Mentre le denunce diminuiscono,il governo Meloni fomenta il terroredi molti italiani di subire reati

Sembrerà strano, ma a volte rivolgersi all’operetta aiuta: “La danza delle libellule” debutta nel 1922, su musica di Franz Lehár e libretto di Carlo Lombardo. La trama è un gran pasticcio che vede la vedova Cliquot corteggiata da un riccone, Piper, che vuole stupirla mettendo in scena una commedia. I colpi di scena e gli intrighi sono abbastanza simili al caso Boccia-Sangiuliano, quindi non ci interessano: quel che è interessante, invece, è che già oltre cento anni fa ci si dilettava nella rappresentazione del crimine a uso e consumo dei privilegiati, e dunque i nobili invitati si divertono a travestirsi da malavitosi di allora, gigolettes e apaches, canticchiando «In loschi tabarin/danziamo al ritmo del bicchier».

Non è cambiato moltissimo, in termini di rappresentazioni che non corrispondono alla realtà, se si pensa alla raffica di reati previsti dal ddl Sicurezza: oltre a quelli già citati, come ricordava Adriano Sofri su Facebook in una lettera a Paolo Del Debbio, viene trasformata da illecito amministrativo in reato la «disobbedienza passiva» a un ordine della polizia penitenziaria da parte di tre o più detenuti, «puniti con la reclusione da uno a cinque anni», e, «se promotori», «da due a otto anni». Un capolavoro.

Ora, se si prende in mano il rapporto Censis del 2022, si vedrà che avevamo allora (e abbiamo ancora oggi) un problema di paura: il 51,7% degli italiani teme di rimanere vittima di reati, nonostante nell’ultimo decennio il numero delle denunce sia diminuito del 25,4%; gli omicidi volontari calano del 42% (i femminicidi restano sempre stabili, invece), le rapine e i furti in casa del 48%. Eppure, questo governo agisce proprio sul terrore degli italiani; un paio di anni fa, la presidente del Consiglio rispondeva alle non poche polemiche relative al decreto Anti-rave e Anti-tutto con queste parole: «È una norma che rivendico e di cui vado fiera perché l’Italia, dopo anni di governi che hanno chinato la testa di fronte all’illegalità, non sarà più maglia nera in tema di sicurezza».

Qualche tempo fa, inoltre, l’ineffabile Luca Ricolfi contestava il ddl Zan scrivendo sulla Ragione che si può condannare l’odio, ma non la paura: «Perseguire xenofobia, omofobia e transfobia equivale a sostenere che la gente non abbia il diritto di manifestare sentimenti di paura verso determinate categorie di persone». Giuro che l’ha scritto davvero. Che poi la paura non sia quella di venir aggrediti o uccisi, ma di perdere uno status sociale, come notava anni fa la psicologa Chiara Volpato, poco conta: l’importante è che si continui a essere terrorizzati, magari dai fantasmi, e si esulti quando il governo in carica risponde da par suo.

Recentemente, infatti, la commissione Cultura, Scienza e Istruzione ha approvato una risoluzione presentata dalla Lega, firmata da tutta la maggioranza, che si oppone alla «propaganda gender» nelle scuole. Il primo firmatario Rossano Sasso ha motivato la risoluzione dicendo che le drag queen non devono entrare nelle aule delle elementari. Perciò, la cosa preziosa di oggi è “Chi ha paura del gender?” di Judith Butler (Laterza, traduzione di Federico Zappino). L’onorevole Sasso non lo leggerà, ma chi può lo faccia: perché la filosofa ribatte punto su punto a chi vorrebbe, con il pretesto del gender, «neutralizzare le conquiste giuridiche e sociali» che ci hanno permesso di vivere un po’ meglio. E con meno paura, nei fatti.