Inventività e flessibilità. Le narcomafie hanno saputo adattarsi all’emergenza da pandemia riconvertendo in fretta il business più redditizio. Hanno intrecciato joint venture transnazionali per aggirare i lockdown e le frontiere chiuse, assicurandosi nuove rotte per gestire l’intera filiera, dalla produzione al consumo. Hanno nascosto i carichi di cocaina in sottomarini capaci di attraversare l’Atlantico o stipato l’eroina liquida nei serbatoi dove nessuno controlla. E, come tutte le altre attività imprenditoriali durante il Covid-19, si sono convertite ovunque alla dimensione digitale, dalle contrattazioni online con servizi di messaggistica criptata fino alle consegne a domicilio con i pusher travestiti da rider.
All’inizio la pandemia li ha spiazzati. Per loro è stata una doppia minaccia, che ostacolava le vendite al dettaglio nelle piazze e le esportazioni all’ingrosso tra nazioni. C’è stata una rapida carenza di materiali e mezzi. Basti pensare ai precursori per le metanfetamine, prodotti soprattutto in Cina. Proprio a Wuhan, dove tutto è partito, ha sede la Yuancheng Group un’azienda chimica premiata in patria come innovativa, ma che per il giornalista americano Ben Westhoff, autore del libro Fentanyl, Inc, ha una clientela privilegiata: i cartelli messicani. Gli effetti della crisi però sono stati temporanei, il traffico di droga è la fonte più remunerativa e le organizzazioni criminali hanno sviluppato schemi operativi innovativi. Con un salto di qualità. Basta con i corrieri che ingoiano ovuli: si è passati completamente alle catene logistiche commerciali e ai container. Quanto allo spaccio, meglio il web: ordini telematici, quasi mai in contanti, e spedizioni postali a domicilio.
Così dopo un iniziale rallentamento i traffici sono volati. Un segnale arriva dai sequestri e per l’Italia è record: ben 58 tonnellate, oltre il 7 per cento in più del pre-pandemia. A colpire sono soprattutto i dati sulla cocaina: 13,4 tonnellate con un aumento del 62,2 per cento rispetto al 2019, che aveva già segnato un traguardo mai raggiunto di oltre 8 tonnellate sequestrate. Più della metà arriva dal porto di Gioia Tauro. La conferma che questo è sempre l’affare principale per la ’ndrangheta che «mantiene un ruolo egemone nei circuiti globali con Gioia Tauro come hub anche per i carichi diretti nella regione balcanica», come spiega il vicecapo della Polizia Vittorio Rizzi. Le organizzazioni albanesi e serbo-montenegrine hanno ormai consolidato un ruolo di primo piano nel traffico, instaurando rapporti di stretta collaborazione sia con i cartelli dei produttori sia con le nostre mafie.
La relazione annuale della Direzione centrale dei servizi antidroga fotografa lo sviluppo dello spaccio online: ci si muove sul dark web o sui canali social. Si può acquistare comodamente dal divano, pagando in criptovalute su piattaforme terze. I servizi di delivery sono garantiti da pusher camuffati da rider o da dog sitter, categorie libere di muoversi anche in zona rossa: l’accordo avviene con il telefonino, su una chat criptata, e allo spacciatore sarà sufficiente nascondere la droga in un posto concordato. Naturalmente, come per l’e-commerce ci sono pure le spedizioni postali. «La pandemia ha fatto accelerare questi processi, per questo stiamo lavorando ad accrescere l’intervento nel territorio virtuale», sottolinea il generale della Guardia di Finanza Antonino Maggiore a capo dei nostri servizi antidroga.
Si punta a formare il personale e acquisire software di ultima generazione per monitorare le consegne gestite da corrieri pubblici e privati. Con un occhio di riguardo alle droghe sintetiche, trattate soprattutto in rete: il lockdown ha fatto decollare il consumo tra i giovanissimi. C’è un boom delle nuove sostanze psicoattive, molecole ottenute attraverso una costante manipolazione delle strutture chimiche di base e ancora non inserite tra le sostanze vietate: solo lo scorso anno ne sono state individuate ben 46.