Provate a guardare i trend delle ricerche su Google: il virus è stato ignorato fino all'aprile del 2014. Il picco di interesse è stato solo ad ottobre. Quando è arrivato il primo contagio di Dallas. Il panico. I media ne parlano. E adesso? Tutto finito. Nonostante il medico di Emergency. E le migliaia di morti in Africa. Un'altra prova di come ci occupiamo delle malattie solo se ce le ritroviamo sul pianerottolo
Il “nostro” Paziente Zero è atterrato all’aeroporto di Pratica di Mare la mattina del 25 novembre. Come ormai tutti sanno è un medico di Emergency contagiato in Sierra Leone, ha viaggiato con tutte le misure di sicurezza possibili ed è stato ricoverato all’Istituto Spallanzani di Roma. E così Ebola è tornato di prepotenza nelle nostre agende. Perché da settimane del virus non si sapeva più niente. Dopo paginate e paginate, googolate e googolate, il killer è sparito di colpo dalla nostra attenzione. Era tornato nell’ombra delle cose che accadono ai paesi poveri delle quali noi non ci occupiamo.
Provate ad andare a vedere la distribuzione temporale delle ricerche fatte con Google sul tema “Ebola”. Noi lo abbiamo fatto e abbiamo verificato con i numeri quello che può sembrare un polveroso luogo comune: ci occupiamo dei flagelli del mondo solo quando li abbiamo in casa. E così, dalla nostra ricerca appare chiaro che la faccenda è stata praticamente ignorata fino all’aprile del 2014 quando i ripetuti allarmi di Medici senza frontiere hanno generato un piccolissimo interesse.
Poi più nulla fino alla fine di luglio/primi di agosto, quando si registra un primo picco di interesse abbastanza significativo: Msf dice che l’epidemia è fuori controllo; l’Oms si decide a rendersi conto di quanto accade e dice che Ebola è un’emergenza; e anche l’opinione pubblica comincia a chiedersi cosa succede in quei paesi lontani che tanto lontano non devono essere se a Madrid arriva un malato, padre Miguel Pajares rimpatriato morente dalla Liberia. Complice l’estate e il vuoto di notizie, Ebola va in prima pagina e l’Italia si accorge di quanto sta accadendo, per qualche settimana. Perché poi se ne dimentica di nuovo: a ottobre sono circa cinquemila morti e oltre 13 mila malati ma nessuno se ne cura.
Poi Google esplode, quando si registra il contagio di Dallas: è il panico, tutti sul web a vedere se il virus ci colpirà in casa. Un picco di qualche giorno, e infine l’oblio. Insomma, il nostro piccolo esperimento dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che delle malattie ci occupiamo solo se ce le ritroviamo sul pianerottolo. Non è una novità. E magari con Ebola non ne subiremo le conseguenze: le modalità di trasmissione sono tali che i tecnici prevedono non si trasformerà mai in pandemia e continuerà a flagellare l’Africa; e le vicende sanitarie degli europei e degli americani malati mostrano che noi lo possiamo curare, loro (gli africani), invece, no.
Ma se Ebola è poco “efficiente”, abbiamo visto, negli anni scorsi, arrivare dall’Africa e dalle aree rurali dell’Asia malattie molto più efficienti diventate catastrofi, l’Aids per prima. Ovvio che ce ne saranno altre. Ovvio che se le ignoriamo come abbiamo fatto con Ebola ingrasseranno nelle zone d’origine e poi verranno a bastonarci. L’inchiesta di Time dimostra le responsabilità dell’Oms in questa catastrofe di oggi. Ma dobbiamo aggiungere anche quelle dei paesi come il nostro che non versano un soldo bucato per i programmi di salute globale. E in fondo anche quelle di chi pensa che finché muoiono gli africani possiamo piangere, ma non preoccuparci.