Dopo la caduta di Ben Ali e Mubarak, anche la monarchia di Muhammed VI è a rischio? No, se saprà fare concessioni e riconoscere ai giovani un maggiore ruolo sociale. Colloquio con Ahmed Habouss, docente all'Orientale di Napoli
La destituzione di Mubarak in Egitto, e prima quella di Ben Ali in Tunisia. Alcuni tafferugli ad Algeri e adesso anche la Libia si sta infiammando: a Bengasi ci sono stati scontri tra polizia e manifestanti e Gheddafi sta per usare il pugno di ferro.
A un centinaio di chilometri dalle coste siciliane il Nordafrica sta vivendo una stagione di rivolta che ha già portato al cambiamento due importanti Paesi come Egitto e Tunisia. La Libia è sulla scia, ma che cosa accadrà in Marocco? Ne abbiamo parlato con Ahmed Habouss, docente di antropologia berbera all'Università Orientale di Napoli.
Professor Habouss, anche in Marocco la monarchia è a rischio? Ci saranno rivolte popolari? Il Marocco fa un po' storia a sé. I marocchini da secoli considerano la monarchia un punto di riferimento forte, anche se la sinistra e parte della società civile vorrebbe delle riforme monarchiche alla spagnola. Muhammed VI è arrivato al trono nel 2001 e ha ereditato una società bloccata a tutti i livelli. Ha provato a fare delle modifiche alla Costituzione, ma il suo progetto è incompiuto. Il Paese risente della crisi economica e c'è un po' di corruzione diffusa, ma la società civile è fortissima, con gruppi organizzati, cooperative, ecc. C'è un tessuto sociale che può interagire con la politica e modificare piano piano la situazione. Nella Moudawana, lo statuto della famiglia, ci sono state innovazioni per le donne che ora possono divorziare, gestire e dare il nome ai figli, andare all'estero. Tutto questo deriva dalla lotta e dalla tenacia delle donne marocchine. E poi sotto il re attuale sono state create molte infrastrutture, smantellando le bidonville, anche se non è ancora intervenuto per mitigare le grandi differenze tra il mondo rurale e il mondo urbano.
Il Paese ha una ricchezza più diffusa degli altri Paesi nordafricani? Come ho detto le infrastrutture sono abbastanza buone, anche nel settore della regimazione delle acque. Perciò l'agricoltura è fiorente. C'è un ottimo e fiorente artigianato e qualche degna attività industriale. Le scuole sono buone e alcune università sono importanti. Ci sono anche progetti di innovazione che piacciono alle frange più evolute della società. Ora, per esempio, vogliono costruire una nuova città tutta con materiali ecosostenibili ed energie rinnovabili. Soprattutto c'è tanta solidarietà di base e il sapere locale cerca di integrarsi con le conoscenze occidentali.
Quindi cosa succederà adesso in Marocco? Non si sa mai, ma credo di poter escludere una rivolta di tipo egiziano. C'è una frustrazione giovanile che per ora sembra sotto controllo, anche se una maggiore alfabetizzazione potrebbe fare da sostrato ad alcuni gruppi paraterroristici, che potrebbero essere percepiti come avanguardie sociali. Adesso lo Stato deve aprire maggiormente alla creatività giovanile. Serve un ricambio generazionale nelle istituzioni, bisogna far entrare i giovani. Questo credo aiuterà il ricambio morbido. Un ruolo dovrebbero svolgerlo anche i 4 milioni di marocchini all'estero. Non sono tutti clandestini… Molti sono professionisti, commercianti, impiegati e possono dare un contributo all'ammodernamento del Paese. L'80% di questi 4 milioni vivono in Occidente, quindi sono avvezzi alla democrazia.
Allora d'ora in avanti i popoli a sud del Mediterraneo guarderanno con maggiore attenzione all'Europa, o si rivolgeranno verso l'Islam?L'Occidente ha fatto grandi errori, anche ultimamente. Alcuni poteri forti come la Banca mondiale auspicavano, anche in Marocco, uno Stato svuotato delle sue funzioni, ma non va bene. L'Egitto e la Tunisia ne sono la dimostrazione. Non si può pianificare semplificando la società civile. In Marocco la società è complessa e articolata e per ora ha resistito. Io credo che la testa dei marocchini guarderà all'Europa e alla Cina per capire dove stanno i diritti e dove va il mondo, e forse il cuore di qualcuno guarderà al Medio Oriente. Ma la dimostrazione è l'esodo di questi giorni verso l'Italia dei disperati tunisini. Nessuno si è diretto verso Oriente. Mi ha colpito molto la frase di un tunisino che ha detto: "Se Ben Ali guardasse la Mecca, noi cambieremmo direzione". È un'affermazione forte. Moltissimi pregano ma poi escono di casa, prendono l'auto, entrano in banca, fanno mediazioni commerciali, portano il figlio a scuola. Se penso a questo non mi preoccupo.
Prima Tunisia ed Egitto, ora parte del popolo sta provando a scendere in piazza in Algeria e anche in Libia ci sono stati scontri. Perché? In Tunisia c'erano problemi economici, di diritti civili e di corruzione: la moglie di Ben Ali la chiamavano 5%. Però è cominciato tutto con la storia di Tarek Bouazizi che si è dato fuoco davanti alla prefettura della sua città. Un fiammifero, una tanica di benzina, tanta disperazione. Il padre era morto da anni e lui non poteva più studiare, doveva mantenere sette familiari. Era diventato venditore abusivo di frutta e la polizia, regolarmente, gli requisiva la merce e lo maltrattava. Il 4 gennaio dopo l'ennesimo sequestro di merce e gli sputi della polizia ha chiesto di essere ricevuto dal prefetto, senza esito. Allora si è dato fuoco davanti al potere. Ha detto: la mia dignità la acquisto con la morte. La rivoluzione tunisina non è nata da questioni religiose, ma da una rivolta personale che ha dato la scossa a un ampio disagio sociale che covava da tempo. Bouazizi ha offerto la sua vita alla collettività, ai giovani del suo Paese. Così è scattata la rivolta. La tecnologia ha svolto un ruolo essenziale: i social network hanno fatto da amplificatore.
L'Egitto sembrava una realtà così sana e pacificata... L'Egitto era un Paese granitico ma socialmente debole. Da 30 anni una legge speciale impediva la libera organizzazione dei cittadini. La polizia poteva chiudere associazioni, giornali, gruppi. Quando hai un apparato produttivo totalmente sotto il controllo del potere statale e non c'è distribuzione della ricchezza dovresti compensare in altro modo. Invece Mubarak aveva soffocato anche la società. E poi l'Egitto ha un analfabetismo maggiore rispetto ad altri paesi nordafricani, e ciò aiutava il potere. Mubarak usava politicamente pure alcuni gruppi dei fratelli musulmani di Fukra, il quartiere povero del Cairo, anche se loro non sono integralisti. Sia lui, sia Ben Ali hanno volontariamente sopravvalutato l'Islam per far credere all'Occidente che solo loro potevano tenerlo a bada. Eppure la rivolta in Egitto è partita dai giovani, quelli che erano su internet e si parlavano. Sono loro che desiderano accedere a una vita migliore e meno vincolata: beni di consumo e libertà. Anche in Tunisia è andata così. I giovani hanno più forza, più cultura e meno cose da perdere.
D'ora in avanti la religione avrà un ruolo importante in queste rivolte e nella transizione? Si dice "mondo arabo in fiamme", ma non è così. Qui in Occidente si amplifica o si minimizza a intervalli contrapposti, ma ci sono da fare dei distinguo. In Tunisia soprattutto internet è stato il motore di sviluppo delle coscienze. Ma il tema della religione è presente per colpa dei dittatori. Se il potere impedisce alla società civile di organizzarsi orizzontalmente, i cittadini si concentrano sulla religione, perché è un sistema universale dal punto di vista identitario e simbolico. I regimi egiziano e tunisino sono caduti perché non basta organizzare la società verticalmente, col potere forte che controlla tutto. Tutto prima o poi ti sfugge di mano.