Sei anni tra gli espatriati che progettavano attentati nell’isola. Poi l'arresto, e tredici anni nelle prigioni statunitensi. René González racconta la sua avventura di militare e militante della Revolución, il terrore di essere scoperto, il dolore di dover mentire a sua moglie. Ora la sua vita è un film con Penélope Cruz

Io, in missione per conto di Fidel Castro tra gli anticastristi della Florida

Una scena del film "Wasp Network"
L’uomo che sorseggia un caffè espresso nel patio del mitico hotel Nacional dell’Avana conta il tempo e oggi, oggi è l’8 dicembre, fanno 29 anni esatti. «A quest’ora (sono le 11 del mattino, ndr) ero nella torre di controllo e studiavo il modo migliore per rubare un aereo. Ricordo ogni istante, non capita tutti i giorni un’impresa del genere». L’uomo si chiama René González, all’epoca aveva 34 anni ed era un pilota dell’aviazione cubana. Era in missione per conto di Fidel ma nessuno, a parte una cerchia ristretta degli alti vertici della nomenklatura, lo sapeva. Doveva sembrare il gesto disperato di chi fugge dall’isola per inseguire il sogno americano. Era l’unico modo per infiltrarsi, abbassando il livello di rischio, tra gli esuli anticastristi di Miami che stavano moltiplicando gli attentati terroristici a Cuba, soprattutto contro infrastrutture turistiche: con l’Unione Sovietica ormai morente e non più in grado di fornire aiuti, colpire la maggior risorsa economica poteva provocare, nei loro intenti, il collasso del regime.

Non era la prima volta che René ci provava senza trovare l’occasione giusta. «Un mese prima, ad esempio, quando tutte le condizioni sembravano favorevoli, ma la previsione non si rivelò esatta, ho accompagnato a scuola Irmita, mia figlia che aveva 6 anni, e l’ho baciata sulla porta della classe, mi è scesa una lacrima e ho voltato la testa perché non la vedesse». Nella testa ronzava il pensiero fisso che, fosse andata male, sarebbe stata l’ultima volta.

La mattina dell’8 dicembre 1990 René si congedò con un abbraccio dalla moglie Olga Salanueva, dandole appuntamento per la sera quando dovevano andare insieme al “Festival Internacional del nuevo Cine latinoamericano”. Un appuntamento che sapeva di non poter rispettare, persino la famiglia doveva rimanere all’oscuro. Un militare è un militare, nella Cuba di quei tempi anche di più. «Noi veniamo da padri che stavano nella Sierra Maestra, che hanno sconfitto la dittatura di Batista, che hanno vinto alla Baia dei Porci. Abbiamo dunque una certa familiarità con le tradizioni e le tattiche belliche. Non suonava nuovo l’ordine di infiltrarsi in gruppi controrivoluzionari, altri l’avevano già fatto. E la disciplina propria di un soldato impone di rispettare gli ordini del governo. Hanno considerato che ero maturo per un compito tanto importante. Dunque toccava a me e sapevo come mi dovevo comportare. Certo è stato molto duro non poter dire nulla a Olguita».

Olguita gli siede accanto nel patio dell’hotel Nacional, ordina una bottiglia d’acqua naturale, tira un lungo sospiro di sollievo, squaderna ricordi indelebili. L’attesa del marito, le ore che passano, la comunicazione ufficiale: «È scappato a Miami». Quindi è un “gusano”, un verme. L’incredulità e subito il cuore che si ribella all’evidenza. «Eravamo sposati da 8 anni, il sangue mi diceva che non poteva essere così, che c’era un mistero dietro l’improvvisa scomparsa di René, rivoluzionario vero, di solidi principi, amante della famiglia. Cercavo indizi che confortassero un’intuizione che era una speranza, sostenuta dai miei genitori i quali avevano piena fiducia in lui. Trovai, sul cruscotto dell’auto parcheggiata sotto casa, un libro, il “Diario del Che in Bolivia”. Pensai che lo aveva lasciato perché lo vedessi e traessi le mie conclusioni. Come poteva essere un traditore chi ancora faceva quelle letture?». René nega fosse un espediente studiato, «e tuttavia non posso escludere che fosse un gesto dettato dal mio inconscio, chi può dirlo?».

Il pilota si impadronisce dell’aereo, rulla sulla pista, in preda a una forte tensione e a una “tempesta emotiva”. Vive scene ripassate chissà quante volte nell’attesa dell’attimo propizio. Commenta: «Nessuno mi aveva obbligato, io per passi successivi mi sono avvicinato all’impresa fino a quando è arrivato il momento in cui non si può più rimandare, si è toccato il punto di non ritorno e bisogna solo agire. Dopo aver sorvolato Santa Cruz, la mia Cuba che si allontanava e diventava un puntino, ho sentito una fitta nel petto. Poi è entrato il pilota che è in me. Il pilota con la sua missione. E mi sono comportato di conseguenza, con la freddezza necessaria per svolgere le operazioni importanti, controllare il carburante, altezza del velivolo, rotta, atterraggio a Key West. Stati Uniti dunque. Le credenziali da presentare, gli interrogatori da reggere, i contatti da cercare...».

René González non è solo. Fa parte della “Red Avispa”, la Rete Vespa, altri rivoluzionari infiltrati come lui, la cui storia è narrata in un film dallo stesso titolo, in inglese “Wasp Network”, regista francese, Olivier Assayas, cast internazionale, Olga è Penélope Cruz, René è il venezuelano Edgar Ramirez, ci sono tra gli altri anche Gael Garcia Bernal (“Amores perros”, “Babel”, “La mala educación”), Wagner Moura (è Pablo Escobar nella serie tv “Narcos”). La pellicola era in concorso all’ultimo Festival di Venezia, uscirà in Francia a fine gennaio, in Italia a marzo distribuita da Bim. E proprio il 7-8 dicembre scorso è stata proiettata al Festival del cinema latinoamericano di Cuba, lo stesso dove dovevano andare Olga e René, 29 anni fa.

Assayas ha scelto la loro storia personale come filo conduttore perché quella più simbolica e basandosi sul libro “Gli ultimi soldati della Guerra Fredda”, del giornalista brasiliano Fernando Morais. Salvo trascurabili cambiamenti dovuti ad esigenze drammaturgiche, «il film è fedele ai fatti reali», nel giudizio di René presente in sala al cinema “Yara” dell’Avana sparso tra il pubblico assieme ai suoi compagni di un’avventura che, come vedremo, diventerà sventura. «Questo benché noi non abbiamo avuto nessun contatto con la produzione ed è stato meglio così. Era giusto che il regista francese, un europeo, avesse la libertà di riproporre la storia secondo la sua sensibilità e pur con una concezione della democrazia diversa dalla nostra».

Il pilota ha talmente studiato la parte da anti-castrista da risultare credibile e del resto la mirabolante fuga depone a suo favore. Penetra nel più potente gruppo di fuoriusciti, la Cuban American Nazional Foundation di Jorge Mas Canosa che ha rapporti stretti con l’amministrazione di Washington, scopre piani che fanno capo a Luis Posada Carriles, un agente della Cia eppure considerato terrorista dall’ Fbi oltre che dal governo cubano. Riesce, assieme alle altre “Vespe”, a sventare diversi attentati. Purtroppo non tutti. In uno di questi, molto più avanti, il 4 settembre 1997, morirà l’imprenditore italiano Fabio Di Celmo a causa dell’esplosione di una bomba piazzata nel bar dell’hotel Copacabana all’Avana. Scopre, identifica e denuncia due diversi gruppi di trafficanti di droga in connessione con gli esuli anti-regime, i quali si finanziano anche grazie al contrabbando di stupefacenti.

Olga, nel frattempo, vive la sua esistenza di moglie abbandonata. Continua a lavorare, a crescere la figlia Irmita. Ammette che, trascorsi pochi mesi dalla dipartita del marito, le autorità le fanno intendere la verità. Effettivamente il marito non è un “gusano”, sta lavorando per la patria e la Revolución. Eppure lui, nelle lettere che le scrive, per non tradirsi, perpetua il suo personaggio: «Non avevo altra scelta, ovviamente, nel timore che le lettere fossero intercettate». Lei risponde stando bene attenta. In una missiva gli comunica che a malincuore «il mio futuro non sarà con te». Leggerla risulterà, per lui, «uno dei passi più complicati».
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Quando finalmente lei potrà permettersi di avere un telefono in casa sarà possibile anche parlarsi di persona, attraverso una rete protetta che passa dal Canada. Irma cresce e quando frequenta la sesta classe, all’età di 11 anni, viene scelta perché allieva-modello per partecipare a un congresso dove il tema sono “i traditori”. Olga chiede un colloquio alla maestra: «Le ho fatto notare che non era il caso dato che Irmita era, agli occhi di tutti, proprio la figlia di un traditore. Ma lei ha insistito, ha replicato che se lo era meritato».?Nel 1996, sei anni dopo la separazione, arriva a maturazione il percorso, volutamente irto d’ostacoli per non destare sospetti, per cui Olga e Irma possono lasciare Cuba per Miami. René: «Quando ci siamo rivisti era come se non ci fossimo mai lasciati, come se quel tempo non fosse mai esistito».

La riunione della famiglia dura poco, due anni. La mattina del 12 settembre 1998 l’Fbi fa irruzione nella loro casa. René arrestato assieme ad altri quattro agenti infiltrati, Gerardo Hernández, Antonio Guerrero, Ramón Labañino, Fernando González, la “Red Avispa”. I cinque, meglio conosciuti come i “cuban five”, sono accusati di cospirazione, spionaggio, terrorismo, Gerardo anche per l’abbattimento, da parte dell’aviazione cubana, di un Cessna che aveva violato lo spazio aereo di Cuba, con quattro cittadini americani a bordo.

Memorabile la reazione di Fidel Castro, riprodotta nel film: «Mi sembra paradossale che gli Stati Uniti, il Paese più spione del mondo, accusi di spionaggio noi che siamo il Paese più spiato del mondo». A René González gli statunitensi fanno un’offerta: la collaborazione e in cambio nulla succederà ad Olga che potrebbe passare guai per favoreggiamento. In un drammatico colloquio in carcere tra i due il pilota è assertivo: «Non cederò mai alle pressioni degli americani». La moglie è d’accordo. Trascorrerà tre mesi in carcere prima di essere espulsa, subendo maltrattamenti «se non fisici però psicologici».

Il processo dura tre anni, due ergastoli a Hernández, uno a Guerrero e Labañino, 19 anni a Fernando González, 15 a René González. A nulla è valsa una vasta mobilitazione e la valanga di prove che Cuba ha accumulato per dimostrare che i cinque si sono battuti contro il terrorismo e l’attività di spionaggio sul suolo americano riguardava soltanto gli anticastristi e non gli Stati Uniti. All’Avana i “cuban five” sono considerati degli eroi. Fidel Castro periodicamente riceve i parenti per confortarli e per far sentire loro la vicinanza del potere. Olga non potrà mai dimenticare «la sua umanità e quella di suo fratello Raúl. Non ci hanno mai abbandonati».

René trascorre tredici anni in carcere. Nell’aprile del 2013 gli viene concesso di tornare a Cuba per i funerali del padre, un giudice gli condonerà la pena restante. È il suo turno di essere ricevuto da Fidel Castro: «Non mi ha detto grazie, ha detto qualcosa per me di ancora più bello: che era un onore avermi a casa sua. Stare con lui era come essere in famiglia, si parlava di tutto, dell’umano e del divino. Era molto preoccupato circa il futuro dell’umanità». Considera il film che racconta la storia sua e dei suoi compagni parte di una sorta di rinascimento. »Un risarcimento che non ci deve invece il nostro popolo che si è speso per noi. A me fa piacere che la nostra storia venga divulgata in Europa, soprattutto negli Stati Uniti (sono in corso contatti per la distribuzione, nonostante ci siano già state diverse manifestazioni in Florida come in Canada perché il film sia bandito, ndr).

Le varie amministrazioni di Washington l’hanno occultata e persino i media se ne sono poco occupati. Forse perché gli americani se ne vergognano». Olivier Assayas, il regista, inquadra la situazione geopolitica: «La Florida è uno “swing state” uno Stato in bilico, dove si giocano le elezioni americane. La lobby anticastrista è molto forte, averla dalla propria parte è decisivo per vincere nelle urne. L’operazione contro i “cuban five” è servita ad accattivarsi le loro simpatie».

A René e Olga piacerebbe tornare negli Stati Uniti, trovare gli amici di Miami che sono stati loro vicini, visitare New York, la California, Chicago, da persone libere. Questo durante le vacanze perché lavorano entrambi, lui ora ha 63 anni ed è tornato in aeronautica e, anche se potrebbe, non vuole sentire la parola pensione. Pare difficile possano ottenere un visto con Donald Trump alla Casa Bianca. René: «Non si tratta di Trump, di Obama o di chiunque altro. La postura Usa nei confronti dell’America Latina, di Cuba in particolare, risale all’Ottocento ed è sempre quella della dottrina Monroe che prevede l’egemonia su tutto il Continente. Tornerei dunque volentieri negli States ma solo quando saranno finalmente serene le relazioni dei nostri due Paesi, in una condizione di reale parità».

A Olga in fondo interessa soprattutto avere a fianco il suo uomo. È lei adesso a fare di conto nel patio dell’hotel Nacional e riassume: «Ci siamo sposati nel 1982. Lui per sei anni è stato in missione, per tredici in carcere. Dunque stiamo insieme da 37 anni meno 19, fa 18 meno della metà. Dobbiamo soprattutto recuperare il tempo perduto».

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