Piante tropicali. Animali fantastici. Nell’Amazzonia ideale di 27 artisti. Che racconta un nuovo rapporto possibile tra umano e non umano

Chissà se un giorno questo nostro antropocentrismo verrà pensato con un sorriso, così come oggi noi guardiamo alla teoria tolemaica che voleva la Terra al centro dell’Universo. Oggi è l’uomo a porsi al centro, e più nello specifico l’uomo occidentale (che poi verrebbe da chiedersi se anche questa definizione non debba essere mandata in pensione, perché saremmo a Ovest di che?).

 

Una caratterizzazione che non solo ha imposto un rapporto gerarchico verso gli altri esseri viventi, ma ha portato il genere umano verso un lento suicidio di massa attraverso la distruzione della biodiversità. Le società indigene sono spinte da un apparato filosofico che vede nella convivenza tra specie umane e non umane un complesso multiverso, fatto di confini fluidi e di compromessi.

 

La mostra “Siamo Foresta” della Fondation Cartier pour l’art contemporain alla Triennale di Milano ci accompagna alla scoperta di un altro mondo possibile, quello dove l’esaltazione delle differenze è il vero valore dell’essere umano, che ritrova se stesso nel riconoscimento di più popoli, come quello animale e quello vegetale. Non è un caso che il direttore artistico della fondazione Hervé Chandès abbia voluto un antropologo, Bruce Albert, accanto a sé come curatore. Il viaggio comprende 27 artisti, molti indigeni, ma il direttore d’orchestra è Luiz Zerbini (San Paolo) che ci fa sentire esploratori anziché visitatori. Lo spazio sembra respirare, perché tra specie vegetali, opere d’arte e coloratissimi giochi di luce, sembra davvero di entrare in una foresta. O meglio, nel sogno di una foresta.

 

Ancora una volta pensiamo ai confini, quelli che “Siamo Foresta” fa sparire: non si percepisce più l’architettura della Triennale, o meglio questa si fonde alla mostra e riesce nella magia di presentarsi come ambiente sconosciuto, ma allo stesso tempo familiare. E non c’è più differenza tra le piante tropicali tra le quali bisogna muoversi su una passerella (un’esperienza molto forte) e l’albero realizzato dall’artista colombiana Johanna Calle con i testi dattiloscritti - su carta notarile - di una legge sulla restituzione delle terre ai contadini indigeni. Ci si scorda di essere a Milano. Anzi, non lo siamo più e a dircelo sono ad esempio i motivi geometrici che compongono gli animali fantastici del brasiliano Bruno Novelli o i miti e le tradizioni dell’Amazzonia peruviana dell’autodidatta Brus Rubio Churay, che ci mostra come noi “occidentali” siamo stati predatori del suo popolo, i Murui-Bora. Questo allestimento (fino al 29 ottobre) è un’occasione unica per scoprire tanti popoli, umani e no, nel segno del dialogo tra pensatori e difensori della foresta.

 

LUCI
Tutte le grandi capitali europee ne hanno uno e finalmente il Senato ha appena dato il via libera alla costituzione di un Museo della Shoah anche a Roma. Per la realizzazione e il funzionamento del Museo, già previsti 4 milioni per il 2023 e 3 milioni per il 2024 e il 2025. Un luogo della Memoria che a Roma non poteva mancare.

 

E OMBRE
A Cuba resta in carcere Luis Manuel Otero Alcántara, artista arrestato due anni fa per avere tentato una protesta contro il decreto 349, che impone di avere l’autorizzazione del governo per fare arte. «Siate desiderosi di portare il cambiamento nel mondo - ha detto dalla sua cella - lottate per l’amore, i sogni e l’utopia».