A vederla dallo spazio sembra un'immensa coperta grigia strappata qui e là da squarci di tessuto bianco, interrotta in alcuni angoli da chiazze di nero intenso. Al di sotto, lo scrittore Charles Dickens vi avrebbe intravisto il profilo della sua Inghilterra, quel Paese inquinato e maleodorante di metà Ottocento, in cui i poveri, senza saperlo, morivano a migliaia di cancro e malattie respiratorie. Invece la Nasa, l'agenzia spaziale americana, che ne ha scattato le foto qualche settimana fa, sa bene che quella lunghissima coltre di smog, solo a tratti interrotta da banchi di nebbia, avvolge l'immensa pianura settentrionale cinese, dove in megalopoli come Pechino e Tianjin, Urumqi e Henan, milioni di cittadini sono vittime sempre meno inconsapevoli del loro stesso sviluppo economico.
Lo skyline di Pechino assomiglia oggi, con le debite differenze dovute a 200 anni di progressi tecnologici e sociali, a quello della Londra in via di industrializzazione raccontata da Dickens in "Grandi Speranze", dove lo smog - contrazione di "smoky fog", letteralmente "nebbia fumosa" - "scendeva sui camini formando una morbida pioggerellina nera, con piume di fuliggine grandi come fiocchi di neve". I comignoli sono stati rimpiazzati dai grattacieli ma il carbone è ancora il combustibile più usato del Paese, con l'aggravante che adesso gli stradoni della capitale sono anche affollati da milioni di veicoli inquinanti assiepati in un traffico immobile. Così nei giorni peggiori è difficile persino farsi varco con lo sguardo tra quella nebbia densa che irrita il naso e devasta i polmoni. La visibilità è spesso inferiore a centro metri e l'ultramoderno aeroporto della capitale è ripetutamente costretto a chiudere. "Condizioni meteorologiche avverse", spiegano dagli altoparlanti e sui monitor al plasma le autorità.
Ma se fino alle Olimpiadi del 2008, quando i cieli furono scrupolosamente ripuliti, la popolazione era stata disposta a credere che la scarsa visibilità e quella cappa di afa bianca appiccicosa dalle venature grigiastre che talvolta viravano sul giallo limone, fosse "nebbia", oggi non dà retta a un solo dato ufficiale di un regime sempre più preoccupato a salvare se stesso che il proprio popolo. I più scettici sono soprattutto i genitori con bambini piccoli, a cui ha dato voce Yu Ping, un giornalista della carta stampata. Ha iniziato a dare il tormento ai burocrati per convincerli ad adottare una maggiore trasparenza riguardo ai dati sull'inquinamento dell'aria.
Difficile credere alle statistiche ufficiali che assicurano "cieli blu" durante l'80 per cento dell'anno a dispetto dell'evidenza empirica che suggerisce esattamente il contrario. "Decine di Paesi in tutto il mondo pubblicano i dati sull'aria inquinata, ma nessuno descrive anche solo bassi livelli di inquinamento come "situazione eccellente"", si era lamentato sul sito China Dialogue Steven Andrews, un consulente ambientale americano. In un suo studio che ha fatto il giro del Web ha spiegato che se in Cina la concentrazione di polveri sottili scendesse al livello di quelle dell'inquinata Los Angeles, l'aspettativa di vita dei cinesi potrebbe aumentare di cinque anni. Una tesi indirettamente condivisa perfino dal quotidiano di Stato in lingua inglese "China Daily", secondo cui la diffusione del cancro ai polmoni è aumentata del 60 per cento negli ultimi dieci anni, nonostante la percentuale dei fumatori sia rimasta invariata.
Sull'argomento non ha risparmiato critiche al governo nemmeno il magnate delle costruzioni Pan Shiyi, che lo scorso autunno ha chiesto ai suoi sette milioni di follower on line di votare e scegliere se chiedere o meno alle autorità l'utilizzo di uno standard più severo per la determinazione della qualità dell'aria. E poi non è stata presa bene da nessuno la notizia che un produttore cinese, Broad Air Conditioning, stesse facendosi pubblicità annunciando di avere installato oltre 200 costosissimi purificatori d'aria nelle case e negli uffici dei leader cinesi.
Alla fine Pechino sarebbe stata costretta a cedere - il condizionale è d'obbligo. Ha promesso di anticipare dal programmato 2016 a quest'anno la pubblicazione dei dati reali sull'inquinamento dell'aria della capitale, di Shanghai e di altre città maggiori. "Se attuato davvero, sarà sicuramente un passo in avanti, soprattutto verso il rispetto dei cittadini", ha commentato dal suo ufficio Ma Jun, il direttore dell'Istituto di Affari Pubblici e Ambientali, un'associazione ecologica no profit. Fino ad oggi le informazioni rilasciate dall'agenzia per la protezione ambientale di Pechino erano ben lontane dal vero. "È un fatto inconfutabile che l'aria di Pechino sia migliorata negli ultimi anni", aveva sentenziato a fine anno scorso Du Shaozhong, il vicedirettore dell'agenzia pubblica, avvalendosi di statistiche interne secondo cui nel 2010 i giorni di cielo blu erano stati 286 rispetto ai 100 del 1998.
A stare all'annuncio, il Centro di monitoraggio ambientale di Pechino dovrebbe ora autorizzare sul proprio sito Web e in un micro blog la pubblicazione oraria dei livelli di diossido di zolfo (il prodotto dalla combustione fossile e uno dei principali elementi dell'inquinamento), di biossido di nitrogeno (risultato dei gas di scarico) e della quantità delle cosiddette polveri sottili PM10, particelle il cui diametro è uguale o inferiore a 10 millesimi di millimetro. Si tratta di gocce di polvere liquida e fuliggine, in parte provenienti dalla combustione e in parte create dalla reazioni di altri inquinanti con l'atmosfera. I dati sono già da un decennio quotidianamente rilevati dalle 27 stazioni di monitoraggio dell'aria sparse per la città, ma finora erano tenuti sotto stretto riserbo.
Pechino si è detta disponibile anche alla pubblicazione del delicato numero delle più piccole particelle PM2,5, le micro gocce maggiormente responsabili dell'inquinamento e anche le più dannose per la salute: riescono a penetrare con facilità negli alveoli polmonari e nel sangue.
A spingere verso la direzione di una maggiore trasparenza, e dunque di un'accresciuta consapevolezza dei cittadini, era stata l'ambasciata americana a Pechino.
Nonostante le ripetute rimostranze del governo cinese, che l'aveva accusata di incitare il popolo alla rivolta, fin dal 2008 aveva preso a pubblicare ogni ora il livello di inquinamento della capitale, specificando sia il livello delle polveri sottili PM2,5 che quello dell'ozono. I dati sono pubblicati sia sulla facciata dell'edificio che su Twitter (@BeijingAir). Il feed conta circa 18 mila seguaci. Certo i social network sono ufficialmente banditi in Cina, ma gli internauti più esperti (come lo stesso Pan Shiyi) sono in grado di aggirare la Grande muraglia della censura, e non ci hanno messo molto a recepire e diffondere sui micro blog cinesi i dettagli dello stato drammatico della situazione diffusi dall'ambasciata Usa. Tra i blogger è rimasto indimenticabile il giorno in cui al posto dei soliti "moderato", "insalubre", "molto insalubre", "pericoloso" e "oltre ogni parametro" in riferimento al livello d'inquinamento, l'ambasciata pubblicò il giudizio molto colloquiale e dunque ancora più chiaro di "crazy bad" o "pazzescamente pericoloso".
Ed è proprio questo il livello medio di inquinamento registrato nella seconda parte dell'anno a Pechino, che poi non è nemmeno la città più inquinata del Paese (il triste primato spetta a Urumqi, il capolouogo provinciale della provincia orientale dello Xinjiang). Secondo un recente studio dell'Organizzazione mondiale della sanità condotto in 500 città in tutto il mondo, le aree urbane della Mongolia, del Madagascar, del Kuwait e del Messico avevano le più alte concentrazioni di polveri sottili PM2,5.
Eppure i livelli di intossicazione misurati erano meno della metà di quelli riscontrati a Pechino, dove arrivano a 100 microgrammi per metro cubo (dieci volte il livello raccomandato dall'Oms). "La trasparenza non serve così tanto", si è giustificato con il quotidiano britannico "The Guardian" Wu Dui, un esperto di foschia presso l'agenzia meteorologica del Guangdong: "Ci sono voluti cinquant'anni perché l'Europa e gli Stati Uniti risolvessero i loro problemi d'inquinamento. Per riuscire a dimezzare le nostre polveri sottili ci vorranno almeno venti o trent'anni".
E in effetti a stare alla stime di Ye Qi, professore di Politica ambientale presso l'università Qinghua, entro il 2015 la Cina emetterà il 50 per cento in più di gas serra degli Usa.
Non tutti i cittadini del maggior Paese inquinante al mondo sono disposti ad abbandonarsi al fato. Alcune delle centinaia di migliaia di rivolte violente che ogni anno sconquassano il Paese sono dovute proprio all'intolleranza contro un inquinamento che ha preso a mietere vittime a milioni. E le varie autorità provinciali che fino ad oggi avevano reagito unicamente con la solita violenza, accusando i manifestanti di volere mettere a rischio la pace sociale, hanno iniziato a concertare soluzioni e a fare mea culpa per la mancata vigilanza sul rispetto dei pur esistenti standard di salvaguardia ambientale. "I cinesi hanno capito che rischiano la vita ogni giorno per il solo fatto di abitare in Cina", conclude il professor Ma.