
Il tweet di Humphreys ha avuto in poche ore milioni di condivisioni e il professore si è inaspettatamente visto catapultare sui giornali e in tv con una marea di consensi. «Il mio post ha dato voce a un pensiero che appartiene a una grande quantità di persone», spiega Humphreys all’Espresso. I suoi tweet hanno avuto una particolare risonanza tra i “libertarian”: una corrente politica molto variegata, da anni ai margini del dibattito politico, ma il cui credo, che si permea intorno alle radicatissime idee di libertà personale e necessità di limitare il potere dello Stato, è molto diffuso negli Stati Uniti, e raramente ha avuto una rilevanza come in questi mesi.
Sembra infatti che gli eventi che stanno sconquassando il Paese, tra il Covid e l’ondata di proteste contro la violenza della polizia, abbiano portato improvvisamente una cascata di acqua al loro mulino. «I tempi ci stanno dando ragione», dice all’Espresso Nick Gillespie, editor-at-large di Reason Magazine, la principale rivista libertarian americana. «Più lo Stato è intrusivo nelle vite dei cittadini e peggio è».
I libertarian d’America, i “less taxes, more tolerance”, sono un mix di intellettuali, imprenditori, sostenitori del libero mercato, entusiasti del bitcoin, studenti, filosofi, antiproibizionisti, anarchici, genitori a favore dell’homeschooling e difensori del diritto alle armi, giusto per indicarne alcuni. Per esempio a Washington abbiamo incontrato Gillian e Paul St. Lawrence, imprenditrice lei, avvocato lui, ardenti sostenitori pro-gun (armi libere) e genitori di due figli rigorosamente home-schooled (a istruirli pensa la famiglia). Quanto al Covid, i coniugi St. Lawrence si dicono assolutamente favorevoli alla «gestione consapevole» del rischio individuale nei confronti della malattia e a volte pensando di trasferirsi da Washington in Georgia che, a differenza di DC, «rispetta in pieno il secondo emendamento e consente il trasporto libero delle armi» sul quale Gillian ha idee precise: «Ammiro mia sorella che ha sette figli e a ognuno di loro compiuti i 14 anni, regala un fucile e un corso al poligono di tiro. Faranno lo stesso ai nostri figli quando avranno l’età giusta».
La galassia libertarian in questi mesi di misure anti Covid parla di «fallimento dello Stato» che «ha un potere eccessivo che ha sulle vite dei cittadini». Si tratta di persone - molte delle quali amano definirsi “self-made” - animate da ottimismo, certe che gli eventi recenti spingeranno gli americani se non a unirsi ai ranghi del Libertarian Party, almeno a vedere con occhi diversi il bipolarismo che da sempre impone due sole alternative, democratici e repubblicani. «Ciò che sta succedendo adesso in America con il Covid e con il Black Lives Matter è imprevedibile, i nostri simpatizzanti crescono come funghi», ci dice con entusiasmo in un forte accento del sud Cliff Maloney, il presidente degli Young Americans for Liberty, un’organizzazione di oltre 20 mila giovani con sede ad Austin, Texas, che promuove idee libertarian nei campus americani. «Alle persone importa di potersi bere una birra di notte, come pagare il mutuo, prendersi una laurea o trovare un partner. E ora inizia a chiedersi se un governatore può negarti il diritto di uscire di casa, di andare al lavoro. Questa è una grande opportunità per noi di parlare del punto di vista libertarian».
I libertarian però sono più difficili da inquadrare di quanto non immaginiamo. Il 14 per centro degli americani si definisce così, ma non tutti danno a questa parola lo stesso significato. L’incertezza identitaria dipende dal fatto che il libertarianesimo può includere idee e visioni che provengono da ogni parte dello spettro politico, da destra a sinistra. «I libertarian vengono spesso confusi con i conservatori perché condividono molte delle loro idee, e negli anni il Partito Repubblicano è stata una casa accogliente per loro, ma ci sono anche delle differenze», ci spiega W. Joseph Campbell, professore di Comunicazione all’American University di Washington. Nel libertarianesimo si mescolano anarchia e individualismo, deregulation dei mercati e avversione alle tasse, scetticismo nei confronti dello stato sociale, rispetto del secondo emendamento (quindi libertà di detenzione delle armi) ma anche demilitarizzazione della polizia, antiproibizionismo, apertura delle frontiere, non interventismo, in generale una sostanziale sfiducia nello Stato e invece una fiducia totale nell’individuo.
«Ci scontriamo contro l’idea di una politica bidimensionale, contro la falsa credenza che la battaglia sia tra sinistra e destra», dice all’Espresso Daniel Fishman, l’Executive
Director del Libertarian Party, sorto nel 1971 e diventato rapidamente il terzo partito d’America grazie anche ai finanziamenti massicci dei miliardari fratelli Koch, industriali del settore energetico, a fondazioni e università che sostengono la causa libertarian del “limited government”, come il Cato Institute e la George Mason University (i fratelli Koch successivamente hanno influenzato il Partito repubblicano sulla stessa linea, in particolar modo l’ala legata ai Tea Party). «I libertarian credono che esista una terza dimensione, quella verticale, quella della libertà personale», aggiunge Fishman.
«Alcuni di noi vengono dall’antiproibizionismo, molti sono imprenditori che vogliono portare avanti la loro impresa senza troppi cavilli», spiega Apollo Pazell, che sembra l’incarnazione vivente delle diverse anime libertarian, attualmente consigliere comunale di una piccola città in Utah, per anni consulente politico di repubblicani, dopo aver iniziato la carriera politica nel 2008 con Hillary Clinton for President. «Andiamo molto forte all’Ovest, soprattutto nella zona montana, Wyoming, Utah, Kansas, alcune parti del Colorado. Lì ancora gli ideali di libertà della vecchia idea di frontiera resistono, ma è anche una terra dove la classe media bianca non si è mai sentita aiutata o ascoltata dal governo».
Eppure, fatta eccezione per qualche caso locale, a livello elettorale i libertarian non riescono ancora a sfondare. Al Congresso hanno un solo deputato, quello del Michigan Justin Amash, padre palestinese e madre siriana, ex repubblicano del Tea Party. Alle presidenziali si candida invece Jo Jorgensen, 63 anni, bianca, dell’Illinois. Fishman, l’Executive director del Libertarian party, sostiene un po’ ottimisticamente che Jorgensen è in grado di prendere il 15 per cento dei voti. Il professor Keith Humphreys scuote la testa: «Il partito libertario è in prevalenza composto da maschi bianchi. È vero, è un buon momento per le loro idee che accomunano diversi gruppi, ma devono confrontarsi con il razzismo e il sessismo che prevale tra le loro fila». Replica convinta la militante Gillian St. Lawrence: «Molte delle nostre idee, come la privatizzazione dello stato sociale e la riforma della giustizia penale, porterebbero grossi vantaggi proprio alle minoranze…».
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