Tutti chiusi in casa nella regione dove le aziende sanitarie sono commissariate da dieci anni. Fra commissari straordinari e task force anti Covid la neoeletta forzista Jole Santelli spera che i focolai si limitino alle residenze per anziani

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Qui lo sanno tutti. La Calabria non sopporterebbe l’esplosione virale della Lombardia o dell’Emilia. E i calabresi hanno agito di conseguenza. Niente aperitivi fino alle 18. Niente scorciatoie. Tutti a casa, strade deserte. Gli svincoli dell’autostrada sono presidiati dai posti di blocco e, al primo accenno di focolai, zona rossa. È successo a Melito Porto Salvo, Montebello Ionico, Soverato, San Lucido, Rogliano, Serra San Bruno, Cutro investita dalla migrazione di ritorno da Reggio Emilia, e l’elenco da primato nazionale potrebbe continuare.

Qualche multa si fa anche qui ma sono davvero pochi quelli che hanno voglia di sfidare la tenuta di un sistema sanitario reduce da quindici anni di tagli lineari, scandali giudiziari, scioglimenti per infiltrazioni della criminalità organizzata e da una gestione commissariale oggi in mano a Saverio Cotticelli, un generale dei carabinieri in pensione con le competenze per vigilare sulla legalità, non su una pandemia. Con gli ultimi decreti del governo, che ha dimenticato di avere gestione diretta della sanità in Calabria e Molise, Cotticelli ha dovuto passare la mano alla governatrice forzista Jole Santelli, eletta lo scorso 26 gennaio.

Chi si diletta di numeri fa conti e confronti. Oltre 11 mila rientrati dal Nord si sono registrati per la quarantena in casa nel sito della Regione. Altre migliaia di clandestini non sono tracciati. Nella settimana dal 23 al 30 marzo i positivi sono saliti da 19 a 602 con 31 morti e un indice di letalità del 5,1%. In tutta Italia nella prima settimana di Covid-19 (20-27 febbraio) i casi erano passati da quattro a 650 con 17 deceduti e letalità al 2,6%.
Si spera nella dispersione e nello spopolamento di una regione dove i residenti sono sulla carta 1,9 milioni, ma un quarto di questi vive fuori, e 318 comuni su 404 hanno meno di cinquemila abitanti. Si prega davanti al grafico della curva virale, mentre Santelli cerca di fare tesoro degli errori commessi al nord. A metà marzo ha costituito una task force con decine di nomi illustri fra i quali il cardiologo Franco Romeo (Roma), l’anestesiologo Paolo Navalesi (Padova), l’infettivologo Raffaele Bruno (Pavia), il direttore del dipartimento salute della Regione Antonio Belcastro e i commissari delle Asp fra i quali Gilberto Gentili (Crotone) testato positivo al Corona virus il 12 marzo.
Nominata la task force, il 22 marzo Santelli ha chiuso la Regione con un’ordinanza scritta - ipsa dixit - «dopo una crisi isterica» di fronte alla marea incombente. La stessa governatrice ha condizioni di salute che la obbligano a non rischiare ma continua ad andare e venire da Roma. In sua assenza, c’è il vicegovernatore e assessore alla cultura Nino Spirlì, giornalista e autore tv (Forum su Retequattro) passato dall’idolatria berlusconiana al leghismo salvinista. Basterà?

Politica
Calabria, il governo della Regione ora è un problema serio per la Lega
3/2/2020
I tempi di reazione nell’emergenza sono brevissimi a confronto di una lunga epoca in cui la sanità è stata l’unica vera industria locale, la fabbrica di carriere politiche come quella di Francesco Macrì detto “Ciccio Mazzetta”, sindaco di Taurianova che arrivò ad assumere nella minuscola Usl territoriale un migliaio di elettori, e a volte il bancomat per gli appalti dei clan come a Locri dove il consigliere regionale Pd e sindacalista dei medici Cisl, Franco Fortugno, è stato ammazzato in pieno giorno nell’ottobre del 2005.

I DANNI DEL PRIVATO
Giuseppe Zuccatelli è un ferrarese di 75 anni portati benissimo e con oltre mezzo secolo passato a occuparsi di sanità. Mandato dal ministro della Salute Roberto Speranza a occuparsi dell’Asp di Catanzaro, commissariata dopo l’inchiesta Quinta bolgia della Dda guidata da Nicola Gratteri, si è trovato a gestire anche l’Asp di Cosenza dopo le dimissioni del commissario straordinario Daniela Saitta, uscita di scena il 20 febbraio fra le polemiche. Aveva assunto, a titolo gratuito, la figlia. Il commissario romagnolo doveva gestire l’unificazione degli ospedali Pugliese-Ciaccio e Mater Domini. Adesso il nemico è il virus.
«In quindici anni di piani di rientro e commissariamenti», dice Zuccatelli, «i tagli lineari hanno creato buchi enormi. In Calabria c’è bisogno di chiarezza e trasparenza ma i calabresi hanno trovato solo gente venuta qui a comandare. Eppure ho trovato un tessuto sociale di medici di famiglia che ha tenuto ed eccellenze inattese, come quello di Amalia Bruni a Lamezia sull’Alzheimer. In Calabria ci sono cento tracheotomizzati assistiti a casa. Bisogna coinvolgere di più i sindaci. Fra gli ospedali di Paola e quello di Cetraro, uno dei due doveva essere Covid, l’altro no Covid. Alla fine ho deciso io per Cetraro ma dopo essermi confrontato. È chiaro che il rientro di migliaia di persone dal Nord resta la minaccia principale. Poi c’è il problema delle Rsa, dove sono successe cose molto gravi perché sono strutture gestite con logiche privatistiche e rischi molto seri».
A Chiaravalle, nel catanzarese, è esploso il focolaio che rischia di mettere in ginocchio l’intero sistema sanitario regionale. Si è acceso alla Domus Aurea, la residenza per anziani che dà lavoro a infermieri e operatori sanitari di una decina di paesi del circondario. Fra degenti e operatori ci sono un’ottantina di positivi al Covid 19 e alcuni morti.

Il proprietario è Domenico De Santis, 67 anni, avvocato con una candidatura per Forza Italia alle regionali del 2005. La sua Salus, che controlla la Rsa di Chiaravalle, ha una convenzione con la Regione risalente al 2011, quando la struttura era nel comune di Vallefiorita e si chiamava La ginestra. La residenza ha 45 dipendenti e fattura 2,5 milioni di euro all’anno, non poco per un paesino di montagna che non ha neanche un distributore di carburante e dove il sindaco, Domenico Donato nell’ansia di blindare tutto, ha chiuso persino la piazza e l’incrocio con semaforo.

Nel reggino, a Melito Porto Salvo, e nel cosentino, a Bocchigliero, si è vista la replica del caso Domus Aurea con due case di riposo autorizzate dalla Regione (Raggio di sole e S. Maria) diventate serbatoi di positivi al Cov-Sars-2. Sia Melito sia Bocchigliero sono state chiuse. Eppure si sapeva, perché già altre regioni ci fanno i conti, quanto rischiosi siano gli assembramenti di “casi sensibili” come le residenze per anziani. Linee guida comuni di gestione per personale, pazienti e degenti? Zero. Fino a una settimana fa, anche le visite dei familiari erano regolarmente garantite. «Adesso però abbiamo emesso un’ordinanza per permetterle solo in casi di estrema necessità», ammette con il senno di poi Antonio Belcastro, dirigente del settore Sanità. Bersaglio preferito della parlamentare M5S Danila Nesci, Belcastro è certo capace di navigare i bruschi capovolgimenti della politica calabrese. Ex dg dell’ospedale Mater Domini di Catanzaro su nomina della giunta Scopelliti (centrodestra), è stato portato in Regione dall’ex governatore di centrosinistra Mario Oliverio e confermato da Santelli.

MANCATO RIENTRO
Anni di commissariamenti non sono riusciti a erodere la voragine nei conti della sanità calabrese, costata un blocco del turnover per oltre 3700 fra infermieri, medici e operatori sanitari mandati in pensione e mai rimpiazzati. Il risultato è un rapporto di 2,5 posti letto ogni mille abitanti contro i 4 di media nazionale. Si aggiungono tre Asp commissariate per mafia e sommerse dai debiti, anche per l’abitudine di pagare più volte le prestazioni ai privati amici e convenzionati. All’inizio dell’emergenza, fra i 4 ospedali hub di Reggio Calabria, Cosenza e i due di Catanzaro e i 7 spoke territoriali, c’erano solo 105 posti di terapia intensiva, 68 in pneumologia e 80 in malattie infettive. «Presto arriveremo a 400», ha annunciato in quei giorni la governatrice Santelli. Più di un mese e diecimila morti in Italia dopo, i letti disponibili nei reparti di terapia intensiva sono diventati solo 146, 73 quelli in pneumologia e 113 in malattie infettive. Aumentando i posti nei quattro ospedali hub, cioè tirandoli fuori da vecchi reparti in disuso o da chirurgie riconvertite, i letti di terapia intensiva potrebbero aumentare rapidamente. «Ma i macchinari devono arrivare», dice Belcastro. «Li abbiamo ordinati, ci hanno dato una finestra fra 8 e 45 giorni. Speriamo siano più 8 che 45».

In programma, ci sarebbe anche l’idea di riportare in vita le vecchie Utic (Unità di terapia intensiva cardiologica) in disuso, ma ancora con impianti e dotazioni dalle quali ricavare 60 posti di terapia intensiva in più. Per malattie infettive e pneumologia, riaprendo vecchi reparti si potrebbero rimediare altri 180 posti. «Saremo pronti fra trenta giorni. Anzi», si corregge Belcastro, «anche prima. Forse».

Resta il problema della strumentazione. Santelli ha denunciato: «Abbiamo 100 posti di terapia intensiva, ma servono i ventilatori e il governo non ce li manda». Peccato che il suo capo della struttura speciale per le attività per il contenimento del Covid-19, Domenico Pallaria, che quei ventilatori avrebbe dovuto acquistare, si sia dovuto dimettere dopo avere pubblicamente dichiarato di non sapere neanche come sono fatti.
In realtà, la Regione ha cambiato più volte strategia. Inizialmente, l’ipotesi era di coinvolgere nella rete dell’emergenza anche i vetusti ospedali spoke, i presidi territoriali che più hanno risentito dei tagli nel decennio di commissariamento perdendo reparti, personale, dotazioni. Un paio di settimane e di sopralluoghi dopo, ci si è resi conto che il progetto non era realizzabile. Senza strutture, macchinari, personale, con poco più di una manciata di posti in reparti di Rianimazione che sopravvivono più per inerzia che per progetto, si è deciso di ripiegare sui grandi ospedali regionali, concentrando lì la maggior parte dei casi.

L’Asp di Cosenza lo ha capito dopo un mezzo guaio. Sui centri Covid19 della sua zona di competenza ha deciso di fare di testa propria. E con propria delibera ne ha individuato uno a Castrovillari, dove non c’è neanche il reparto di malattie infettive, ma avrebbero dovuto essere creati 38 posti in più fra terapia intensiva, sub intensiva e pneumologia. Un piano comunicato a medici e personale della struttura qualche ora prima di iniziare a inviare i primi pazienti sospetti positivi, peraltro terminali. E senza preoccuparsi che a Castrovillari ci fossero Dpi a sufficienza, macchinari, spazi adeguati, percorsi specifici, personale sufficiente e formato per gestire una patologia ad alta viralità. Mancava tutto.

«Ci pare che la decisione assunta dal Vertice aziendale, probabilmente dettata dalla concitazione e gravità del momento, non sia condivisibile, né nei tempi previsti, né nelle modalità, perché effettuata forse alla luce di una non approfondita conoscenza della situazione logistico-organizzativa dell’Ospedale di Castrovillari», hanno tuonato otto associazioni di camici bianchi con una lettera congiunta. Un medico anziano del reparto Rianimazione, la dottoressa Assunta Arcuri è passata direttamente all’esposto in procura a Catanzaro per denunciare che il trasferimento dei primi pazienti era avvenuto «con procedura ordinaria, senza rispettare percorsi e separazioni, senza che l’azienda fornisse i Dpi necessari, senza dunque messo in essere il documento di valutazione dei rischi (Dvr) necessario all’organizzazione interna».

VENTILATORI AL NORD
Alla fine su Castrovillari si è fatto un passo indietro e Zuccatelli ha dirottato i pazienti sullo spoke di Cetraro, che con i suoi 5 posti di terapia intensiva per adesso regge. Gli hub nel frattempo sono stati svuotati o quasi. Rimandate a data da destinarsi le attività ambulatoriali e le chirurgie non urgenti, i reparti sono stati liberati, gli spazi recuperati, il personale cooptato per l’emergenza. Al Gom di Reggio Calabria tutte le Divisioni sono state obbligate a cedere qualche operatore, con due schemi: adesione volontaria o arruolamento d’ufficio nel caso degli ultimi entrati in servizio, i più giovani, con il supporto degli otto dottori in pensione rientrati in servizio a titolo gratuito. Altri medici, infermieri e operatori arriveranno.

Al bando urgente pubblicato dalla Regione hanno risposto in 600, fra medici, infermieri e operatori socio-sanitari (oss). Ma ci sono voluti giorni di trattative per assegnarli alle Asp senza urtare gelosie territoriali. I rinforzi però sono urgenti anche perché in poco più di un mese sono una trentina gli operatori sanitari contagiati, fra medici di base e ospedalieri. E solo dopo il caso Chiaravalle la governatrice ha emesso un’ordinanza per disporre test a tappeto per tutti i sanitari a rischio. Ma la coperta è cortissima e nel frattempo la commissaria del Gom di Reggio, Iole Fantozzi, ha dovuto cedere quattordici ventilatori alla Protezione civile che li ha dirottati al Nord.
Non è chiaro se le forze in più arriveranno anche nei piccoli ospedali generali presenti sul territorio, che verranno coinvolti solo in caso di estrema necessità. È una sorta di rete di seconda fascia in cui sono finiti anche centri come quello di Melito Porto Salvo dove il reparto di Malattie Infettive non c’è, la Rianimazione neppure e manca anche la Tac. Anche Locri, struttura spoke diretta da Domenico Fortugno, fratello del consigliere assassinato Franco, potrebbe essere coinvolta nella medesima rete, sebbene nei mesi scorsi sia stata messa in crisi dall’avaria dell’unico ascensore funzionante. Il sindaco Giovanni Calabrese promette barricate. «È un’idea demenziale», ha fatto sapere alla Regione a mezzo stampa.

Parole simili le ha usate il sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, quando la Regione ha tentato di trasferire nell’ospedale della città alcuni pazienti Covid. In Calabria si litiga. Si può fare anche stando a casa.