Nulla sarà come prima. A tutti, la pandemia sta sconvolgendo la vita. A pochi, sta offrendo un’incredibile occasione di guadagno. Per afferrare i profitti da virus è nato un nuovo mercato criminale, in grado di propagarsi con la stessa rapidità del Covid-19. Nell’imperativo dell’emergenza, boss e imprenditori si sono federati, determinando una mutazione del concetto stesso di «associazione criminale» che non conosce confini. Cina, Sudafrica, Emirati, Russia, Americhe ed Europa si sono intrecciate in una rete di legami nella quale conta solo la capacità di risolvere in fretta i problemi. Dal marzo 2020 famiglie mafiose che vantano decenni di esperienza nell’import-export e colletti bianchi senza scrupoli hanno riconvertito i loro business ed esplorato le nuove opportunità. In fondo, si tratta di affrontare una questione di logistica: trovare quello che manca e farlo arrivare dove è richiesto, a qualunque costo. La stessa dinamica di ogni mercato criminale, quella che ad esempio regola i traffici di droga. Questa volta però i prodotti sono altri: nella prima fase mascherine, camici, provette, guanti, disinfettanti, respiratori, bombole di ossigeno. Il prezzo è aumentato di dieci-cento volte nel giro di due settimane.
Poi, sulla scia della crisi, sono nati nuovi settori di speculazione. Le frodi informatiche, visto che il lockdown ha imposto di usare il web per qualsiasi operazione, dalla spesa quotidiana all’anagrafe. E le truffe sui ristori stanziati per sostenere famiglie ed aziende in difficoltà. Ora l’oro liquido è il vaccino. Un bene così prezioso da fare temere assalti armati. «Magazzini e spedizioni sono a rischio furti», ha avvertito il capo dell’Interpol, Juergen Stock.
Non si tratta di un vizio italiano, ma di una trasformazione mondiale: la corsa ai profitti e le ombre malavitose sono le stesse, dalla Germania al Brasile, dalla Turchia all’India. La prima analisi completa dell’atlante criminale ai tempi della pandemia è stata realizzata dal Gruppo d’azione finanziaria internazionale, l’organismo leader nella lotta contro il riciclaggio di denaro sporco. Ovunque, la debolezza dei sistemi sanitari travolti dall’onda dei contagi ha aperto la gara per reperire strumenti diagnostici, farmaci, indumenti protettivi: una corsa all’oro, nella quale le truffe sono state frequenti.
A gennaio 2020 il mondo ancora non ha compreso il pericolo del Covid-19, ma in Cina appare il primo annuncio: «Abbiamo a disposizione ingenti quantità di mascherine chirurgiche e disinfettanti». In un paio di settimane su tre conti di Hong Kong arrivano oltre 180mila dollari che spariscono per sempre, proprio come i dispositivi di protezione. Il virus si propaga veloce e il crimine si adegua. Meno di due mesi dopo a finire nelle mani dei banditi sono le autorità sanitarie tedesche. Hanno bisogno di mascherine per 15 milioni di euro e si rivolgono a due società di Zurigo e Amburgo, che però non sono in grado di soddisfare la domanda e rimandano l’ordine ad un’azienda spagnola. Sul sito web sostiene di averne ben 10 milioni in magazzino; peccato che quella pagina internet in realtà sia clonata. Alla fine in un giro vorticoso che rimbalza da un rivenditore irlandese a una società olandese, prima che i tedeschi si accorgano della fregatura mezzo milione di euro è già volato in Nigeria. Per i clan e i professionisti che si mettono al loro servizio, tutto quel che diventa indispensabile per difenderci dal morbo si trasforma in business: mascherine importate con documenti apparentemente in regola e poi risultati taroccati; altre con livelli di schermatura inferiori; certificatori improvvisati pronti a mettere qualunque timbro in cambio dei soldi. Per fronteggiare l’emergenza c’è chi come il governo italiano ha scelto di procedere in deroga e il risultato è stato che la procura di Roma ha già aperto un’inchiesta per una maxi commessa da 1,25 miliardi di euro con tre consorzi cinesi e ben 70 milioni di euro in commissioni finiti nelle tasche di imprenditori italiani. Frodi e truffe nelle forniture e falsi certificati di conformità fanno fruttare cifre da capogiro, in Brasile ben 360 milioni solo tra aprile e novembre dello scorso anno. E l’arrembaggio persino in Germania ha messo in luce le relazioni politiche dei broker, con uno scandalo che sta facendo tremare il vertice della Cdu.
Un anno dopo le piazze commerciali per ottenere il vaccino si moltiplicano nell’ombra. C’è il contrabbando o meglio «le vendite parallele», con zone franche dove gli antidoti europei, russi o cinesi cambiano destinazione. Nelle Filippine migliaia di cinesi, impiegati nel business del gioco d’azzardo, hanno ricevuto le iniezioni di Sinopharm, nonostante le autorità di Manila non ne avessero ancora approvato l’utilizzo. Il prezzo di vendita da 30 dollari è schizzato a 300. In Ucraina, invece, a gennaio la polizia ha scoperto un traffico da 3mila euro a dose. Diversi analisti evidenziano le similitudini tra le quotazioni dei vaccini e quelle della droga: basta che i grossisti annuncino un ritardo nelle consegne e le tariffe salgono alle stelle. Le multinazionali segnalano di non poter rispettare i tempi concordati con la Ue? Ed ecco arrivare le proposte dei «terzisti». Solo nelle ultime settimane il governo della Repubblica Ceca ha ricevuto due offerte da parte di venditori degli Emirati Arabi pronti a piazzare lotti prodotti in India, ma anche quelli di AstraZeneca.
Non si tratta di casi isolati, tanto che l’Olaf, l’ufficio europeo per la lotta antifrode, ha segnalato il movimento sul mercato parallelo di un milione di dosi con il rischio per i governi dell’Unione di una frode colossale da 14 miliardi di euro. Le offerte provengono spesso da società con sede in paesi extra Ue, riattivate unicamente per queste operazioni. Che in alcuni casi sono vere e proprie truffe: chiedono pagamenti in anticipo e spariscono con i soldi, rendendo quasi impossibile rintracciare i responsabili.
C’è poi il bazar dei falsi vaccini: dosi contraffatte sono già state sequestrate da Interpol in Sudafrica e Cina e potrebbero approdare nelle farmacie illegali online. Per non parlare degli stregoni delle terapie, che offrono rimedi tribali sulle reti digitali; cure Covid-19 dall’origano alle feci bovine, dai farmaci miracolosi ai finti kit per effettuare test.
Non si tratta solo di commerci. La pandemia ha reso mature attività illecite che prima erano poco più che sperimentali. Adesso la pirateria informatica è diventata di massa, con diversi livelli di professionalità. Ogni informazione sui vaccini e le terapie ha assunto un valore strategico. Il lato più oscuro è quello che cerca di impossessarsi delle formule magiche dell’immunizzazione con attacchi cyber a laboratori, ospedali e centri di ricerca. Queste incursioni sono la punta di diamante di un’evoluzione digitale del crimine dilagata durante il lockdown: un cambiamento strutturale, destinato a rimanere nel futuro. In tutto il mondo, con gruppi che agiscono senza badare ai confini. Si impossessano dei dati personali, penetrano nei conti bancari, manipolano le carte di credito. Carpiscono con mille trucchi la fiducia di chi non è esperto del web. Ad esempio, con finte comunicazioni attribuite all’Oms, elenchi di raccomandazioni, falsi collegamenti agli enti che elargiscono i ristori economici o a banche che danno prestiti con garanzia statale. Una volta che la vittima abbocca, ripuliscono i conti. Alle aziende invece paralizzano i server o bloccano i dati, finché non ottengono un riscatto.
Nel dossier del Gafi si scorge l’inizio di una nuova era. Dove i clan possono contare sulle risorse economiche e la flessibilità, ma soprattutto sull’alleanza con gli interessi di mediatori politici e professionisti borghesi, formando un blocco compatto transnazionale. Le rotte aperte per il contrabbando di mascherine possono diventare il canale per investimenti nelle attività piegate dalla crisi. Investire in alberghi, ristoranti, immobili, società ovunque, muovendo denaro cash attraverso i continenti. Un quinto delle aziende italiane, secondo l’agenzia di rating Cerved, è a rischio usura e già oggi in alcune province come Napoli, Roma e Catania sono passate di mano migliaia di società. Il Gruppo d’azione finanziaria internazionale avverte: «Aumento della disoccupazione, difficoltà finanziarie, fallimento delle aziende, rappresentano vulnerabilità che i criminali potrebbero sfruttare sempre di più».
Durante la pandemia le mafie hanno cercato di essere una fonte di welfare alternativo: dalla distribuzione dei pacchi di cibo al far rispettare le misure del lockdown con la forza. «I gruppi criminali sono alla ricerca di una merce preziosa e intangibile: la legittimità che si fonda sul consenso sociale. Si pongono come entità di governo e protezione in contesti dove lo Stato ha negato che il Covid-19 fosse un problema, come in Brasile, oppure dove non arriva in fretta a proteggere i più deboli. Cresce così la governance delle comunità da parte delle mafie e questo è un effetto del virus che in alcuni contesti come l’America Latina non finirà presto una volta superata la pandemia. Anche l’Italia deve fare attenzione», sottolinea Federico Varese, professor di criminologia all’università di Oxford. Mutazioni che proseguiranno dopo il Covid come quelle legate ai crimini informatici. Per Varese «è necessario che i giganti del web vengano considerati come fornitori di servizi essenziali, introducendo una dimensione di controllo pubblico e che le banche che non segnalano le operazioni sospette siano sanzionate».
L’ultimo settore preso di mira dalla Spectre del Covid sono i finanziamenti pubblici: basta ingaggiare prestanome o rilevare aziende decotte per intascare i sussidi e sparire. Affiliati alle cosche calabresi in Lombardia hanno arraffato così ricchi contributi utilizzando fatture false per giustificare introiti inesistenti. Legale e illegale che si intrecciano e fanno sì che ad accaparrarsi le sovvenzioni siano i criminali grazie all’aiuto di una zona grigia pronta a offrire i giusti servizi. In Spagna, ad aprile, un’organizzazione criminale aveva inglobato 50 aziende sull’orlo del fallimento solo per ottenere i ristori statali, mentre lo scorso luglio nello stato di Washington un uomo è stato accusato di aver presentato false dichiarazioni fiscali per conto di sei diverse società, così da ottenere più di 5 milioni di dollari. Una delle aziende vantava sulla carta dozzine di dipendenti e pagamenti di salari e tasse per milioni, in realtà l’aveva acquistata qualche mese prima su internet ed era inattiva. In Svizzera, invece, un istituto finanziario ha concesso un prestito di 90mila franchi a un’impresa di costruzioni fantasma che aveva già fatto lo stesso gioco con un’altra banca. Tanti episodi che marcano un’evoluzione globale, dagli esiti imprevedibili. Ma in tutto il mondo sono tanti a temere che questa mutazione criminale non scomparirà con la pandemia, anzi: potrebbe diventare il nuovo modello delle mafie in affari, sempre più inserite nell’economia ferita dal virus.