Un sito web ha analizzato 163 sue dichiarazioni: solo 3 sono vere. Ecco una carrellata di quelle false. Che lui difende: così acchiappo milioni di voti

Donald Trump ha vinto due volte senza avere avversari in grado di impensierirlo. La prima vittoria è arrivata conquistando il primo posto nelle primarie del Partito Repubblicano per poi ottenere, con quasi certezza, la nomination nella convention che inizia il 19 luglio. La seconda vittoria è il titolo di bugiardo dell’anno. PolitiFact, un sito web collegato al quotidiano Tampa Bay che è nato nel 2007 ma già vanta un premio Pulitzer, ha messo il miliardario che aspira a diventare presidente in cima alla lista dei politici più bugiardi d’America.

PolitiFact ha vivisezionato 163 dichiarazioni di Trump e ha stilato questa classifica: sono risultate vere solo 3 affermazioni, ovvero il 2 per cento, e abbastanza vere 12 (7 per cento). Le altre 148 (91 per cento del totale) fanno sprofondare Trump nell’ottavo cerchio dell’Inferno, quello riservato ai bugiardi, se dovessimo prendere in parola Dante Alighieri: 24 affermazioni sono soltanto mezze verità, 27 sono per lo più false, 88 sono totalmente false. E, ciliegina su questa torta, 31 sono falsità che gli americani definiscono “pants on fire”, letteralmente pantaloni in fiamme, ovvero bugie così grossolane da sprofondare direttamente nell’Inferno dantesco.

A queste ultime appartiene sicuramente un’affermazione legata all’attentato alle Torri Gemelle del 2001. «Io ho visto crollare il World Trade Center. E ho visto a Jersey City migliaia e migliaia di persone festeggiare le torri che crollavano». Non esiste un solo video, una fotografia, una testimonianza che nella cittadina del New Jersey che si affaccia sul fiume Hudson ci siano stati episodi come quello citato dal palazzinaro newyorkese l’11 settembre del 2001, né nei giorni seguenti. Alle proteste e alla critiche Trump ha risposto dicendo che lui ricordava perfettamente quello che aveva raccontato.

Dello stesso tipo è la sparata legata alle statistiche sul crimine negli Stati Uniti, in particolare gli omicidi e il fattore razziale. «I bianchi uccisi dai bianchi rappresentano il 16 per cento dei delitti», sentenziò via twitter Donald Trump il giorno dopo un episodio di violenza durante un suo comizio, quando un attivista afro americano che protestava contro il miliardario fu aggredito dai sostenitori di Trump. Nel tweet Trump rivelò una statistica che non appariva in nessuno studio sul crimine: «I neri uccisi dalla polizia, l’1 per cento. I bianchi uccisi dalla polizia, il 3 per cento. I bianchi uccisi dai neri, l’81 per cento».

Con una faccia tosta da primo premio, Trump replicò così al giornalista di Fox Tv Bill O’Reilly che gli chiedeva conto dell’affermazione: «Hey Bill, dovrò mica controllare ogni statistica prima di un tweet? Io, poi, ho acchiappato milioni e milioni di persone con @RealDonaldTrump». E al conduttore delle interviste domenicali della Cnn George Stephanopoulos spiegò: «Ci possono essere state affermazioni controverse George, ma alle fine non lo sono più quando la gente comincia a dire “sai, Trump ha proprio ragione”».

Questo modo di dare una giustificazione politica, se non filosofica, alla menzogna ha sempre attirato la curiosità di molti studiosi. Come ha fatto notare Jeet Heer in un articolo su “New Republic”, il comportamento di Trump è descritto perfettamente in un libro di Harry G. Frankfurt, professore emerito di filosofia all’università di Princeton. Il saggio si chiama “On Bullshit”, ovvero “I Pallonari” o “I Contaballe”, dove viene fatta una distinzione tra il bugiardo e il bullshit, categorie niente affatto assimilabili e che nella società interpretano ruoli differenti.

Questa la riflessione del professor Frankfurt. «È impossibile per qualcuno mentire senza pensare che egli conosca la verità. Sparare balle non richiede questa convinzione. Una persona che mente dovrà in qualche modo rispondere sulla verità che copre e in qualche modo è rispettoso della verità. Quando un uomo onesto parla, dice solo che ritiene di essere nel vero, e per il bugiardo è allo stesso modo indispensabile considerare le sue affermazioni false. Per il contaballe, ovviamente, tutte le scommesse sono perse... Egli non rigetta l’autorità della verità, come fa il bugiardo, né si oppone ad essa. Semplicemente non se ne cura, ed allora il contaballe finisce per essere un nemico più grande della verità di quanto non lo sia il semplice bugiardo».

Seguendo il ragionamento del professore emerito di Princeton allora è più facile mettere a fuoco il comportamento di colui che rischia di rappresentare il Partito Repubblicano nella corsa alla Casa Bianca. Affermare ancora dopo 8 anni che Barack Obama non è nato negli Usa e quindi occupa abusivamente lo Studio Ovale, non è una piccola o grande bugia, è qualcosa che serve solo a creare una falsa realtà, come affermare di «aver sentito che Obama è pronto a fare entrare nel Paese 200 mila rifugiati siriani», quando c’è un comunicato ufficiale che parla di 10 mila. E lo stesso scenario irreale viene proposto con le affermazioni che «il governo messicano ha un piano per far emigrare i criminali negli Usa» o che «le politiche fiscali pongono gli Stati Uniti in testa ai Paesi dove si pagano più tasse», quando tutte le analisi dimostrano che Washington si trova nella parte bassa della classifica.