Obama è il primo politico della nuova generazione ad arrivare al potere, il primo leader post ideologico a essere maturato dopo la caduta del muro di Berlino, in un mondo non più spaccato in due, amici e nemici. Obama non è un uomo della sinistra tradizionale. Michael Walzer, uno degli intellettuali progressisti più lucidi degli Stati Uniti, dubita persino che si possa considerare un uomo di sinistra, nel senso che non ha ereditato i vecchi steccati ideologici figli del secolo scorso. Della sinistra Obama ha ereditato i principi ispiratori, che lo spingono a battersi contro le crescenti diseguaglianzi sociali e a promettere l'assistenza sanitaria ai 50 milioni di americani che ne sono privi. Ma Obama è l'uomo del pragmatismo, un risolutore di problemi senza remore ideologiche. Per questo i giovani, che non capiscono più il linguaggio della vecchia politica, lo hanno portato alla Casa Bianca.
Fin dal febbraio 2007, quando annunciò la sua candidatura lanciando la sua temeraria sfida a Hillary Clinton, Obama sottolinea la necessità di ritrovare l'unità culturale del Paese, lacerato da quarant'anni di divisioni partigiane che sembrano ormai figlie di un'altra epoca. Quello che a molti può sembrare retorica, è il nocciolo innovativo del suo pensiero politico.
Obama è il primo presidente nero a vincere le elezioni presidenziali, dopo 220 anni di Repubblica. Questa è la svolta che rende queste elezioni storiche, e cambierà probabilmente la cultura dei neri americani, riscattando la loro storica marginalità. Ma il colore della pelle di Obama non è l'unico elemento rivoluzionario del suo successo. Obama è anche il primo presidente da tempo immemorabile che proviene da una grande città del Nord-est liberal, e per di più è un professore universitario, un intellettuale, un pensatore sofisticato, e anche un ex militante politico di base. I due presidenti democratici eletti negli ultimi quarant'anni, Jimmy Carter e Bill Clinton, erano due moderati del Sud. Ma Clinton restò sempre sotto al 50 per cento dei voti, e Carter si fermò al 50,1. Obama è andato oltre il 52. Bisogna risalire al 1960 per trovare un altro presidente liberal del Nord-est, John Kennedy, che però era un wasp e un eroe di guerra.
L'elezione di Obama mostra che negli Stati Uniti è in atto un rivolgimento demografico e culturale che sta cambiando la vecchia geografia politica. E infatti Obama ha vinto in uno Stato come la Virginia, che nell'era Bush sembrava un fortino conservatore, e ha conquistato Florida e Ohio, Nevada e Colorado.
John McCain e Sarah Palin hanno cercato di spegnere l'entusiasmo crescente per Obama usando il vecchio repertorio della propaganda conservatrice, accusandolo di essere un 'socialista', un'offesa fino a ieri infamante, che è improvvisamente sembrata un'arma spuntata se lanciata contro di lui: come usare un linguaggio del secolo scorso per descrivere un uomo del XXI secolo. Eleggendo Obama, gli americani non avrebbero potuto nominare un presidente più diverso da Bush. Al contrario del suo predecessore, è uno studioso curioso e raffinato, si forma le idee ascoltando e studiando, non si lascia sopraffare dall'istinto. Non seguirà i precetti del neoliberismo reaganiano, ma neanche quelli del vecchio statalismo socialista. Si porrà in mezzo, con un pragmatismo figlio dell'intelligenza più che della tradizione.
Molti analisti hanno già paragonato la sua elezione a quella di George Washington nel 1789 e di Abraham Lincoln nel 1860. Walzer pensa che Obama risponderà alla crisi economica lanciando un New Deal sullo stile di Franklin Delano Roosevelt.
I conservatori dicono che Obama resta un grande punto interrogativo. Ma dopo venti mesi di campagna elettorale il neopresidente ha dimostrato alcune doti importanti. È un uomo di grande sangue freddo, che non ha mai perso la pazienza anche quando è stato sottoposto agli attacchi più duri e volgari, prima da parte di Hillary e Bill Clinton, poi da John McCain e Sarah Palin. È capace di comunicare con i cittadini e di dialogare con i nemici. È un asso nello scegliere gli uomini, come ha mostrato nel nominare i leader della sua organizzazione. Mai, nella storia recente, una campagna elettorale è stata così efficace e disciplinata, senza polemiche interne e personalismi.
Si fanno molti nomi sui possibili componenti della sua amministrazione, ma si tratta probabilmente di illazioni. Ci saranno certamente alcuni esponenti repubblicani che lo aiuteranno a sfondare il muro di diffidenza del partito avversario. Ma Obama comincerà a lavorare al programma e all'organigramma solo nei prossimi giorni. Tra le centinaia di consulenti che già hanno lavorato per lui ci sono gli esponenti migliori dell'intellighenzia nazionale. Come sempre capita, gli americani sono magnanimi nei confronti di un presidente appena eletto, e gli concederanno una luna di miele di alcuni mesi. Ma sarà necessario che nei primi cento giorni della sua presidenza, dal 20 gennaio alla fine di aprile, Obama non deluda le truppe che lo hanno votato. Alcune mosse sono indispensabili, ma tutte possono provocare controreazioni pericolose nel paese.
Tutti si aspettano una svolta nella politica energetica, che è stato il suo cavallo di battaglia per tutta la campagna elettorale. Alcuni suoi consulenti assicurano che Obama lancerà un grande progetto nazionale per la ricerca e lo sviluppo di fonti energetiche alternative, nuovi incentivi per la costruzione di centrali a emissione zero e la fine degli sconti fiscali ai petrolieri. Certamente dovrà avviare il progetto per dare l'assistenza sanitaria a tutti gli americani. Sulla sua agenda ci sono anche alcuni progetti per riammodernare le infrastrutture del Paese, dando così respiro all'ccupazione. Ma i conservatori lo aspettano al varco. Tutte queste scelte comporteranno un aumento della spesa pubblica che oggi appare insostenibile dopo il disastro finanziario lasciato da Bush.
Obama prenderà alcune decisioni di grande effetto: la nuova amministrazione ripudierà l'uso della tortura, cancellerà le operazioni di 'rendition' e chiuderà la prigione di Guantanamo. Ma per fare tutto ciò si troverà di fronte a scelte difficili: molti dei detenuti di quel carcere sono diventati merce delicata da trattare perché nessun paese del mondo li vuole accogliere. È un argomento scottante, che rischia di scatenare la propaganda dei conservatori e di creare divisioni nel Pentagono. Ed è proprio il rapporto con il Pentagono il problema più delicato di Obama. Michael Walzer è certo che il nuovo presidente non potrà prendere di petto il ministero della Difesa, ed esclude che almeno nel primo mandato possa abbattere il gigantsco budget militare che opprime il blancio Usa. Obama si è impegnato a ottenere una grande vittoria militare in Afghanistan. Questo sarà un incentivo a ridurre le forze in Iraq, ma renderà quasi impossibile abbattere le spese militari.
Ci sono poi i problemi posti da una nuova Bretton Woods per ricreare le regole dell'economia e della finanza internazionale. Nel corso della campagna elettorale Obama ha suggerito che i nuovi scambi commerciali possano essere condizionati da nuove regole legate ai diritti umani e a quelli sindacali. Walzer suggerisce che la nuova Bretton Woods potrebbe comprendere anche questi aspetti che hanno più a che fare con l'etica socialdemocratica che con il neoliberismo reaganiano: "I consiglieri economici di Obama potrebbero essere spinti in questa direzione dalla forza delle cose", dice Walzer.
Ad alimentare queste speranze è la stessa personalità di Obama, un leader che appare privo di steccati mentali, in grado di formarsi le idee ascoltando gli altri e imparando dall'esperienza. Il nuovo presidente avrà un'ampia maggioranza al Congresso e avrà due anni di tempo per cambiare il Paese.
Molti ricordano che anche Bill Clinton, quando arrivò alla Casa Bianca 16 anni fa, aveva un programma di grande rinnovamento socio-economico, e dovette arretrare di fronte al fuoco di sbarramento repubblicano. Ma da allora molte cose sono cambiate. Gli anni di Bush hanno reso i liberal più determinati a usare il potere politico per cambiare le cose in profondità. Nancy Pelosi alla Camera e Harry Reid al Senato sono due leader di carattere. Obama farà uno sforzo per creare un clima bipartisan e alla fine dovrà prendere decisioni radicali. Ma soprattutto è mutato il clima culturale del Paese. La maggioranza degli americani è convinta che il crollo di Wall Street e la crisi dell'economia abbiano definitivamente mandato in pensione il reaganismo. E per reinventare il futuro hanno eletto un presidente che vuole cancellare le vecchie etichette ideologiche del Novecento.