Se il depistaggio fosse una gara olimpica, il partito della bomba di Ustica potrebbe vincere una medaglia d'oro nel falso triplo. Anche per la tragedia del 27 giugno 1980, come per troppe altre stragi italiane, le indagini sono state ostacolate e inquinate per decenni da menzogne, reticenze e falsità. La prima invenzione è una fanta-bomba quasi immediata, di matrice piduista. Il giorno dopo il disastro, mentre si cercano i corpi delle 81 vittime e i resti dell'aereo civile precipitato in mare vicino a Ustica, alla redazione romana del Corriere della Sera arriva una telefonata anonima: un sedicente portavoce dei Nar, la banda sanguinaria di terroristi neofascisti con base a Roma, afferma che sul DC-9 sarebbe morto Marco Affatigato, definito «il nostro camerata», ucciso da un ordigno che avrebbe dovuto trasportare a Palermo. In realtà Affatigato è vivo: sua madre dichiara alla polizia già il 29 giugno che le ha telefonato e le ha chiesto di smentire. Affatigato è stato trovato morto nel suo appartamento di rue de France, a Nizza, pochi giorni fa: venerdì 11 aprile 2025.
L’oscura manovra ha comunque l'effetto di intossicare le indagini fin dall'inizio, innescando la falsa pista terroristica. Di fatto, è l'atto di nascita di una teoria che continua ancora oggi a essere propagandata da una cordata di militari, politici e saggisti di riferimento. In verità, anche se nessuno è stato condannato nei processi penali, tutte le sentenze civili hanno smentito il partito della bomba. Almeno dal 2011, la strage di Ustica non è più un mistero: il DC-9 è stato abbattuto in una battaglia aerea tra due caccia che inseguivano un velivolo militare nemico, probabilmente un Mig libico.
L'Espresso la settimana scorsa ha pubblicato un'inchiesta che parte da questa verità giudiziaria e la completa: l'aereo civile della compagnia Itavia fu investito da un caccia americano; e tre esperti autorevoli hanno trovato almeno cinque tracce fisiche di una collisione (e non di un missile). Il partito della bomba ha reagito con insulti e attacchi al nostro giornale, ai verdetti giudiziari e perfino alla storica associazione dei parenti delle vittime. A questo punto la storia di questi depistaggi va raccontata per intero, dal caso Affatigato (che non era nemmeno dei Nar) fino al miracolo dell'ordigno alla rovescia.
L'odore di P2 si sprigiona a partire dal 2 agosto 1980, quando il depistaggio di Ustica viene ripetuto: lo stesso estremista nero si vede calunniare, questa volta da una cordata dei servizi segreti (Sismi), anche per la strage di Bologna. Un eccidio che è stato commesso, questo sì, da tre terroristi dei Nar, favoriti e protetti da Licio Gelli, il capo della loggia criminale, e dai vertici piduisti dello stesso Sismi. Affatigato è uno dei primi neofascisti che hanno parlato di soldi versati da Gelli a terroristi di destra: una testimonianza poi valorizzata dai giudici di Bologna e dalla Commissione Anselmi. La prima falsa bomba di Ustica, insomma, aveva come bersaglio il camerata che osò accusare il boss della P2.
Il secondo depistaggio viene perpetrato sui resti del DC-9: tra i reperti compaiono piccolissime tracce di due tipi di esplosivi militari, che fanno gridare alla bomba nascosta dal terrorista ignoto tra i sedili o i portabagagli dei passeggeri. Il problema è che non si trova nessun segno di deflagrazione. Sui tappetini di tutto l'aereo non c'è neppure una bruciatura. Questa e altre assurdità (l'esplosivo senza l'esplosione) portano i periti più seri a stabilire che quei reperti erano stati «contaminati» nei depositi militari: una conclusione grave, che fa indignare il giudice istruttore Rosario Priore e viene poi confermata in tutti i processi civili.
Ai periti arruolati nel partito della bomba restano in mano solo due reperti, portati in Gran Bretagna e analizzati nei laboratori militari (agenzia Dra-Rarde) da un supertecnico inglese, che era famoso per avere scoperto le tracce di una bomba libica sull'aereo civile precipitato a Lockerbie. Quelle due schegge di metallo del DC-9, ormai «inglobate in resina nera», secondo l'esperto inglese presenterebbero i caratteristici segni di un'esplosione. Ma due professori del Politecnico di Torino, che le riesaminano con microscopi e raggi X, non ne trovano la minima traccia. Scoprono invece che una scheggia, presentata come «un frammento» di un pezzo più grande, proviene da un reperto che «non mostra alcun segno di quella frammentazione».
A quel punto i professori italiani ottengono di fare un'ispezione al Dra-Rarde, dove esaminano il registro del laboratorio e vedono che «la pagina relativa alle due schegge era stata strappata e sostituita». Tornati a Roma, recuperano le fotografie legali delle «buste trans-lucide usate per spedire i reperti in Inghilterra», accertando che non c'è mai stato «nessun frammento». Altri dieci componenti del collegio peritale penale ignorano il depistaggio britannico e continuano a sostenere la tesi della bomba. Ma le successive sentenze civili non danno più alcun credito a quelle schegge.
Esclusa così qualsiasi esplosione in tutta l'area passeggeri, «l'ipotesi della bomba è costretta a rifugiarsi nella toilette, dietro l'unica porta chiusa», ricorda oggi il professor Donato Firrao, autore della storica perizia che nel 1993 escluse la bomba. La sua ironia fa sorridere gli ingegneri aeronautici Marco De Montis e Ramon Cipressi, con cui negli ultimi anni ha invece studiato le tracce di una «collisione», che parte dalla «punta deformata dell'ala destra» e arriva a quella sinistra, che è tranciata a metà, ma nella parte finale «è intatta».

Ancora oggi, i sostenitori della bomba dicono che la prova materiale sarebbe un lavandino sventrato della toilette. Ma gli scienziati dei metalli non hanno trovato tracce di esplosione nemmeno lì. «L’ipotesi della bomba è definitivamente caduta quando abbiamo esaminato i resti della porta della toilette», conclude Firrao, mostrando le foto: «Come vedete, le deformazioni sono rivolte verso l'interno, mentre un ordigno le avrebbe proiettate verso l'esterno, ovviamente». Dunque, nessuna bomba, a meno di non ipotizzare un ordigno alla rovescia, che implode invece di esplodere.