vita o per renderla migliore. Siamo nel tempo delle scelte e se andremo verso un futuro buono o terrificante dipenderà solo da noi. Fondamentale sarà la parola della nostra epoca – connettività - che è relazionale e dinamica. A contare è e sarà il flusso: l’attaccamento alle cose, agli oggetti e a noi stessi ne è la sua espressione».