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Inchieste
maggio, 2016

Forza, facciamo causa al dottore

Sono in aumento le azioni per i casi di vera o presunta malasanità. Con avvocati che inseguono i clienti dentro gli ospedali. Ecco alcune storie. Da Nord a Sud

C’è una selva sempre più affollata di avvocati che si offrono ai clienti per intentare cause, anche temerarie, urlando all’errore medico. Ci sono siti che si chiamano «risarcimentodanni-malasanità.info», oppure «avvocato-malasanità.it», e molti altri simili. C’è lo studio legale che scrive: «Per ottenere risarcimenti elevati in tempi rapidi è necessario avere un atteggiamento “aggressivo” nei confronti delle compagnie assicurative del medico o dell’ospedale». C’è il team di legali che si presenta come “osservatorio” di settore e garantisce il «98 per cento di pratiche risolte con successo, la maggior parte senza ricorrere in giudizio». Ci sono le centinaia di annunci che offrono «assistenza legale a zero spese» per denunciare i dottori. C’è l’associazione “tutela da malasanità” che pubblica la foto di una donna incinta, e sotto la didascalia: «Se partorire il tuo bimbo è diventato un incubo per te...», clicca qui. C’è la società che aveva ottenuto due vetrine nell’atrio dell’ospedale di Montebelluna, a marzo, per il «recupero danni», fra cui quello «da vacanza rovinata».

In bilico fra l’offrire un servizio e l’esagerare col marketing, fra il rispondere ai bisogni dei pazienti e lo speculare sulle loro paure, in molti sembrano aver trovato mercato nelle richieste di indennizzi verso gli ospedali. Insieme alle denunce contro le banche, le azioni legali dei clienti-pazienti sono infatti diventate i motivi di cause civili più diffusi (e in ascesa), per volume e valore, in Italia, secondo quanto emerge dall’ultima relazione del ministero della Giustizia sulle “mediazioni obbligatorie”. E le 13 mila richieste portate avanti per il canale ordinario nel 2015 non sono che un frammento dei litigi in corsia: la mediazione infatti funziona raramente in questi casi e gli avvocati preferiscono spesso la via della conciliazione diretta: gli “accertamenti tecnici preventivi” di questo tipo sono circa 19 mila l’anno, spiegano dal ministero, anche se non è possibile sapere quanti riguardino la responsabilità dei medici.

Le richieste di rimborsi insomma, da ogni parte aumentano, occupando ospedali e tribunali. Mentre nei casi gravissimi - come quello recente, definito dagli stessi giudici “drammatico”, degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria (dove i medici del reparto di ginecologia hanno coperto per anni i propri errori, in un’abitudine all’omertà costata la vita a diversi neonati) - le famiglie rischiano di restare anni in attesa di un riconoscimento.
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GRATIS
Ritornano costanti, fra le pubblicità in Rete, via radio, sui poster da 10 metri per due all’ingresso dei Pronto Soccorso o negli annunci in sala d’aspetto, alcune parole. La più frequente è “gratis”. Gli studi infatti offrono quasi sempre la possibilità di procedere alla causa contro l’ospedale senza dover pagare niente in anticipo: i difensori prenderanno una quota del risarcimento finale, chiedendo soltanto, in alcuni casi, esborsi per pratiche e documenti. «Diamo consulenza gratuita e anticipiamo noi i costi della perizia medica, se il cliente non se la può permettere: a volte servono anche duemila euro», spiega ad esempio Domenico Musicco, avvocato e presidente di un’associazione che si occupa di vittime di incidenti stradali e di errori medici, tema sul quale, dice, s’apre uno scenario allarmante: «Ci sono 14 mila decessi l’anno per malasanità, 320 mila persone che subiscono un danno». La fonte? «Istat», che però non ha mai diffuso statistiche di questo tipo; mentre il ministero della Salute riporta circa 12 mila sinistri ogni 12 mesi, soprattutto lesioni, nelle strutture pubbliche. Musicco spiega: «Solo in base alla valutazione del nostro medico legale decidiamo se vale la pena proseguire oppure no. Per questo è raro che alla fine il giudice non riconosca il risarcimento che chiediamo».

Evitando le denunce meno fondate, insomma, ci sono maggiori probabilità che la causa proceda. «Riceviamo circa 8 mila richieste l’anno», racconta Roberto Simioni, titolare di “Obiettivo Risarcimento”: «Per quelle che portiamo avanti, circa un terzo, consigliamo di solito la conciliazione, come primo tentativo. Se non riesce, passiamo in tribunale. Da qui ai prossimi quattro anni abbiamo 270 milioni di euro di rimborsi che dovrebbero essere pagati ai nostri assistiti». Nel 2014 Obiettivo Risarcimento ha chiuso il bilancio con un fatturato da tre milioni di euro, in crescita dalle stagioni precedenti, nonostante le difficoltà che Simioni indica: assicurazioni sempre più evanescenti, medici che si rifiutano di pagare, la scure della riforma Gelli che prevede di dimezzare i tempi di prescrizione per i reati in ospedale, passando da 10 a 5 anni (oggi una vittima o un parente possono presentare un esposto anche a nove anni dall’accaduto). Sempre nel 2014 la sua società ha speso 919.907 euro di pubblicità, e nel frattempo, dal 2013, è diventata proprietaria, oltre che sponsor principale, della squadra di pallavolo di Vicenza, la “Obiettivo Risarcimento Volley”, che gioca in serie A. Sulla maglietta le giocatrici portano la scritta: “Zero rischi, zero anticipi”.
Parotire incubo


BASTA UN CLICK
In tanti hanno provato a seguire il successo dell’azienda trevigiana. Nella vicina Verona ad esempio c’è “Tutelia”, marchio registrato, specializzazione in “ricorsi bancari ed errori medici”. «Anche noi tentiamo sempre la composizione stragiudiziale, o una transazione, prima di andare in tribunale», spiega la responsabile, Pieranna Bressanelli: «Non è tutto gratuito, ma le spese sono chiare e concordate fin dall’inizio coi clienti». Di risultati e numeri delle loro pratiche preferisce non parlare, perché «sui giornali locali hanno scritto servizi denigratori: ci hanno dato degli speculatori», per via di un grande cartellone pubblicitario esposto dalla società fuori dall’ospedale. A Treviso poi c’è la “Omnia Damni Srl”, proprietaria di “Arearisarcimenti.it”, l’attività che aveva provato ad aprire uno sportello dentro l’ospedale di Montebelluna. Fra le altre possibilità, in vetrina, presentava anche quella di ricorrere a giudizio per “danni da vacanza rovinata”, prima che arrivasse la diffida del direttore generale dell’Azienda sanitaria. L’amministratrice, Maria Cristina Longo, ha sulle spalle il peso di ipoteche e pignoramenti fra Chioggia e Venezia.

A Rovato, invece, in provincia di Brescia, ha aperto a novembre del 2015 la “Salute Tutela Risarcimento”, compagnia rappresentata da Maria Lorena Sacchi, ex amministratore unico e consigliere della “Dental Group”: studi odontoiatrici, chiusi per fallimento, con strascichi di sentenze. E non c’è solo il Nord Est: dal 2010 ad esempio è attiva sul mercato la “Risarcimento malasanità servizi srl” di Francesco Pacileo, imprenditore che si occupa, oltre che di danni medici, anche del commercio di imbarcazioni con un’altra società, mentre in passato amministrava imprese agricole.

In Rete si fanno concorrenza sulle cause sanitarie decine di studi legali e associazioni, da “Iusmed” a “Periplo familiare”, dal “Tribunale tutela salute” all’associazione napoletana che pubblica on line un numero verde per chi ha bisogno di informazioni. Ma rispondono due donne che sembrano non ricordare l’attività di cui sono il riferimento: «Verrà richiamata», concludono dopo un po’. Infine sono fioriti i portali web, come “Risarcimenti-online.it” dove si promette: «più di 500 utenti al mese trovano il giusto risarcimento». Il sito fa parte della galassia di Lifeisweb, una Ltd registrata a Londra da un italiano che mantiene e gestisce una foresta di indirizzi copia, dall’Avvocato-malasanità all’Avvocato-risarcimentodanni.it.
Una pubblicità online


SOTTO ASSEDIO
«Lavorare gratis ed essere pagati a risarcimento avvenuto è già di per sé una stortura», commenta Valentina Restaino, referente del sindacato “Mobilitazione generale degli avvocati”: «Senza equo compenso si è creato un esercito di gente affamata che finisce per muoversi sul mercato rastrellando cause su un filo sottile dal punto di vista deontologico e sociale». Per chi è nel settore, il problema è dall’altra parte: «Noi difendiamo chi altrimenti non avrebbe modo di veder riconosciuti i propri diritti. Anch’io conosco medici eccellenti denunciati da alcuni legali-speculatori. Ma ci sono poi molti casi gravissimi in cui gli ospedali tentano di insabbiare le colpe», dice Musicco. «Siamo la voce dei pazienti», aggiunge Simioni: «Ci prendiamo un rischio per loro, muovendoci nell’incertezza. E lo facciamo per giustizia».

Dall’altra parte i medici dicono di sentirsi assediati. «Una donna ha iniziato a gridarmi che mi avrebbe denunciata prima ancora che entrassi nella stanza del marito, malato di tumore al pancreas in fase terminale», racconta una dottoressa, che chiede di restare anonima: «È morto per un’embolia polmonare massiva. E lei l’ha fatto, mi ha denunciata. Ho dovuto pagare l’avvocato per assistere all’autopsia, vedere il mio nome sui giornali. Prima che venisse tutto archiviato. L’altro giorno invece la madre di un ragazzo che aveva avuto un incidente mortale ci ha detto: “So che avete fatto il possibile per salvare mio figlio. Ma ho bisogno di soldi, e vi denuncerò”».

«Gli ultimi due avvisi di garanzia che ho ricevuto riguardano un paziente grande obeso, morto dopo 85 giorni in rianimazione. E una signora di 73 anni malata di Parkinson da 10. Aveva metastasi in tutto il corpo per un tumore al colon. Non ho voluto sentire quanto hanno chiesto i familiari come risarcimento. Preferisco non saperlo. Mi sono limitato a pagare il mio avvocato e avvisare l’assicurazione», racconta un suo collega dal Lazio. Entrambi sono anestesisti e rianimatori d’emergenza. Dottori cioè che intervengono proprio nei casi più critici. «È comune che per uno stesso fatto vengano indagati tutti i medici presenti, tutti i professionisti che hanno visto il paziente. Noi finiamo spesso così nell’elenco», spiega il presidente della loro associazione, l’Aaroi-Emarc, Alessandro Vergallo. In sede penale però è raro che i medici vengano condannati, «mentre sul fronte civile capita sempre più spesso che per piccoli danni le aziende sanitarie decidano di transare, senza magari avvisare gli specialisti. Il problema è che passa il messaggio di un incidente riconosciuto, e per questo rimborsato, anche se non era tale».

INGIUSTIZIE
Dati concreti, a livello nazionale, sui risarcimenti e le transazioni, non ce ne sono: li sta raccogliendo proprio in questi mesi l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni. Sono noti i premi però: nel 2014 i dottori hanno versato 189 milioni di euro per tutelarsi da cause e incidenti, contro i 146 del 2010. Un libero professionista può arrivare a pagare più di 20 mila euro l’anno di polizza. Anche perché sono poche le società cui rivolgersi: 29 compagnie coprono la responsabilità medica in Italia. Di cui solo tre firmano contratti anche per le strutture pubbliche.

Gli ospedali, nello stesso anno, hanno pagato 443 milioni a broker privati e ne hanno accantonati altrettanti in quelle regioni che hanno scelto di auto-assicurarsi. A cui aggiungere un altro miliardo di euro di fondi trattenuti per la copertura dei rischi. «Per questioni economiche l’azienda può decidere di chiudere un accordo piuttosto che affrontare le spese di giudizio», spiega Massimiliano Zaramella, presidente di “Obiettivo Ippocrate”, un’associazione nata a febbraio proprio per affrontare il tema della responsabilità civile dei medici: «È triste pensare che le cause facili avanzino, ingolfando i tribunali, mentre le vittime che chiedono risarcimenti importanti per danni gravi, dalle conseguenze devastanti, si trovano spesso ad affrontare tempi lunghissimi. E ingiusti».

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