In mancanza di virtù i cittadini sceglieranno tra vizi e viziosi: ecco come il filosofo francese giudica i candidati all'Eliseo

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La campagna presidenziale è un’autentica corte dei miracoli, popolata di tagliaborse, finti storpi ma veri delinquenti di lungo corso, ladruncoli spudorati, vendifrottole senza dio né patria, prevaricatori di alto bordo. Brulica, pigola, intrallazza, sproloquia, assorda, raggira il mondo, ma in fondo pullula di rane che vogliono diventare grandi quanto il bue e che - è questione di poco - finiranno per scoppiare e crepare dopo aver imbrattato tutto con le loro viscere dilaniate.

Benoît Hamon
Pensiamo a Benoît Hamon: costui è arrivato al primo posto del podio socialista con elezioni palesemente truccate. La cosa è risaputa, ma il risultato non è stato invalidato. È pur vero che conosciamo bene come si imbroglia alle urne del Partito socialista! Quando alla fine del 2008, al congresso di Reims, Ségolène Royal ottenne i voti, una massiccia operazione segreta ha permesso a Martine Aubry di diventare califfo al posto del califfo con il beneplacito di Benoît Hamon, oggi consacrato Principe dei Socialisti, e di Jean-Christophe Cambadélis, oggi segretario del PS, ma condannato ieri per sottrazione di denaro a una mutua studentesca. Anche se la menzogna sulla partecipazione al primo round delle primarie socialiste è stata rivelata, non per questo l’esito è stato modificato.

È facile immaginare che la truffa possa non aver riguardato solo il tasso di partecipazione! Benoît Hamon non ha mai lavorato in vita sua, a eccezione di tre anni in cui, con il magro bagaglio universitario di una laurea triennale, ha insegnato storia all’università… Oggi quest’uomo è il candidato del Partito socialista.

Emmanuel Macron
Continuiamo con Emmanuel Macron: è integro, è un uomo nuovo, ci dicono. La sua breve esistenza, tuttavia, è vincolata a un passato già passivo. Lasciamo perdere il periodo in cui è stato presso la banca Rothschild, perché vi lavorò e non si trattò di un lavoro fittizio. Se però andiamo a guardare ai margini della sua carriera politica, vediamo che ha avuto il tempo di commettere un bel po’ di guai. Non dimentichiamo che ha fatto parte del team della campagna che ha portato François Hollande alla presidenza; che in seguito è diventato consulente per la politica economica del presidente della repubblica, e vediamo bene con quali esiti; che infine è stato suo ministro dell’economia per due anni, con i risultati che ben conosciamo.

Macron non è un uomo nuovo, è il braccio armato del vecchio Attali, del vecchissimo Alain Minc, del preistorico Pierre Bergé. È colui che nasconde il suo programma e avanza a colpi di ambiguità e sa di non doversene discostare, perché gli costerebbe caro. È stato, è, rimane, continua a essere e sarà l’uomo dell’uberizzazione, ossia l’artefice della distruzione del carattere sociale del lavoro del quale farà una variabile di adattamento nella produzione, che egli vuole che sia liberale. Oggi chiunque può fare il tassista e l’albergatore, e può farlo senza competenze, senza obblighi sociali, contro e nonostante i veri tassisti e gli autentici albergatori soggetti invece alle tasse, alle leggi, alle normative. Macron mette tutti al lavoro, crea l’illusione di un istante, ma fa scomparire tutto ciò che nasce da una concezione non liberale del lavoro: la pensione degli anziani, la solidarietà con gli esclusi dal sistema, la salute dei più indigenti, il servizio pubblico con perequazione dei redditi produttivi per i posti di lavoro che lo sono meno. Uberizzare la scuola, uberizzare l’ospedale, uberizzare la polizia, uberizzare le forze armate, uberizzare la giustizia? In effetti, sarebbe meglio tacere sul programma e, come egli va facendo di questi tempi, proclamare che la politica non è una questione di programma, bensì una questione “mistica”. Questa è la parola che usa…

François Fillon
Proseguiamo con François Fillon, uno che si professava cristiano, integerrimo, moralmente onesto, e che ora scopriamo che invece ha fatto man bassa della cassa, ha stipendiato i suoi figli da quando erano ancora nella culla, ha retribuito ogni mese con somme vertiginose la moglie per un lavoro che lei stessa dice di non aver mai svolto, si è servito della consorte per redigere - e neanche a suo nome, ma con uno pseudonimo - due note spese, come se si trattasse dei diritti d’autore per un romanzo di Marc Lévy. Voleva smantellare la previdenza sociale per lasciare alle mutue il mercato delle cure a eccezione di quelle per le patologie gravi (senza precisare quali…), e scopriamo che è lautamente retribuito da un’assicurazione con il pretesto di farle da consulente. Chi dava consigli a chi? A quanto sembra, era la grande società di assicurazioni Axa a fargli da consulente, più che il contrario.

E concludiamo con Marine Le Pen che, per la settima volta, indossa la casacca della famiglia Le Pen alle elezioni presidenziali. Il padre ha avuto un ruolo di comparsa cinque volte; con il suo antisemitismo, i suoi amici che hanno preferito Pétain a de Gaulle e Vichy a Jean Moulin, gli altri suoi amici esperti in cavi elettrici e vasche da bagno negli scantinati dell’Algeria francese, la sua passione per le scazzottate agli omosessuali e i blitz di paracadutisti contro i simpatizzanti dell’estrema sinistra, era condannato a ricoprire il ruolo di comparsa.

Sua figlia non ci sente proprio da quell’orecchio: lei vuole vincere, e per riuscirci ingaggia Florian Philippot, ex fautore di Jean-Pierre Chevènement, convinto repubblicano di sinistra. Lui le appronta un altro programma, quello dei comunisti degli anni Settanta, quello di Georges Marchais! Contro ogni aspettativa, nel paese questa mossa funziona, ma non così nel partito che resta di estrema destra mentre Marine Le Pen si assesta sulle posizioni del nazional-comunismo degli anni successivi al maggio ’68. Quanto alla giovane Marion Maréchal-Le Pen, rimane fedele al nonno di estrema destra e dunque non è fedele a sua zia Marine, resa gauchista da Philippot che un recente coming-out mediatico ci ha fatto scoprire essere omosessuale.

Hamon arriverà al potere soltanto se, dopo aver attirato dalla sua parte l’ecologista Yannick Jadot, il che è fattibile, staccherà la spina a Jean-Luc Mélenchon, tribuno alla Robespierre passato dal “sì” a Maastricht al “no” a quasi tutto mentre faceva carriera da apparatcik nel Partito socialista e poi in un partito dominato da lui, il che gli permette - dato che ha sempre almeno un eletto allo scrutinio di lista - di continuare a far carriera nel Parlamento europeo. Be’, Hamon non otterrà che Mélenchon - troppo narciso e megalomane per una cosa del genere - si schieri dietro di lui in un programma comune che l’irascibile non vorrebbe che si facesse sul suo solo programma. In altri termini, sulla sua sola persona.

Fillon arriverà al potere soltanto se dietro di sé avrà la destra unita. Per il momento, ora che il suo abuso di potere riempie le prime pagine dei giornali da circa tre settimane, è unita… contro di lui. Una parte del suo elettorato, quella dei juppisti, va verso Macron; un’altra, quella dei sarkozisti, va verso Le Pen. Gli resteranno soltanto gli irriducibili che voterebbero per un asino, se si dicesse loro che un asino si candiderà.
Restano Macron e Le Pen. La Russia minaccia di diffondere notizie su Macron, il candidato del grande Capitale. Si sa. Chissà che non possano essere diffuse prove, puntuali e pagate in moneta sonante, che gli sarebbero fatali. Si vedrà.

Di questi tempi, gli deve costare molto non poter fare atto di sottomissione al padrone del Cremlino. Fillon godeva della fiducia di Putin, ma ha rovinato tutto. Quanto meno, “Le canard enchaîné” gli ha rovinato il gioco, svelando quanto sia grande la sua corruzione.

Con il suo esercito di hacker, Putin può dunque cambiare cavallo e Marine Le Pen non ha mai nascosto le sue simpatie per l’ex spia del Kgb, diventato l’uomo forte di Mosca. Un secondo round elettorale Macron - Le Pen vedrebbe il primo vincente. Ma un Macron screditato a livello internazionale da rivelazioni scottanti avrebbe vita molto più difficile. A quel punto Marine Le Pen vedrebbe sgombra la strada davanti a sé. Nell’attimo stesso dell’annuncio del risultato scoppierebbe il caos sociale.
Anche Marine Le Pen tuttavia è implicata in alcune rivelazioni su posti di lavoro pagati dal parlamento europeo e assegnati a destinazioni diverse rispetto a quelle alle quali sono destinati i fondi. È attaccata talmente tanto dai media, per tutto e niente, che questa ulteriore accusa è diventata irrilevante.
Truffe alle urne, impieghi fittizi, prevaricazione e concussione: i francesi hanno di che scegliere e, in mancanza di virtù, dovranno scegliere tra vizi e viziosi.

Traduzione di Anna Bissanti