Vergogne
Gli ispettori del lavoro sono troppo pochi e con le armi spuntate: così incidenti e morti in azienda aumentano
Poche migliaia di persone dovrebbero controllare 4 milioni di aziende. E il Documento di valutazione rischi, che dovrebbe essere la mappa per tutelare la salute del lavoratore, è finito nella pastoia della burocrazia
Aumentano gli infortuni sul lavoro diminuisce l’efficacia degli strumenti per contrastarli. Se gli incidenti non vengono riconosciuti è colpa della disorganizzazione italiana. Il Documento di valutazione rischi (Dvr) che è la mappa della salute del lavoratore nelle aziende rischia, infatti, di finire nella pastoia della burocrazia. Non è marginale se l’imprenditore ci disegna, secondo linee guida degli organi vigilanti, le difficoltà che il dipendente incontra nel suo specifico settore, rimediando ai vuoti pericolosi di certe mansioni. Se in Italia si mette a rischio la vita durante il lavoro, si deve andare a ritroso per cercarne i motivi, dove c’è questa carta che sta diventando paradossalmente un’appendice priva dei contenuti e degli obiettivi per cui era nata. I numeri elencati con dovizia da parte dell’Inail mostrano un quadro assai poco confortante visto che le denunce per infortunio sul lavoro nel 2021 sono aumentate dell’8 per cento rispetto al 2020 raggiungendo quota 396.372. Le denunce delle malattie professionali sono aumentate addirittura del 27 per cento rispetto al 2020. Ecco perché occorre ripartire dal documento che costituisce l’architrave del labirinto lavorativo italiano. Proprio il direttore generale dell’Ispettorato del lavoro Bruno Giordano ricorda l’importanza della carta quando spiega che «attraverso di essa è possibile verificare se le misure di prevenzione e protezione sono adeguate al tipo di attività che l’impresa svolge».
Cesare Damiano consulente del ministero del Lavoro e consigliere d’amministrazione dell’Inail che ha contribuito nel 2008 alla parziale integrazione e modifica del decreto legislativo del 1994 spiega con due parole la natura del documento e la sua variabilità: «Dipende da come questa carta viene utilizzata, come tutti gli atti anche questo non fa eccezioni». «All’inizio l’Italia ha cercato di recepire la direttiva europea per migliorare la sicurezza lavorativa e questo documento doveva riflettere anche le misure che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare per contrastare l’esistenza di rischi», ricorda Silvino Candeloro della Cgil Inca.
Col tempo qualcosa è andato perso visto che la memoria di quell’inizio non è stata ravvivata da alcuna statistica né da indizi che fossero in grado di focalizzare la situazione; al contrario tutto è stato lasciato all’italica improvvisazione e affidato al buon cuore e alla buona conoscenza dell’imprenditore. Come nelle migliori famiglie non c’è una cattiva volontà dei protagonisti: ciò che emerge è un intreccio di episodi sciatti dove le responsabilità vengono scaricate da soggetto a soggetto con la legge che spesso gioca un ruolo comprimario dimenticandosi della sua funzione normatrice. A volte la pratica è più significativa di tante parole. Siamo in un paesino della provincia di Genova in una delle tante stagioni primaverili con due operai fuori forma che operano a cavalcioni sul terrazzino di un tetto ad una ventina di metri dal suolo. Uno è in bilico trattenuto a stento dall’altro. Si giustifica di fronte ai vigilanti dicendo di portare con sé la cintura di protezione e non indossarla per problemi di digestione.
Nelle verifiche successive salta fuori anche un certificato medico in cui si vieta al dipendente di lavorare in quota. Al consulente del lavoro viene fatto notare questo passo e la risposta è disarmante: «Credevo si trattasse di lavori sopra i 2000 metri di altezza». Un episodio che impietosamente mostra le omissioni di alcune condotte: l’assenza di tutto ciò dal Dvr, la delega dell’imprenditore ad un libero professionista che solitamente nel contratto che stipula con l’impresa tiene bene a scansare le proprie responsabilità dal settore sicurezza e la precarietà della posizione dei lavoratori in bilico tra l’abisso delle regole e quello della realtà quotidiana. In fondo il primo ed ultimo responsabile di questo documento è il datore di lavoro che deve redigerlo secondo alcuni strumenti che Inail e Asur gli offrono a portata di mano. La violazione dell’obbligo finora ha comportato delle sanzioni amministrative che dovrebbero essere modificate dal nuovo decreto legge del 21 ottobre scorso.
In fase di repressione dei comportamenti illegali c’è ancora molto da raccontare. Che per esempio a fronte di circa 4 milioni di imprese ci sono più o meno 4.000 ispettori del lavoro (Inl) e 2.000 delle aziende sanitarie che possono agire sul campo. Che finora, cioè fino al decreto di ottobre, gli Inl potevano operare esclusivamente ed obbligatoriamente solo nell’edilizia demandando gli altri compiti alle aziende sanitarie locali con il resto degli ispettori, che il senso dei controlli dell’Inail è dato dalla “premialità” che deve essere versata al proprio ente. Che per rendersi conto dell’importanza del Dvr bisogna sottolineare come le malattie professionali riconosciute dall’Inail si basino su quanto scritto nel documento.
Nonostante ciò, non ci si capacita per quale ragione moltissimi operai non ottengano alcuna indennità pur presentando difficoltà e problemi oggettivi: «Spesso e volentieri è la stessa Inail che nei procedimenti resta sorpresa di certe situazioni», dice il dottor Vincenzo Rosini, medico legale che combatte le sue battaglie per il riconoscimento delle malattie professionali: «Mi trovo con le armi spuntate perché nel Dvr non viene scritto ciò che dovrebbe essere registrato. Basterebbe che gli enti certificatori avvalorassero ciò che l’imprenditore asserisce nel documento e molte ingiustizie potrebbero essere eliminate». Che la guerra di Rosini e dei suoi colleghi di trincea sia abbastanza difficile, e quasi persa in partenza, lo testimonia un altro dato che Sebastiano Calleri, responsabile salute della Cgil, mette in evidenza: «Appena il 34 per cento del numero totale delle denunce delle malattie professionali viene riconosciuto». Anche in questo caso il Dvr svolge una funzione determinante visto che tutto quello che viene deciso deve essere prima riportato nel documento.
Qualcosa all’orizzonte sta cambiando con il decreto legge di ottobre che ancora non è stato convertito in legge, però. Gli ispettori dell’Inl andranno a dar man forte a quelli delle aziende sanitarie locali e quel che svolgevano esclusivamente nel settore edile sarà allargato anche ad altri settori imprenditoriali. In più andrà potenziata la vigilanza portando a settemila unità i controllori, un’inezia, se vogliamo, rispetto all’enorme presenza sul territorio delle imprese. Muta anche l’attenzione nei riguardi dell’imprenditore che trasgredisce l’obbligo di redigere il Dvr: l’attività dell’impresa sarà sospesa e se non si provvederà a correggere l’atto potranno essere adottate misure di natura penale come le multe. Siamo però nel limbo di un’attesa che solo i termini legislativi di ogni decreto potranno chiarire, a cominciare dalla posizione incerta delle aziende sanitarie regionali che, nel dividere il controllo con gli Inl, temono di essere marginalizzate. Mentre a Roma si discute e si combatte per mettere d’accordo i diversi attori di questa scena, l’unica certezza proviene dal documento di valutazione rischi il cui cammino deve ancora iniziare. Sottolinea Giordano: «Per molte aziende abbiamo riscontrato che questo documento costituisce un valore oggettivo fondamentale, per altre invece rappresenta una mera formalità burocratica. Una differenza di visione che non solo costituisce lo spartiacque tra imprese serie e meno ma anche tra chi ha a cuore la salute e chi invece considera i lavoratori come un mezzo di profitto». Come nel caso di un controllo in un’impresa dove il datore di lavoro riusciva quasi a farla franca. È capitato che il livello di rumore eccepito da un rappresentante sindacale risultasse nella normalità del Dvr. Solo dopo approfondimenti si riuscì a stabilire che l’imprenditore registrava queste misure nei giorni festivi.
Spesso capita che il Dvr rappresenti a malapena una formalità senza essere aggiornato tradendo lo spirito dell’allora ministro del Lavoro Cesare Damiano. «Questo documento è dinamico, bisogna ricordarlo ogni qualvolta si cambia organizzazione del lavoro e si mutano le mansioni dei dipendenti, nel momento in cui avviene una trasformazione esiste l’obbligo dell’aggiornamento del documento», sottolinea Damiano. «Senza tralasciare che le norme ci sono e dovrebbero essere applicate per scongiurare le future morti», dice il direttore dell’Inl. «Più che concorrere a colmare il debito dello Stato, l’Inail dovrebbe indirizzarsi verso il sociale con un’autonomia finanziaria. Abbiamo cercato di abbassare la franchigia per gli incidenti includendo quelli più lievi ma la Ragioneria è intervenuta mostrando il rosso del bilancio», osserva Damiano. Per invertire la rotta si potrebbe cominciare a valutare con precisione i dati del Dvr. In questa direzione riuscire a stabilire il suo funzionamento potrebbe aiutare. Sarebbe un primo passo per la tutela della salute di chi lavora.