“Da Kiev non hanno mandato nessuno da noi e al momento non ci sono indagini sul caso”. Parla il sindaco di Sloviansk a un anno dalla morte del fotoreporter italiano. E denuncia l'immobilità della situazione

“Il caso Rocchelli-Mironov? Purtroppo al momento attuale non c’è nessuna indagine. Sembra sia stata aperta un’inchiesta penale sul caso, ma non abbiamo ancora nessun risultato in merito”. A un anno dalla morte del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e del suo amico russo Andrey Mironov a Sloviansk, Est Ucraina, il 24 maggio 2014 durante l’assedio della città (all’epoca roccaforte separatisti filo-russi, oggi tornata nelle mani del governo di Kiev) da parte delle forze armate ucraine, in un’intervista con L’Espresso il sindaco di Sloviansk, Oleg Zontov, ammette candidamente che siamo a un punto morto.

“Nessuno da Kiev è venuto qui da noi” per sapere di più sulla fine tragica dei due giornalisti uccisi da colpi di mortaio sparati da sconosciuti, dice. Durante la recente visita del ministro degli Esteri Gentiloni a Kiev, l’omologo ucraino Pavlo Klimkin aveva promesso di fare tutto il possibile per indagare sulla morte del free lance italiano. Ma sabato scorso in un’intervista al Foglio la famiglia Rocchelli aveva lamentato lo scarso impegno da parte delle autorità ucraine nel far luce sul caso.

“Probabilmente lo stallo è dovuto al fatto che siamo ancora in guerra” risponde Zontov nel suo ufficio al quarto piano del Comune sulla Piazza della Rivoluzione d’Ottobre. “Per questo non c’è stato alcuno sviluppo nelle indagini. Ma spero che un giorno verrà fatta luce. Io sono pronto ad appoggiarvi, troveremo i colpevoli. Almeno per stabilire come sono morti. Ma non so quando”. Zontov giustifica la mancata indagine con l’ancora difficile situazione nel Donbass: a Sloviansk la pace è ufficialmente ristabilita, ma la città si trova ancora all’interno dell’area ATO (Zona di Operazioni Antiterrorismo), e a poca distanza dalla linea del fronte.

“Ufficialmente esiste un’inchiesta” chiarisce il sindaco. “Ma se vi rivolgete agli investigatori locali, vi rinvieranno alla Procura provinciale che ha sede a Kharkiv” [nda: Sloviansk teoricamente è parte della provincia di Donetsk, ma quella zona è oggi sotto il controllo dei separatisti, per cui il caso ricade sotto la giusdizione di Kharkiv]. “E da questi ultimi non avrete nessuna risposta, anzi non troverete nessuno che vi possa rispondere, perché persino il pubblico ministero oggi si trova al fronte a combattere. Ora sono tutti al fronte”.

Da parte sua Evgeny Koshman, 35, l’autista che accompagnò Rocchelli, Mironov e il fotografo francese William Roguelon sul luogo della tragedia (il sobborgo di Andreevka alla periferia di Sloviansk) per scattare foto, rintracciato da L’Espresso dichiara: “Io sono stato convocato e interrogato due volte: la prima da alcuni miliziani ribelli, subito dopo la mia uscita dall’ospedale, due settimane dopo l’accaduto”. La città era ancora in mano ai filorussi. “La seconda volta dalla polizia locale due mesi fa”, nella Sloviansk già riconquistata dagli ucraini.

“Siamo tornati insieme sul luogo del delitto e ho ripetuto la dinamica dei fatti per come la ricordavo”. Nient’altro. Lo stesso Koshman, ferito nell’attacco, la sua auto semidistrutta, ha provato a sporgere denuncia in quanto vittima: ma la Procura gli avrebbe risposto che era “inutile”, in quanto “non si tratta di un caso penale ma di un caso civile”. Koshman inoltre non esclude che l’obiettivo del fuoco fossero proprio i giornalisti, dato “l’accanimento” dei colpi e la loro quantità su uno spazio dove in quel momento, a suo dire, non c’era nessun altro. L’uomo non è sicuro se i quattro siano finiti sotto il fuoco incrociato tra ribelli ed esercito regolare (entrambi posizionati nelle vicinanze, gli ucraini sulla collina di Karachun a 2-3 km, i ribelli a ridosso della ferrovia, più vicino), o se i colpi (oltre ai mortai Koshman dice di aver udito anche mitragliatrici) provenissero da un’unica fonte. Ci sarebbe inoltre un altro testimone, un ragazzino di 15 anni che si trovava per caso sul posto e all’esplodere dei colpi sarebbe scappato insieme ai giornalisti.

Nel frattempo, alcuni abitanti di Sloviansk che avevano conosciuto bene Rocchelli e Mironov, e li ricordano con affetto (in un caso li avevano anche ospitati per la notte), hanno raccontato a L’Espresso i loro ultimi giorni in città. Convinti che i colpi che li hanno uccisi provenissero da Karachun, cioè dalle postazioni ucraine. I due nell’ultima settimana avevano trascorso molto tempo nei sobborghi di Semionovka, Nikolaevka e Andreevka, i più colpiti dai bombardamenti in quel momento. Secondo due testimoni, Rocchelli e Mironov avrebbero detto loro che intendevano “stabilire da che parte provenivano i bombardamenti sui quartieri abitati da civili”. A questo scopo, per diversi giorni avrebbero fotografato e filmato (su due fotocamere, e su un supporto simile a un mini I-Pad bianco) i crateri o punti di impatto dei tiri. Utilizzando talvolta anche un teodolite (strumento ottico usato dai carpentieri per misurare le distanze), di proprietà di un abitante locale, al fine di “individuare il tipo concreto di armi” usato dalle forze ucraine per sparare sulla città. E nei giorni precedenti il 24 maggio si sarebbero recati diverse volte sul luogo della tragedia.

LEGGI ANCHE

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app