Buio in sala

"Una spiegazione per tutto" dimostra che si può fare cinema politico senza cedere agli slogan

di Fabio Ferzetti   9 maggio 2024

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La bocciatura di un giovane nazionalista diventa un caso. In un film premiato a Venezia perché racconta l’Europa intera

Bisognerebbe creare una specie di bollino per segnalare i film che non dividono con l’accetta buoni e cattivi, torti e ragioni, ma restituiscono allo spettatore la complessità e l’incanto ingannevole del mondo. Tra i primi a meritarlo ci sarebbe questo girotondo ungherese che vola da un personaggio (e da un ambiente) all’altro sulle ali di un episodio minimo che si gonfia e si deforma fino a sintetizzare con magistrale lucidità il malessere di un Paese intero, se non di un continente.

L’episodio scatenante è l’esame di maturità del timido Abel, un 18enne vulnerabile e sognatore che davanti alla commissione si blocca e viene bocciato. Sconcerto e umiliazione di Abel; collera del padre, un conservatore con qualche amarezza di troppo addosso, come scopriremo; sospetto legittimo ma forse eccessivo: sarà colpa del prof di storia, che ha chiesto ad Abel come mai porta una coccarda tricolore sulla giacca?

Qui occorre spiegare che la coccarda, da semplice simbolo patriottico esibito nelle feste nazionali, è diventata in questi anni un contrassegno nazionalista che divide e incendia gli animi. Come che sia, ad Abel non pare vero di attribuire al disagio provocato dalla domanda del prof, peraltro garbata, le ragioni del suo fiasco. Il padre è pronto a crederlo. E quando la notizia, per una serie di impalpabili e ironiche casualità, arriva alle orecchie di una giovane giornalista, il gioco è fatto.

L’esame mancato diventa un caso politico, ogni personaggio viene messo di fronte ai propri limiti, alle proprie contraddizioni, ai propri rancori più o meno inconfessati. Ma sempre arpeggiando su una tastiera tutta luci e ombre che modella con attenzione i caratteri e le ragioni di tutti, protagonisti e comprimari: citiamo almeno l’allieva innamorata del bel professore, amata a sua volta senza speranza da Abel. Ma i personaggi minori sono molti, “Una spiegazione per tutto” tiene fede al suo titolo come un prisma che emana luce in varie direzioni. La struttura è complessa, intendiamoci, occorre un po’ di attenzione per orientarsi, ma se ne esce ampiamente ripagati.

Premiato a Venezia nella sezione Orizzonti, girato in soli venti giorni senza aiuti statali, questo terzo film di un 44enne ungherese fa sperare: si può fare cinema politico con sensibilità e intelligenza, senza cedere agli slogan. E magari citando a sorpresa Gina Lollobrigida. Di Abel, dei suoi sogni, del piccolo grande mondo in cui cerca di crescere, ci ricorderemo a lungo.

AZIONE!
Insomma il cinema muore o si trasforma? Nel 1982 Wenders lo chiese a un plotone di giganti (Antonioni, Fassbinder, Spielberg, Godard...) in “Room 666”. Domanda ripetuta un anno fa da Lubna Playoust a Östlund, Farhadi, Mungiu, Rohrwacher, Sorrentino, Wenders... Ne è uscito “Room 999”. Vale la visita.

E STOP
Non contenti di imporre regole “di inclusione” intrusive, i nuovi Oscar ridisegnano il premio Irving Thalberg. Ai laureati non andrà più un busto con le fattezze del mitico produttore che ispirò a Scott Fitzgerald “Gli ultimi fuochi”, ma un Oscar come gli altri. Memoria addio, la prevalenza del cretino vince ancora.