Insultare, screditare, sbeffeggiare è diventato lo sport preferito di questa estate. Derivazione della cultura hip hop e rap. Per demolire, rima dopo rima, l’avversario

Da “un disco per l’estate” a “un dissing per l’estate”. A proposito del dissing, del senso e controsenso che gli gira intorno. Tranquilli: la questione potrà sembrare tranquillamente incomprensibile, ma lo stile, tosto pretesto di scontro, baruffa, diatriba, un cicinin di attenzione lo merita. Perfetto per incrementare l’idolatria seriale a edizione limitata, a geometria variabile di gusti ed opzioni della mejo gioventù dal corpo tatuatissimo, ciabatte e calzino bianco che si fa, per gioco delle parti, labile, passeggero come s’addice al tempo d’estate, tribunale di ogni fenomenologia sociale.

 

È ufficiale: il dissing, nello slang hip hop e rap, “un corpo a corpo di parole, per screditare, attaccare, togliere rispetto qualcuno”. Basta chiederlo anche al meno iperconnesso fra gli adolescenti, per apprendere tutto e il suo contrario su crew, “blocchi”, derivazione e ramificazione della cultura hip hop e trap, per cui demolire, anche con un certo stile, l’immagine pubblica dell’avversario. Rima dopo rima, dileggio dopo dileggio, il dissing è il nuovo sudoku, passatempo estivo intramontabile.

 

Bocconcino prelibatissimo per la polarizzazione/radicalizzazione del sentiment, in tema di rapper, trappe e cantautori. Con un vago sentore di reducismo nelle risposte e nelle reazioni. Accuse e controaccuse, repliche e controrepliche di egolatria, narcisismo, scarsa vena, conformismo e altre frivolezze e carniere per far salire la temperatura delle bolle social. In pieno fermento digitale, permanentemente mobilitate pro o contro uno dei contendenti. Estate torrida, non solo dal punto di vista metereologico. La prima avvisaglia la si è registrata con lo scazzo fra Luché e Salmo, non nuovi a diatribe e dissidi, da anni e anni. Con Luché a rinfacciare a Salmo di essere stato estremamente generoso e prolifico di biglietti per raggiungere il tutto esaurito per il concerto dello scorso anno a San Siro. Missione fallita. Di tutta risposta, Salmo, quasi con tono biblico si è peritato di concepire una parodia “liberamente” ispirata all’ultimo album di Luché “Dove volano le aquile”, trasformata in “Dove volano le papere”.

Il segmento pop, d’altro canto, è fibrillato a partire dall’attacco frontale di Paolo Meneguzzi a “Disco Paradise” di Fedez, l’onnipresente Annalisa e Articolo 31: ennesima riprova di canzone senz’anima, concepita e costruita a tavolino. Quasi immediato il react di J-Ax che, in tre ore tre, ha dato forma e timbro alle rime de “L’invidia del Peneguzzi”. Immancabile la litania di repliche e controrepliche per la gioia dilagante della rete, pane e companatico per ogni hater che si rispetti. Pare che la questione sia andata risolvendosi con l’autoconfessione di J-AX, in tema di “egoriferimento”. Ben più significativa, vedi alla voce reducismo, la nota, per nulla a margine, di Samuele Bersani nei confronti di Sfera Ebbasta che, a causa di un guasto tecnico, privo dell’autotune, pietra di paragone e di scandalo si era rivelato tutto, ma proprio tutto, meno che un King della trap. Men che meno un “semidio contemporaneo”, parole dell’autore di “Giudizi universali”.

 

La vera vittima del dissing? L’ironia e l’autoironia. Spazzate via da un codice linguistico, oppure, da un grossolano “doppio gioco” per fendere la patina di noia, incertezza, aleatorietà. Ingredienti della quotidianità stressata della comunicazione contemporanea. Il dissing è l’ “orizzonte di gloria egotica, retroterra tutt’altro che trionfale. Promessa non mantenuta che si affastella in pratica inevasa del catasto rap e pop, quasi istantaneamente relegato a modernariato ideologico di svolte e frenate del linguaggio. Ogni slogan s’inabissa, inane e ballerino, nella mancanza di un centro di gravità permanente”. Fatica del protagonismo che tenta di equilibrare qualità e quantità, benessere e stili di vita, espressività e contingenza. Certo gli usi e i costumi cambiano di stagione in stagione, ma proprio per questo sconfinano nella ripetitività del dissing. L’iperbole assoluta è mostrata, però, con il linguaggio dell’assenza di qualsiasi confine e retroterra umano del dissing. A troppo indugiare sull’autotune e altri aspetti tecnici, come nel caso della controreplica a Samuele Bersani da parte di Frankie hi-nrg mc, (that’s all folk) si corre il rischio di sottostimare l’ “operazione identitaria” dell’insulto, dell’offesa e della presa in giro.

 

Un perimetro di gesti e di parole aggressive, per nulla nuovo, tantomeno inedito. Anni addietro sperimentato da guru e paraguru della rete, come Marco Camisani Calzolari e Marco Montemagno. Un fotoromanzo acido e lunare, di cui, più per noia che per convinzione, si attende l’ennesima puntata. Una delle tante non entusiasmanti vicende estive che non fa altro che smuovere il rimpianto per le care e vecchie polemiche estive, i “fuochi di paglia” innescati dalle interviste ferragostane ai leader politici, agli industriali, più in generale, ai personaggi dello star system e così via almanaccando. Buontempo di schermaglie estive vere, all’incirca protratte sino al fischio d’inizio del campionato di calcio in concomitanza con l’avvio dell’anno scolastico. La continuazione dell’ottagono dei talk televisivi, ormai, veri e propri crash show, autoscontri fra ciò che si rappresenta, laddove ciò che si è risulta del tutto marginale. Suona parruccone ricordare sommessamente che la buona comunicazione prende linfa dal riconoscimento della dignità dell’altro. Banalità da bagnasciuga o sentiero montano. In attesa che qualcuno scomodi la vulgata sulla tenuta della celebrità di Andy Warhol e sulla provocazione artistica di Marcel Duchamp. Ovviamente apparendo migliore e più cool. Ci mancava il dissing a rendere ancora più bollente e torrida l’aria d’estate. “Dissing persons”? “Dissing in action”? “Idiosincrasia portami via”.