Era la vigilia del Natale 2016 a Mosca ?e un seminario per governatori regionali decideva la formula per le presidenziali con cui Vladimir Putin intascherà tra qualche giorno il suo quarto mandato: 70-70. Ovvero vittoria al primo turno con oltre i due terzi dei voti e simile percentuale di affluenza, un dato che al Cremlino sta più ?a cuore delle preferenze. Perché il 18 marzo 2018 serve un referendum più che un’elezione. Putin ascoltò. Diede il suo placet, un po’ annoiato, come sempre davanti alle formalità.
La data che tiene sveglio, e preoccupa, Vladimir Vladimirovic è invece quella ?del 2024, quando scadrà il suo ultimo mandato. Una data che pone all’uomo forte degli ultimi 20 anni una missione senza precedenti per la Russia: gestire una transizione di potere in modo pacifico, possibilmente con metodi non troppo lontani da quelli democratici. Senza ritrovarsi con le spalle al muro, come accadde a Boris Eltsin, costretto a cedergli la stanza dei bottoni alla fine dei selvaggi anni Novanta. Soprattutto, è il suo chiodo fisso, Putin non vuole finire spodestato sull’onda di proteste di piazza.
Le formalità, per quanto noiose, sono comunque necessarie. Così alle imminenti presidenziali Putin sarà sfidato da sette candidati che, tutti assieme, non arriveranno al 20 per cento dei voti. E che torneranno nell’ombra, eccetto la socialista 36enne Ksenja Sobcak, figlia del defunto sindaco di San Pietroburgo, Anatolij Sobcak, che fu il mentore di Putin. Ksenja ama troppo la scena per ritirarsi. Si maligna che per la sua candidatura, ufficialmente molto anti-Cremlino, ma inconsistente nei fatti, le abbiano promesso la direzione di una rete tv.
Alexej Navalnyj, invece, non si è potuto candidare. Unica figura carismatica di un’opposizione divisa e complessivamente insignificante, questo avvocato e brillante blogger di 41 anni da tempo è una superstar del web russo con i suoi video ?di denuncia della corruzione che dilaga ?ai vertici del potere. Se avesse partecipato, il 18 marzo non avrebbe certo vinto contro Putin, ma avrebbe potuto puntare a un risultato a due cifre, piattaforma ideale per lanciarsi verso il prossimo giro. Così è stato escluso dalla gara. Sulla scia di una vicenda giudiziaria talmente intricata da sembrare costruita proprio per apparire fasulla.
Ma pure nella Russia stregata da Putin soffia un vento di malcontento. La ripresa economica dopo gli anni durissimi della crisi non basta. Anzi, il direttore generale dell’istituto demoscopico Vtsiom, per niente ostile al potere, avverte che i sentimenti rivoluzionari «emergono quando le cose migliorano». E che la Russia si muove ?in quella direzione.
Anche con i sondaggi che attestano un tasso di popolarità attorno all’80 per cento, per Putin sta cominciando una fase carica di turbolenze. Il giorno dopo le elezioni si passerà a un altro livello di lotte di potere rispetto ai soliti scontri tra gruppi che gravitano attorno al capo. Lotte per ?la successione. Senza escludere l’impensabile fino a ieri: la sostituzione, ?lo spodestamento dello zar.
L’operazione “erede”, per individuare un leader da portare al trono con il nulla osta dell’attuale presidente, è iniziata da tempo. Putin tace, ma i normi circolano. Da quello del 35enne ministro dell’Economia, Maksim Oreskin, al sindaco di Mosca, Sergej Sobjanin. Nel toto-delfino spicca Alexej Djumin, 46 anni, a lungo guardia del corpo di Vladimir Vladimirovic. Un’ombra discreta, talmente efficiente da finire catapultata alla direzione delle operazioni speciali delle Forze Armate, posizione da cui ha gestito gli aspetti militari dell’annessione della Crimea nel 2014. Djumin oggi è governatore di Tula. Nell’ultimo anno c’è stato un forte rinnovamento ai vertici delle regioni, con avvicendamenti che testimoniano la volontà di Putin di svecchiare la classe dirigente ?e di creare un nuovo circolo di fedelissimi. Gli 85 “soggetti della Federazione” - repubbliche, regioni, distretti allungati ?su 11 fusi orari - sono essenziali per il funzionamento della “verticale del potere”, il sistema di comando che dal Cremlino raggiunge anche il più sperduto villaggio sul Pacifico. Questo asse di trasmissione della macchina putiniana dovrà essere oliato ?e sottoposto a continui tagliandi di qui ?alla fine del quarto mandato, pena il crollo.
Facile quindi prevedere un giro di vite: ?teste che cadono a ogni errore o segnale ?di dissenso, retate alle manifestazioni, l’Authority per i media a caccia di siti e contenuti da bloccare. In attesa di un sistema di controllo per Internet che Putin definisce necessario e urgente. Le maniere forti servirebbero inoltre per dare una direzione all’economia russa, sempre drammaticamente legata alle sorti del prezzo del petrolio e delle materie prime. ?Il pil russo ha segnato un + 1,5 per cento nel 2017. La Russia è tornata a crescere, martella il Cremlino. Per contenere ?gli umori rivoluzionari, ribattono i consiglieri, servirebbe un’accelerazione a +3-4 ?per cento l’anno.
Putin è esposto su molti fronti, Dalla Siria alla Libia, senza contare l’Ucraina. E c’è ?da gestire il rapporto con la Cina, utile compagno di strada in tempi di isolamento sul fronte Ovest, ma con una proiezione da superpotenza che non può non preoccupare uno Stato poco popolato e con il 77 per cento del suo territorio in Asia. Determinato a passare alla storia come il leader che ?ha fatto rinascere la Russia dalle ceneri dell’Urss, che ha ridato al suo Paese un ruolo degno sulla scena internazionale, ?nel 2024 avrà 72 anni e avrà trascorso al potere un quarto di secolo. Sempre che non se ne vada prima, come sussurrano in tanti. O non crei un ruolo ad hoc, a fianco, o sopra la presidenza, per restare al comando anche quando uscirà dal Cremlino e superare il record di Stalin, che fu alla guida dell’Unione Sovietica per quasi tre decenni. Navalnyj, che si vede volentieri al suo posto, non ha dubbi: Putin cercherà di non mollare, mai, «vuole diventare Imperatore a vita».