“L’ho fatto diventare presidente e lui ora sta cercando di distruggermi», spiega l’ex magnate russo in esilio a Londra, con l'accusa di aver rubato fondi per centinaia di milioni. E qui racconta la sua ascesa e caduta
E' sera tardi e Sergei Pugachev, 52 anni, ex magnate russo in esilio, sta sfogliando un vecchio album di foto di famiglia. Una ritrae suo figlio Viktor con gli occhi bassi mentre Maria Putina, la figlia del presidente russo, china verso di lui gli sussurra qualcosa all’orecchio. In un’altra, si vede l’altro figlio, Alexander, in posa su una scala a chiocciola nella biblioteca del Cremlino insieme alle due figlie di Vladimir Putin. Ai margini, appare una sorridente Lyudmila Putina, che all’epoca era ancora la moglie del presidente. Le due famiglie erano vicine. Le figlie di Putin, dopo la scuola, andavano spesso a casa dei Pugachev che abitavano a pochi passi dalla residenza presidenziale fuori Mosca.
Mentre sfoglia le foto nella sua casa di Chelsea, a Londra, quei giorni sembrano lontani. Il suo passato lo sta riafferrando. L’ex miliardario aveva lasciato la Russia nel 2011, ma il governo di Putin sta cercando di estradarlo per sottoporlo a un processo penale a Mosca. Le autorità russe lo accusano di aver sottratto centinaia di milioni di dollari alla Mezhprombank, di cui è stato uno dei fondatori. Sta inoltre cercando di opporsi a un congelamento dei suoi beni in tutto il mondo deciso dall’Alta corte di Londra.
Per molto tempo, Pugachev aveva pensato che la campagna legale contro di lui fosse stata architettata dai tirapiedi di Putin che, a suo dire, si sono appropriati del suo ex impero (cantieri navali, energia e edilizia). Ma di fronte alle crescenti pressioni, si è convinto che l’attacco può provenire soltanto dall’alto. «Come può Putin comportarsi così?», esclama. «Ho fatto tutto per lui. L’ho persino fatto diventare presidente».
Sebbene alcuni possano mettere in dubbio quest’affermazione, è chiaro che Pugachev ha subito una notevole trasformazione, da consumato conoscitore dei segreti del Cremlino a esule perseguitato. Il suo caso è l’ultimo esempio di ciò che accade agli oligarchi russi che cadono in disgrazia con il Cremlino. Pugachev ha sempre mantenuto un basso profilo, ma adesso sta cominciando a raccontare la sua verità. E a quanto afferma, egli è stato uno dei più influenti attori del Cremlino durante lo storico passaggio di potere in Russia verso la fine degli anni ’90. I suoi rivali in affari sono scettici su questa versione dei fatti. Ma attraverso interviste ed esami di documenti, fotografie e altri riscontri che abbiamo effettuato, molte delle cose che ha raccontato sulla sua ascesa e sulla sua caduta hanno trovato conferma.
La storia dell’ex magnate sarebbe invece molto diversa secondo l’Agenzia di assicurazione dei depositi russa che lo considera un “truffatore”. Le lagnanze contro Pugachev risalgono alla crisi finanziaria. Le autorità russe sostengono che egli abbia distratto 28 miliardi di rubli da Mezhprombank nel 2008, poco dopo aver ricevuto un aiuto di 1,2 miliardi di dollari dalla banca centrale russa. L’agenzia per l’assicurazione dei depositi accusa Pugachev di aver dirottato 700 milioni di dollari da questo fondo di salvataggio verso un conto corrente di una banca svizzera intestato a una società di cui suo figlio era direttore (ma Pugachev ha detto che quei fondi provenivano da un prestito a breve separato). Secondo una persona vicina all’Agenzia, Mezhprombank concedeva nuovi prestiti a società di comodo per ripagare prestiti precedenti.
Pugachev continua a ripetere che non sta nascondendo fondi e che aveva cessato tutti i rapporti con la banca dopo aver ceduto la sua quota di partecipazione quando divenne senatore nel 2001. E sostiene che l’appropriazione del suo impero economico da parte del Cremlino, combinata con pesanti spese legali, ha quasi completamente prosciugato il suo patrimonio, stimato da “Forbes” in 2 miliardi di dollari nel 2008. In questi ultimi tempi si aggira sconsolato nelle aule dell’Alta Corte di Londra, dove a volte preferisce difendersi da solo invece di pagare gli avvocati.
La Leningrado dove Pugachev è cresciuto è stata l’epicentro del movimento sotterraneo che ha minato il controllo sovietico. Quando Mikhail Gorbachev lanciò le riforme economiche negli anni Ottanta, Pugachev le vide come un’occasione, creando cooperative per il commercio di jeans, automobili e cognac. Nel 1991, si trasferì a Mosca dove fu tra i fondatori della Banca Industriale Internazionale, o Mezhprombank, una delle prime ad ottenere una licenza per operazioni in valuta forte. E ricevette inoltre il permesso di aprire una società finanziaria collegata alla banca a San Francisco, dove trascorreva alcuni mesi ogni anno.
Da quanto racconta, le sue connessioni con gli Stati Uniti svolsero un ruolo decisivo nella rielezione di Eltsin nel 1996 contro la rigida opposizione comunista. Grazie al suo rapporto con Fred Lowell, un avvocato di San Francisco vicino al partito repubblicano, portò con sé un’équipe di esperti di comunicazione guidata da George Gorton, uno dei principali strateghi dell’allora governatore della California, Pete Wilson. Rintanata nel President Hotel di Mosca, la squadra di Gorton lavorò con la figlia di Eltsin, Tatyana Dyachenko, per lanciare una campagna elettorale in stile statunitense, umanizzando la figura del presidente uscente e sottolineando il pericolo di un ritorno al potere dei comunisti. Ciò valse a Pugachev l’imperitura gratitudine della signora Dyachenko, il cui ruolo nella gestione del Paese aumentò man mano che la salute del presidente veniva meno. «Furono le ultime vere elezioni in Russia», sostiene Pugachev.
Il magnate ebbe il suo primo incontro con Putin nel 1990, quando quest’ultimo lavorava nell’ufficio del sindaco di San Pietroburgo. Ma, a suo dire, i due si conobbero meglio quando Putin si trasferì a Mosca nel 1996. Pugachev sostiene di essere stato lui a proporre la candidatura di Putin come successore della famiglia Eltsin Quando il parlamento si stava preparando a mettere in stato di accusa Eltsin, ebbe la sensazione che fosse in atto «un vero colpo di Stato». «Avevo capito che stavamo perdendo il controllo sul Paese», aggiunge, «e che dovevamo difenderci lottando».
Lavorando accanto a Putin - allora capo dell’Fsb (il Servizio di sicurezza federale) - Pugachev aveva contribuito a sventare queste minacce. A suo dire, aveva proposto dapprima la candidatura di Putin alla presidenza del Consiglio chiedendo in seguito alla signora Dyachenko di convincere Eltsin a dimettersi. «Sono io che ho portato Putin al potere», afferma Pugachev. «Ho lavorato giorno e notte per nove mesi a questo scopo».
Secondo Pugachev, Putin era un personaggio lungimirante nella vita politica russa, un uomo conosciuto per la sua capacità di far rispettare gli ordini. «Avevamo bisogno di qualcuno che lavorasse 24 ore al giorno per risollevare il Paese», precisa. Ma oggi riconosce che il suo giudizio iniziale su Putin era sbagliato. «Questa è la triste storia. Inorridisco al solo pensiero».
Era convinto che Putin poteva essere controllato. «Prima del crollo dell’Unione Sovietica, aveva vissuto gran parte della sua vita in alloggi popolari. Aveva 40 anni quando cominciò a lavorare nell’ufficio del sindaco di San Pietroburgo. Ecco perché adesso non può rinunciare a tutto questo e vuole accaparrarsi tutte le ricchezze». All’inizio della presidenza di Putin, Pugachev aveva condotto l’ex agente del Kgb nella sua nuova residenza di Novo-Ogarevo dotata di una piscina di 50 metri. «Non credeva quasi ai suoi occhi. E così capii che non avrebbe desiderato nient’altro nella vita. Pensai che questo fosse il limite dei suoi sogni. Ma le cose sono andate in modo assolutamente diverso. Il suo appetito era incredibile».
Man mano che gli oligarchi e gli alleati con i quali aveva stretto rapporti a San Pietroburgo si inchinavano davanti a lui, Putin cominciò a cambiare. La cerchia ristretta degli ex funzionari del Kgb di quella città, spiega Pugachev, lo convinse che era arrivato il momento per lo Stato di riprendere il controllo dell’economia. «Dopo questa presa del potere da parte dei vecchi amici del Kgb non potei più esercitare alcuna influenza. Il loro peso era ormai schiacciante». Per molto tempo, però, Pugachev rimase vicino al presidente, convinto che avrebbe avuto maggiori probabilità di favorire un’evoluzione in senso progressista rimanendo all’interno anziché entrare in aperta opposizione. Man mano però che i “silovik”, i “duri” colleghi del Kgb, rafforzavano le loro posizioni, i suoi rapporti con il presidente russo si indebolirono. Mentre tutti gli altri cortigiani del Cremlino pendevano dalle labbra di Putin, Pugachev era abituato a parlare con franchezza. «Era vittima della sua stessa lingua», dice un vecchio uomo d’affari russo.
Alcuni osservatori a Mosca sostengono che Pugachev faceva troppo affidamento sul suo rapporto con Putin per ottenere favori economici. L’impero che aveva acquisito dopo l’ascesa di Putin spaziava dai più grandi cantieri navali di San Pietroburgo a un impianto per la produzione di coke in Siberia del valore di molti miliardi di dollari, fino ad alcuni dei più importanti progetti di sviluppo edilizio di Mosca. Ma Pugachev tiene a precisare che Mezhprombank era stata la più grande banca privata del Paese prima che Putin venisse eletto. «E io non ho mai chiesto nulla in cambio», afferma orgogliosamente.
Il primo accenno di difficoltà emersenell’agosto del 2008 quando Alexei Kudrin, allora ministro delle Finanze, alleato di Pugachev, gli disse che Putin voleva rilanciare un progetto per la costruzione di un hotel a cinque stelle e di un complesso residenziale al numero 5 della Piazza Rossa. Pugachev aveva acconsentito. Ma il progetto gli venne sottratto senza corrispondergli alcun compenso. I suoi tentativi di promuovere un’azione legale per riavere i 3,6 miliardi di rubli che aveva speso e atri 41 miliardi di rubli per i mancati profitti non sortirono alcun effetto. La stessa cosa accadde un anno dopo, quando Putin gli disse che voleva incorporare i cantieri navali di San Pietroburgo nella nuova società Osk. Inizialmente, racconta Pugachev, gli erano stati promessi in compenso 5 miliardi di dollari. Ma non ricevette nulla. Poi venne incriminato per la bancarotta di Mehzprombank. E nell’ottobre del 2010 la banca centrale russa gli revocò la licenza mentre si stava affannando per rimborsare presiti per 1,2 miliardi di dollari che gli erano stati concessi per salvare la banca.
Pugachev è convinto che il suo fallimento era stato orchestrato allo scopo di consentire allo Stato di acquisire i cantieri navali, posti a garanzia dei prestiti, ad un prezzo stracciato. «Dall’interno stesso dello Stato qualcuno aveva manipolato le regole contro di lui per far fallire la banca», sostiene Richard Hainsworth, ex proprietario di Rusrating, un’agenzia di rating bancario di Mosca.
Pugachev dice che sta ancora sforzandosi di capire perché Putin si mise contro di lui. Le accuse a suo carico sono state avanzate nel 2013, molto dopo che aveva lasciato la Russia. Una volta stabilitosi a Londra, aveva inviato una lettera a Putin nel 2012 minacciando azioni legali contro l’esproprio delle sue imprese.
Oggi pensa che avrebbe dovuto rendersi conto gia allora che i tempi stavano cambiando. Il compianto patriarca russo Alessio II lo aveva avvertito della minaccia rappresentata da Putin e dai suoi uomini del Kgb, fin dall’autunno del 2008: «Mi disse che forse lui non sarebbe sopravvissuto, ma io sarei stato un testimone di come i “chekisty” (i membri della polizia segreta) avrebbero distrutto il Paese».