Antonello Dose e Marco Presta raccontano su Radio 2, da quasi trent’anni, tic, difetti e manie di un Paese che cambia. «Le nostre battute sono niente rispetto alle dichiarazioni di certi ministri: il modello è diventato il “Grande Fratello”»

Una donna era in travaglio quando si è fatta avvicinare il telefono all’orecchio per dire la sua al “Ruggito del coniglio”. Un altro ascoltatore guidava un carro funebre. Pieno. E un chirurgo ha chiamato poco prima di entrare in sala operatoria per intervenire, questa volta in senso radiofonico. Perché la tentazione di partecipare non passa, nonostante la trasmissione di Radio Due festeggi in letizia 29 anni di solida attività. «Una coppia come la nostra? Ce la battiamo con Eurialo e Niso», dicono con aria quasi seria Antonello Dose e Marco Presta, i ragazzi irresistibili alla Walter Matthau e George Burns, che si prendono a ditate ma tirano avanti a colpi di battute in diretta dal 1995. «Ci sopportiamo poco, questo è il segreto del nostro rapporto. Siamo persone molto diverse, ma per fortuna, se fossimo stati uguali ci saremmo lasciati, oppure addormentati. Invece così funziona», dice Presta. O meglio, come ribatte Dose, «io da buddista direi che la nostra è una relazione karmica, o forse un caso clinico». 

 

Quel che è certo è che i due parlano come se la radio ce l’avessero dentro. Uno attacca il discorso, l’altro ci ride sopra e ribatte, interviene, chiude la frase, e per capirsi gli basta un’occhiata in una serie di gomitate complici neanche fossero con le cuffie in testa, anche mentre al bar sorseggiano un cappuccino freddo. 

 

Presta è romano e vagamente romanista, Dose invece è nato a Udine ma è arrivato nella Capitale a pochi mesi anche se a sentire il suo accento non si direbbe. «Ci conosciamo da quando avevamo 15 anni, i nostri fratelli e sorelle erano catechisti. E questo è il risultato: i veri guai della famiglia tradizionale». In quasi trent’anni di onorata attività radiofonica hanno osservato in diretta l’ordinario scorrere del Paese. Governi, scandali, epurazioni («Di solito sono un po’ più soft, quest’anno ci sono andati giù pesanti, in Rai non tira una bellissima aria»), e poi accenni di censura («Per una battuta su Ustica i vertici dell’Aeronautica chiesero la soppressione del programma»), onorevoli infastiditi («Maurizio Gasparri una volta mi ha chiamato a casa per una battuta che non gli era  piaciuta, erano i tempi in cui era ministro dei giovani e dello sport. E dell’hula hop») e premier che si divertono («Giorgia Meloni ride molto per l’imitazione di Paola Minaccioni») ma d’altronde «i politici che si incazzano sono quelli che dovrebbero cambiare mestiere e magari aprire un negozio di carta da parati». 

 

Da metà settembre sono tornati ancora una volta con lo stesso spirito rigoroso («Se per radio intervistiamo i protagonisti dell’ “Isola dei famosi” siamo colpevoli verso il Paese, verso i nostri figli») e la formula di sempre: una lettura di quanto accade in giro da cui ricavare un piccolo tema quotidiano che diventa il pretesto per ascoltare le esperienze private degli ascoltatori. Il tutto condito da una sotterranea quanto necessaria vena satirica, che va dai loro stessi commenti ai personaggi che si avvicendano nel corso della diretta. Di diverso c’è solo la concorrenza, con Marcello Foa impegnato su Radio 1 (con “Giù la maschera”) al posto dei compianti Aprile e Bottura. Ma che tra l’ex presidente sovranista che esprimeva «disgusto» per Sergio Mattarella e i due conduttori che dal Capo dello Stato sono stati nominati cavalieri della Repubblica lo scorso maggio un filo di differenza passa. E poi come si dice, a ognuno il suo pubblico.

 

Quello del Ruggito per esempio è assennato, mediamente colto, eticamente soddisfacente. Come sia possibile davvero non è di facile comprensione, eppure è esattamente così: «La nostra - ci spiegano in duetto i conigli - è una vera e propria comunità di persone che condividono delle regole: ironia, educazione, mancanza di volgarità e c’è una parte d’Italia che in questo si riconosce. Negli anni abbiamo cercato di educarlo questo pubblico e alla fine non ci ha mai deluso». Anche perché basta guardarsi intorno per trovare luoghi e non solo radiofonici in cui aprire i rubinetti, che fondano il loro successo esattamente su questo. Mentre nel “Ruggito del coniglio” accade il contrario, una sorta di isola felice dove il rispetto regna sovrano e al massimo gli ascoltatori spediscono le mozzarelle di bufala in via Asiago in segno d’affetto.

 

Ventinove anni dunque, come direbbe il professor Aristogitone dentro quelle quattro mura radiofoniche, a raccontare a modo loro un Paese che cambia: «Pensiamo sempre, quando parliamo per radio, che quello che diciamo in qualche modo influenzerà chi ci ascolta e creerà un gusto. Noi siamo cresciuti con Walter Chiari e l’Odissea e quel tipo di comunicazione ha creato in qualche modo quell’Italia. Oggi il modello è diventato il “Grande Fratello”, anche per la politica. Non vogliamo dire che fosse meglio la Democrazia Cristiana, però un tempo la politica era fatta da professionisti, anche del male, ma da professionisti. Questi sono ladri di galline. Nessuno ti chiede più una preparazione specifica e i risultati si vedono. Qui non è più questione di destra o sinistra, è che bisogna schierarsi: o le persone per bene o questi personaggi qui». 

 

Quindi anche i media hanno le loro responsabilità. «Ma scherzi? I media hanno colpe fondamentali. Del resto ce lo insegna il manifesto della P2: rincoglionisci il popolo e lo governi più facilmente ed è proprio quello che è successo». Un po’ quel dico non dico che Marco Presta difficilmente tiene per sé: «La gente si preoccupa del nuovo tatuaggio, non va a votare, non legge un libro. Ma perché lo abbiamo permesso?», mentre Dose lo guarda, annuisce e lancia il carico: «Ormai più della realtà è diventato importante il racconto. Quello che tentiamo di fare noi da tanti anni è guardare quello che accade con lo stesso stupore dei cartoni animati. Di fronte a tanti personaggi, episodi quotidiani, esternazioni inaspettate non ci riusciamo a non chiederci “ma l’avrà detto sul serio?”». E questo è un problema mica da ridere per la satira: «Le nostre battute sono niente rispetto alle dichiarazioni di alcuni ministri. Pensa solo alla foto segnaletica di Trump, o quel che dice il ministro Lollobrigida… la realtà è andata molto oltre, fanno più ridere di noi. Questo succedeva anche con Berlusconi, che faceva le corna, le puzze davanti alla regina, quando la realtà è più paradossale della satira la satira è in difficoltà». Ma il Cavaliere vi manca? «No, non scherziamo», dice Presta senza esitare neppure il tempo di buttare giù un sorso. «Servirebbero regole solide, per poterci poi ridere su. Invece facciamo parte di un varietà collettivo. Dove essere comico, politico o prete è un po’ la stessa cosa. Io vorrei i politici grigi e soprattutto preoccupati: voglio Pajetta, voglio Fanfani. Invece qui è tutto una lambada».

 

Sono seri questi due ragazzi cresciuti con un rigoroso senso del comico. Volevano fare l’astrofisico, il poliziotto, il giornalista, poi hanno deciso di studiare da attori sino a che Enrico Vaime («Un grande maestro e soprattutto un amico, simbolo di un’Italia estinta») ha capito che proprio la radio poteva essere il loro mondo. «I nostri punti di riferimento? Ovviamente Vaime, e poi Batman, Dino Buzzati, Marcello Marchesi ed Ennio Flaiano: tutti supereroi». E oggettivamente la cinquina patriottica non è niente male. Ma cosa è il patriottismo oggi? «Innanzitutto occuparsi degli anziani, cioè dimostrare un senso di gratitudine verso chi ci ha dato delle cose», risponde Dose: «E poi pagare le tasse che è proprio un gesto di eroismo. Addirittura farlo sorridendo è il massimo del patriottismo, quasi alla Enrico Toti. Una volta era Dio Patria e famiglia, oggi è nonna tasse e badante».

 

Insomma, un sorta di pessimismo comico che affligge entrambi. E per uscirne servirebbe proprio un ruggito del coniglio. «Se vuoi davvero un cambiamento comincia a cambiare te stesso», risponde Antonello Dose: «Tieni saldi i tuoi principi e tramandali nel tuo ambiente, usa la gentilezza, il rispetto, cose che non vanno più di moda ma che sono la vera rivoluzione». E per Marco Presta? «L’applicazione improvvisa e rivoluzionaria del buonsenso alla vita quotidiana. Che ti porta a dire lui non lo eleggo perché è inaffidabile, questo programma non lo guardo perché rovina me e miei figli. Sì, il vero ruggito è il buonsenso, unica possibile forma di resistenza».