Una ventina di atleti (si fa per dire, nessuno in Giappone si sogna di chiamarli così) multati e sospesi, un ex campione, titolare di una delle più blasonate palestre, radiato a vita, il vertice della Federazione in panne, incapace di reagire, stretto tra publico ludibrio, inchieste giudiziarie e pressing mafioso. Il tutto condito dalla fuga, forse definitiva, degli sponsor (ad eccezione del più recente e controverso acquisto, McDonald's) e dalla sospensione, per ora in via provvisoria, delle dirette televisive. C'era una volta il sumo. E chissà se ci sarà ancora. Perché nessuno sa dove porterà lo scandalo che l'ha colpito.
Si parla infatti di scommesse clandestine di modesto valore, 2 o 3 mila euro a botta, piazzate dagli atleti, tra i più ricchi del Paese, utilizzando broker mafiosi, che a loro volta li ricattavano, minacciando di rivelare tutto alla stampa. Sia chiaro: i giapponesi amano scommettere, sia legalmente che illegalmente (vedi box a pag. 80), e polizia e magistratura in genere non si scomodano per colpire chi gestisce, e tantomeno chi partecipa al più diffuso passatempo nazionale. Tanto più che i lottatori - almeno stando a quanto è sinora emerso - non si giocavano i loro incontri, ma scommettevano sul baseball e sui cavalli. E allora, perché tanto trambusto? Perché tanto clamore mediatico?
Dietro all'attacco senza precedenti al sacro, un po' ipocrita e ricchissimo mondo del sumo, non c'è l'inchiesta di un giornale o di un gruppo di magistrati onesti e coraggiosi decisi a far pulizia. Tutt'altro. Più passa il tempo e più appare chiaro il ruolo decisivo che ha svolto, e probabilmente continuerà a svolgere, la premiata consorteria dei tatuati, la cosiddetta Yakuza, ovvero la mafia giapponese. Che si appresta a dare il benvenuto da par suo al rientro in società del padrino dei padrini, il temutissimo, amatissimo e spietatissimo Shinobu Tsukasa. Il prossimo marzo uscirà di prigione, dove sta scontando una condanna a sei anni per porto d'armi abusivo, e il suo esercito, 100 mila regolari e altrettanti part-time, sta preparando, a tutti i livelli, i festeggiamenti del caso.
Festeggiamenti che prevedono la riorganizzazione su scala nazionale di tutte le cosche (una ventina), la "riconquista" di Tokyo, da tempo caduta nelle mani di una banda secessionista finanziata da capitali cinesi, l'espansione dei vecchi mercati (prostituzione, estorsione, mercato delle braccia, scommesse clandestine) e la creazione di nuovi. La conquista del mondo del sumo sarebbe un regalo personale che Tadamasu Goto, protagonista anni fa di una sanguinosa scissione, vorrebbe porgere al boss, per evitarne la presumibile vendetta, suggellando il suo pentimento e la volontà di sottomersi di nuovo alla sua leadership. Sviluppi che Tsukasa segue con attenzione dal carcere, grazie ai videopizzini che i suoi colonnelli, da qualche tempo, gli inviavano proprio grazie alle dirette tv. Già, perché acquistando a peso d'oro i biglietti di prima fila e dunque con la garanzia di essere ripetutamente inquadrati, dai loro posti aggiornavano, tra un applauso e l'altro, il loro boss.
Nelle prigioni giapponesi, notoriamente spartane, uno dei pochi programmi di cui è consentita da sempre la visione è, infatti, il torneo di sumo. Di qui lo sconcerto dei dirigenti del servizio pubblico, e la sospensione della tradizionale copertura televisiva degli incontri, formalmente giustificata dalle lettere di protesta del pubblico, furibondo per lo scandalo delle scommesse.
Ma andiamo con ordine. Lo scorso 7 luglio, con ampio preavviso ai grandi network televisivi, la polizia giapponese irrompe in una trentina di palestre, sedi amministrative e abitazioni private di dirigenti, allenatori e famosi lottatori, da sempre amati e rispettati, e considerati, fino a qualche tempo fa, veri e propri modelli di rigore fisico e morale. Per il mondo del sumo, che da circa dieci anni, dopo una moderata, ancorché indispensabile apertura agli stranieri, è costretto a riconoscere la superiorità dei lottatori mongoli, russi, georgiani e perfino brasiliani e americani, è il colpo di grazia.
Dopo lo scandalo della marijuana - che pare sia di casa nelle palestre - quello delle tecniche di addestramento troppo estreme, culminate nella morte di un giovane allievo e la condanna del suo allenatore a 6 anni di carcere e le dimissioni forzate dello yokozuna ("gran campione") in carica Asashoryu, responsabile di una mega rissa in un famoso locale notturno di Tokyo, arrivano le scommesse. Troppo, per uno sport che affonda le sue radici nella preistoria, e dove ogni momento della lunga, spesso indecifrabile ai neofiti liturgia preparatoria degli incontri (che a volte si risolvono in pochi secondi) è un richiamo all'onestà e alla purezza: dal lancio del sale purificatore in aria prima degli incontri al rispetto assoluto per il ruolo e il verdetto dell'arbitro (sorta di sacerdote officiante), al divieto, anche questo assoluto ma sempre meno sostenibile socialmente, alle donne, per "natura" impure, di metter piede sul ring. Anni fa la questione arrivò addirittura in Parlamento, quando l'allora governatore di Osaka, la signora Ota, ne fece una questione di principio: o mi fate salire sul ring, o non consegno la coppa al vincitore. Vinse la Federazione, che cancellò la cerimonia di premiazione, qualcuno dice con cinica soddisfazione, visto che il torneo, per la prima volta, era stato vinto da un americano (delle isole Hawaii), tale Konishiki.
Gli agenti che irrompono nelle sedi del sumo ovviamente sanno cosa cercare e la perquisizione dura pochi minuti. Più che elementi di prova, già in possesso degli inquirenti grazie alle dichiarazioni spontanee (in seguito però ritrattate) di un lottatore, l'unico per ora a essere stato arrestato, le autorità sembrano più che altro intenzionate a lanciare un chiaro segnale, ed ecco, forse, perché il tutto avviene sotto gli occhi delle telecamere. Il messaggio sembra il seguente: la tregua (con la mafia) è finita: prima che la Yakuza, recentemente indebolitasi per l'assenza di un grande leader, per la crisi di alcuni settori strategici (mondo dello spettacolo, droga) e per la sempre più efficace penetrazione cinese (che non spara, compra), si riorganizzi sotto la guida di Tsukasa, cercheremo di colpirla in ogni modo.
Ma non è facile. I rapporti tra sumo e Yakuza (e tra quest'ultima e la polizia) sono radicati. E antichi come la pratica sportiva. Secondo il "Nihongi", sorta di Eneide locale, il sumo risale a oltre 2 mila anni fa quando, secondo la bizzarra, entusiasmante e per certi versi esilarante mitologia indigena, dai divertenti dispetti del perfido fratellino Susano contro la spocchiosa Amaterasu, Dea del Sole, nacque, in circostanze fortuite e rocambolesche, il divino arcipelago del Giappone.
Siano o meno pronipoti della Dea del Sole e dei suoi divini discendenti (l'attuale imperatore Akihito, secondo la storiografia ufficiale, è il 125 discendente diretto di Jimmu, il primo, probabilmente mai esistito, imperatore del Giappone) i lottatori di sumo, da quando la pratica è uscita dai giochi riservati di corte per diventare uno spettacolo e un business di massa, hanno sempre contato sull'aiuto organizzativo e sulla protezione della Yakuza. Che in Giappone, tradizionalmente, non produce né alimenta la microcriminalità, ma viceversa da un lato garantisce (spesso in aperta collaborazione con la polizia) l'ordine pubblico e dall'altro l'ordinata, efficace gestione dell'illegalità organizzata, dalla prostituzione, alla "risoluzione dei problemi" (eufemismo per indicare la soluzione extragiudiziaria delle controversie: basta una telefonata, a volte) allo strozzinaggio, dall'estorsione (anche ad altissimi livelli) al variegato, fruttuosissimo ed inesauribile "bakuchi", il mondo delle scommesse.