Mondo
16 luglio, 2018

Così la tecnologia sta rivoluzionando la vita delle donne islamiche

Dalle moto-tassiste di Uber a Giacarta alle cuoche online a Teheran: i nuovi servizi online stanno cambiando come mai prima d'ora il lavoro femminile nei paesi musulmani

Citra Satiti è una d elle migliaia di motocicliste a Giacarta che lavorano come tassiste per le aziende di trasporto come Uber. Nel 2016, quando lei arrivava per prendere un passeggero maschio, lui quasi sempre le chiedeva di cedergli il suo posto e di lasciarlo guidare fino a destinazione.

«Fino a solo due anni fa gli uomini non potevano tollerare di essere guidati da una donna - dice Realino Nurza, 39 anni, fondatore di Sister Ojek, una società di condivisione del viaggio urbano che fornisce un servizio di donne solo per donne - ora molte cose sono cambiate e le donne non si trovano più di fronte a richieste di questo tipo. Nel 2015, solo il 3 per cento dei conducenti in questo settore erano donne, oggi sono il 20 per cento».

La tecnologia, in particolare Internet, ha cambiato diverse vite. Per alcune persone, tuttavia, questo cambiamento è stato molto forte. E le donne nei paesi musulmani ne sono un buon esempio. Grazie alla rapida espansione della digitalizzazione, molte di queste donne sono ora in grado di guadagnare denaro.

«Prima di fondare Sister Ojek, lavoravo per l’Asian Muslim Action Network Indonesia, una Ong che supporta donne capo famiglia -prosegue Realino- queste sono normalmente donne con un livello di istruzione molto basso. Per molte di loro, trovare lavoro non è così problematico quanto essere pagate per quello che hanno fatto. Tanti datori di lavoro si rifiutavano di pagarle per mesi. Altre avevano un reddito inferiore a 60 dollari al mese. Si doveva cambiare questa situazione».

E così è stata nata Sister Ojek, dove le donne potevano guadagnare fino a 600 dollari al mese. Il mercato del trasporto a Giacarta è così in crescita che ha dato vita ad altre startup simili: i motorini guidati dalle donne che portano solo le donne. Secondo uno studio fatto da Saadia Zahidi, membro del comitato esecutivo del World Economic Forum, l’Indonesia e la Malesia sono tra le 13 economie del mondo in cui la percentuale di attività imprenditoriale nelle prime fasi tra le donne è più alta rispetto agli uomini. Molte di queste donne hanno creato opportunità esaminando accuratamente i settori in cui la cultura islamica si interseca con la domanda della società, sviluppando i loro mercati di nicchia attorno alla loro cultura. Essa si estende dal mondo digitale a quello reale, dalla creazione di biglietti di auguri con disegni islamici alla produzione di cibo halal. Secondo un rapporto di Thomson Reuters, la spesa globale dei consumatori musulmani per prodotti per servizi alimentari e stile di vita è stata stimata a 1,8 trilioni di dollari nel 2014, e si prevede una crescita del 45 per cento entro il 2020.

Una grande opportunità per chi vuole approfittarne. «Fino al 2000, era piuttosto raro trovare un panificio malese in Malesia, dato che i cinesi hanno dominato il settore della panificazione per anni - dice Huda Nik, che gestisce una panetteria halal a Kuala Lumpur dal 2010 - la gente non sa con certezza se i cinesi usano ingredienti halal o meno».

In Malesia quasi il 21 per cento delle piccole e medie imprese è di proprietà femminile; con il sostegno del governo questo numero è addirittura in aumento.

Il secondo grande aiuto per le donne è stato internet che, in molti modi ha aiutato a promuovere le attività economiche. In Iran, Tabassom Latifi, 33 anni, è la fondatrice e amministratrice delegata Ceo di uno startup di ordini alimentari online. L’idea era quella di mettere in contatto gli abitanti di Teheran che desiderano cenare con pasti casalinghi con le casalinghe che desiderano cucinare. L’app, chiamata “Maman-Paz” che significa “cucinato dalla mamma”, consegna mensilmente 40.000 pasti preparati da 80 mamme. Il nostro obiettivo è arrivare a consegnare 200.000 pasti al giorno - spiega Tabassom - il che significa coinvolgere molte altre mamme. Alcune di queste donne guadagnano fino a 120 milioni di Irr (1600 euro) al mese. Stornati i costi, i loro profitti raggiungono i 35 milioni di Irr (466 euro)». Considerando che il reddito medio di una famiglia iraniana è di 6000 euro all’anno, tale reddito è immenso per una casalinga.

Tabassom è una delle migliaia di laureati in ingegneria nei paesi musulmani. In Iran, quasi il 70 per cento dei laureati in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica (Stem) sono donne, una percentuale più alta che in qualsiasi altro paese. Anche l’Oman, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (Uae) sono vicini a questo numero; ognuno di essi vanta oltre il 60 per cento di laureate in scienze, ancora più del resto del mondo.

«La promettente prospettiva nei campi relativi al settore informatico nei paesi musulmani, incoraggia le ragazze a scegliere tali campi di studio», spiega Mojgan Hosseini, 59 anni, consulente senior di informatica, «mentre nei paesi europei il numero di donne in posizioni manageriali nel settore informatico rimane ancora molto inferiore rispetto agli uomini, in Iran o nei paesi attorno al Golfo Persico si possono trovare molte donne manager».
Inoltre, Internet si rivela un grande aiuto per le donne che lottano con ambienti di lavoro dominati dagli uomini. «Nei paesi musulmani, gli uomini hanno una lunga storia lavorativa», continua Mojgan, «mentre le donne sono relativamente nuove ad esso. A volte è difficile superare il comportamento degli uomini. Per le donne è più difficile ignorare le loro emozioni nell’ambiente lavorativo e quindi interpretano i commenti dei loro colleghi attraverso i loro sentimenti. Tuttavia, la tecnologia digitale offre alle donne la possibilità di lavorare riducendo al contempo tali complessità, scegliendo il modo in cui vogliono lavorare. Ad esempio, una programmatrice può accettare dei progetti, codificare e consegnarli via Internet. Questa libertà e flessibilità incoraggia più donne a farsi coinvolgere nell’economia».

I paesi musulmani costituiscono il 20 per cento della popolazione mondiale e sono responsabili del 12 per cento del Pil globale. Nei trenta maggiori paesi musulmani dei mercati emergenti, nel 2002 lavoravano 100 milioni di donne. Oggi questa cifra ha raggiunto i 155 milioni. Nel 2014 le donne hanno costituito quasi il 60 per cento delle iscrizioni totali degli studenti in Informatica presso le università governative dell’Arabia Saudita. In confronto, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, le donne iscritte a Computer Science erano rispettivamente del 16 e del 14 per cento.

In Bahrein l’85 per cento degli studenti iscritti a Scienze Naturali, Matematica e Statistica sono donne. In Tunisia, Palestina e Giordania questa quota è superiore al 70 per cento. «L’Arabia Saudita era un paese molto conservatore, dominato dagli uomini - ricorda Samira Ibrahim Islam, il capo dell’unità di controllo della droga presso il King Fahd Medical Research Center. Nel 1970, Samira divenne la prima donna saudita a conseguire un dottorato di ricerca. «In quegli anni le opportunità di lavoro per le donne erano principalmente limitate a insegnanti, medici e infermiere. Era semplicemente inaccettabile per molte famiglie saudite permettere alle loro donne di lavorare. Era un atteggiamento culturale e le straniere costituivano la maggior parte della forza lavoro femminile».

Da quando Samira ha iniziato la sua carriera diverse cose sono cambiate anche in un paese così conservatore come l’Arabia Saudita. Al 2017 sono state rilasciate a donne oltre 87.000 licenze commerciali. Secondo il Ministero del commercio queste licenze sono state rilasciate per le imprese in vari settori, tra cui commercio, produzione, comunicazioni, informatica, immobiliare, pulizia, turismo, ristoranti. Le donne saudite stanno anche iniziando a capire l’importanza degli investimenti: circa il 20% delle società d’investimento a capitale variabile è di proprietà femminile. Le donne nei paesi musulmani hanno ancora una lunga strada per raggiungere l’uguaglianza di genere in diversi settori, ma senza dubbio la tecnologia sta accelerando il ritmo del progresso. A Citra non viene più chiesto di consegnare il manubrio della moto ai passeggeri maschi, però spesso viene respinta. «Quando gli uomini vedono che la tassista è una donna, cancellano la loro richiesta - racconta - e guidando un minor numero di volte, otterrò minori bonus rispetto ai tassisti maschi. Questo succede anche ad altre. Continuiamo a protestare con la compagnia: qualcosa potrebbe cambiare». Si infila il casco e accende la sua moto per la prossima corsa.

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