È la “quota Mezzogiorno”. Fatto cento il Pnrr, il quaranta dovrebbe andare a Sud. Le Fs hanno aumentato al quarantacinque. Con una dozzina di miliardi di euro da spendere da qui al dicembre 2026 il colosso di Villa Patrizi punta a ridurre un divario cresciuto a dismisura dai tempi della Napoli-Portici, prima ferrovia italiana inaugurata nel 1839 da Ferdinando II di Borbone.
Questa è l’idea. Poi c’è la realtà, con le gare fatte e rifatte sull’alta velocità Palermo-Catania-Messina, la progettazione affidata a Italferr in difficoltà, le imprese ingolfate di lavori che preferiscono il Nord delle amministrazioni efficienti. Giorgia Meloni ne ha preso atto in vista delle prossime milestone, come vengono chiamati a Bruxelles gli stati avanzamento lavori necessari a ottenere i fondi Ue, programmate a fine marzo e a fine giugno 2023.
Perdere i soldi non è un’opzione accettabile per la presidente del consiglio. Nello stesso modo Ursula von der Leyen, che guida la commissione europea, non intende concedere proroghe. Quindi, grazie a una certa confusione tra denaro del Pnrr, fondi complementari, fondi strutturali, fondi ordinari, aiuti vari, l’idea del governo è usare i finanziamenti in modo flessibile attraverso il gruppo Fs, maggiore stazione appaltante del paese con circa 24 miliardi da spendere di solo Pnrr, altri 25 di budget Rfi e un piano industriale 2022-2031 che sfiora i 190 miliardi di euro.

Luigi Ferraris
Nell’immediato i soldi della ricostruzione post-pandemica andranno a chi è pronto. E qui la quota Mezzogiorno rischia di ridursi parecchio. È al Sud che si concentrano le amministrazioni incapaci di spendere segnalate dalla Corte dei conti nella delibera 47 dello scorso 8 agosto scorso.
I cantieri corrono sull’Av Brescia-Padova e sull’asse di nordovest, con il Terzo Valico dei Giovi e il nodo di Genova. Ci si aspetta rapidità anche per la circonvallazione ferroviaria di Trento, da collegare al tunnel del Brennero, che vale 970 milioni di euro di cui 930 dal Pnrr. La gara è stata bandita a fine settembre.
Sotto Roma, la Napoli-Bari procede e l’apertura della linea diretta è prevista nel 2024. Ma era partita prima della pandemia e del Pnrr ed è certo che sarà finita nel 2027-28 anziché nel 2026. Non è stata ancora assegnata la galleria Hirpinia-Orsara, un sublotto che unirà le provincie di Benevento e Foggia. È un’opera che da sola costa 1,5 miliardo di euro per 25 chilometri con un risparmio di mezz’ora in tempi di percorrenza. L’inaugurazione del 2024, si farà con una parte di vecchia linea, come succedeva ai tempi dell’autostrada Salerno-Reggio, data per compiuta nel 2016 e tuttora in rifacimento a sud di Cosenza e a Pizzo Calabro.
A proposito di Calabria, la regione fra le più arretrate economicamente d’Europa non vedrà un euro dai fondi Pnrr in strutture ferroviarie. La Salerno-Reggio dell’alta velocità è dotata di un finanziamento da 1,8 miliardi di euro per il lotto 1 che da Battipaglia si addentra verso l’Irpinia, e si ferma a Romagnano al Monte (Salerno). Con i lotti successivi, senza copertura finanziaria, dovrebbe sterzare una prima volta verso sud, una seconda verso est a Tarsia in Calabria e poi di nuovo a ovest verso Paola o forse Lamezia Terme.

È una follia progettistica da 22 miliardi di euro, 30 miliardi secondo altri, che allungherebbe il percorso attuale di 45 chilometri. Lo hanno segnalato in sede di dibattito pubblico vari ingegneri e il docente di trasporti dell’Unimed Francesco Russo, ex vicepresidente della giunta Oliverio. Sulle probabilità reali di completamento entro metà secolo sono scettici persino in Fs.
Anche in Sicilia i tecnici hanno contestato la definizione di alta velocità per una linea che toccherà punte massime di 180 km/h. Mercoledì 8 novembre le Fs hanno dato la notizia della nuova gara assegnata su un tratto della Palermo-Catania-Messina. È la Caltanissetta Xirbi-Lercara da 1,7 md di cui 470 milioni Pnrr. Ma l’annuncio non ha fatto dimenticare la polemica più recente sui Frecciabianca fra Palermo e Catania, eliminati a settembre per carenza di passeggeri dovuta a scarse prestazioni: 3 ore per 200 km.
La nuova Av siciliana è un caso esemplare di finanziamento misto dato che ha ricevuto 101 milioni di fondi regionali oltre agli extracosti coperti dal Decreto aiuti. La proroga degli aiuti al 2023 è stata invocato da Federica Brancaccio, presidente dei costruttori dell’Ance, in una lettera spedita alla premier dove si prospetta il blocco dei cantieri e la conseguente perdita dei fondi Ue.
Rischiano di finire fuori tempo massimo anche i nove hub intermodali e le 45 stazioni ferroviarie del sud da rinnovare entro il 2026 con il sostegno di 700 milioni di euro del Pnrr.
Come non bastasse il caro-acciaio, se si dà un rapido sguardo alla nuova formazione del governo, il Sud ha poco da stare sereno. Alla testa del ministero delle infrastrutture, che dovrebbe tornare a chiamarsi Mit dopo la parentesi Mims, c’è il nordista Matteo Salvini che per lo più si occupa di migranti e che è tornato ad agitare il colossale specchietto per le allodole del ponte sullo Stretto sostenuto dai presidenti delle due regioni e, un po’ a sorpresa, dal consiglio nazionale degli ingegneri. Il suo vice e compagno di partito è il genovese Edoardo Rixi, alle prese con gli investimenti in arrivo nella sua città. Oltre all’Av, c’è la nuova diga foranea del porto e forse un ritorno di fiamma per uno dei progetti della Gronda. Infine il sottosegretario Fdi Galeazzo Bignami, bolognese, finora si è segnalato per le goliardate con svastica e le battaglie politiche a favore dei balneari contro la direttiva Bolkestein.

Molte delle opere ferroviarie che interessano il Sud somigliano a reti a strascico lanciate nel futuro remoto da politici che, per quel tempo, saranno altrove. Poi però ci sono le scadenze immediate. È vero che il tandem di testa nel gruppo Fs, formato dalla presidente Nicoletta Giadrossi e dall’ad Luigi Ferraris, è stato nominato alla fine del 2021 e dovrebbe arrivare fino al 2024. Ma nel breve-medio periodo il centrodestra ha a disposizione un bel lotto di nomine. Anche lo spoil system rischia di rallentare le procedure con amministratori vecchi che si sentono a fine corsa e amministratori nuovi poco padroni della macchina.
All’approvazione del bilancio 2022, da qui a meno di sei mesi, il governo potrà agire sulle due controllate principali Rfi e Trenitalia, che nel frattempo Ferraris ha messo a capo dei nuovi poli infrastrutture (110 miliardi di euro di investimenti più 50 dell’Anas) e passeggeri (15 miliardi di investimenti). Altri due poli, urbano e merci, sono stati creati in un progetto di aggregazione verticale fra le tante anime del leviatano Fs.
I vertici di Trenitalia hanno scarsissime probabilità di sopravvivere. Nessuna, per meglio dire. Il presidente Michele Pompeo Meta è stato assessore e deputato Pd, oltre che capo della segreteria di Nicola Zingaretti. L’ad Luigi Corradi, nonostante una dimensione tecnica acquisita nella francese Bombardier, era stato suggerito al Tesoro nel dicembre 2020 dal grillino Riccardo Fraccaro, sottosegretario del presidente del consiglio Giuseppe Conte.
Anche le manager al comando di Rfi sono state nominate a dicembre di due anni fa dal governo giallo-rosa. Non sarà confermata la presidente Anna Masutti, docente di diritto della navigazione aerea prestata ai binari. Potrebbe avere qualche chance in più l’ad Vera Fiorani, entrata in Fs nel 1995, non fosse altro che per spegnere il malcontento interno nei confronti dei tanti manager assunti sul mercato dal settore energia. Dei dodici dirigenti della prima linea, sei arrivano da Enel-Terna. Oltre allo stesso Ferraris, sono Marco Fossataro, Roberto Tundo, Massimo Bruno, Luca Torchia e Carlo Palasciano Villamagna. La settima dell’elenco è la presidente Nicoletta Giadrossi, ex Technip, Ge Oil&Gas e Falck renewables.
In attesa che Meloni e Salvini si mettano a distribuire le carte del nuovo corso, il gruppo attualmente al comando sta spostando e assumendo manager con lo stesso dinamismo con il quale organizza poli e annuncia piani industriali. Il cfo Fossataro è arrivato a settembre dopo due anni nella cinese Haier.
Ancora più recente è il trasferimento dalla controllata Anas di Roberto Massi, ex generale della guardia di finanza trasferito in ottobre per occuparsi di security and risk, la casella che era occupata da un altro ex finanziere, l’ex capitano Franco Fiumara, in antichi rapporti con il comandante generale Giuseppe Zafarana oltre che con il concittadino e coetaneo Paolo Ielo, procuratore aggiunto a Roma.
Per Fiumara, gestore dell’intricata vicenda delle polizze assicurative che ha coinvolto il precedente ad, è stata costituita ex novo ai primi di ottobre la Fs security project con una cessione di ramo d’azienda che sta creando qualche resistenza nel sindacato dei trasporti Orsa.
Anche le relazioni fra il gruppo Fs e il ministero potrebbero essere reindirizzate presto su nuovi interlocutori. Il capo della missione tecnica del Mims, una figura chiave nel coordinamento fra ministero e Fs, è Giuseppe Catalano. L’ingegnere e docente foggiano è stato nominato dal ministro pd Graziano Delrio nel luglio 2017, confermato due anni dopo dalla ministra pd Paola De Micheli e mantenuto nel ruolo dal governo Draghi a marzo del 2021. Resisterà? Difficile. Non è un Pnrr per meridionali.