Sembra una protesta silenziosa quella delle donne in memoria di Izabela, la trentenne polacca, che, ricoverata in un ospedale di Pszczyna, è morta per infezione dopo un aborto negato. Invece silenziosa non lo è affatto. Le strade di Varsavia e Cracovia, ma anche delle cittadine più piccole, si sono riempite di una folla ogni giorno più numerosa, pronta a scagliarsi contro la decisione dell’Alta Corte del 2020, poi varata dal governo sovranista di Andrej Duda il 27 gennaio del 2021, che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto. Donne adulte, ragazze, ragazzi e uomini di ogni età per dire basta a queste continue restrizioni dei diritti. E durissimo è lo sfogo sui social. Si leggono commenti come “per favore, smettetela di uccidere le persone innocenti che vogliono solo la felicità” o anche “E ora otterranno l'assoluzione e avranno la coscienza pulita”, riferendosi al personale sanitario dell’ospedale di Pszczyna. Sotto l’hashtag “#anijednejwięcej”, che in italiano significa #nonunadipiù, si riuniscono tutte le donne della Polonia con delle candele accese alle finestre. Ma il fulmine rosso che rappresenta le proteste di “Ogólnopolski Strajk Kobiet”, il movimento che difende i diritti delle donne, è più forte di prima e più compatto e si muove già per un gran segnale di dissenso. Basta vedere le foto degli ultimi giorni per capire che la società civile di tutto il mondo ha reagito a questa violenza e al rapporto sempre più stretto che le sette fanatiche, legate alla Chiesa Cattolica polacca, hanno stretto con il governo Duda.
Luci accese nelle piazze di Berlino, Parigi, Londra, Roma con NonUnaDiMeno e tanta gente a manifestare. Non avendo confini territoriali infatti l’aborto è un diritto per il quale le donne devono lottare ovunque costantemente. Già dal 2012 si hanno notizie prima di una trentunenne indiana, Savita Halappanavar, morta a Dublino, poi di Valentina Milluzzo, morta per la stessa decisione dei medici nel 2016. “Oggi” è il caso di Izabela. Ma di quante non conosciamo il loro percorso?
In Polonia l’orientamento politico c’entra ma solo in parte e anche molte famiglie cattoliche ormai stentano a sostenere le decisioni dell’Alta Corte polacca e del governo sovranista a guida di Andrzej Duda.
A Jędrzejów, città a nord di Cracovia, vivono sia Martyna che Elzbieta, due giovani donne furiose per le decisioni prese dal governo ma al tempo stesso spaventate da un destino incerto. «Penso di essere una donna forte e coraggiosa» – ci racconta Elzbieta, femminista convinta - «ma allo stesso tempo intimidita e triste a causa della svolta degli eventi e per colpa di uomini in giacca e cravatta che vogliono controllarci, per sottometterci alla loro visione di essere i padroni di tutti. Essere una donna in Polonia è un dramma e piango ogni volta che guardo il telegiornale». Come se ormai si trattasse di un destino ineluttabile, in cui una donna nulla può davanti al divieto inappellabile dell’interruzione di gravidanza. «Penso che in Polonia ci siano ginecologi in grado di consigliare e sostenere, ma non ce ne sono abbastanza. Tutti hanno paura delle conseguenze legali, e se resti incinta dovrai semplicemente partorire, non importa se il bambino è sano o non è in grado di vivere più di due giorni, se hai soldi e condizioni per crescere un figlio, un lavoro, un compagno, se non finisci sotto un ponte. Devi partorire e il resto non è importante. Per questo non voglio diventare madre».
Le storie come quelle di Martyna e Elzbieta sono tante, troppe, donne costrette ad andare in Repubblica Ceca per poter abortire. Ragazze a cui è rimasto un trauma sia a causa del rifiuto da parte dei medici di praticare l’interruzione di gravidanza, sia per quel viaggio che ricorderanno a vita.
Ma il Parlamento europeo non è rimasto a guardare e ha votato a maggioranza una relazione dove condanna la legge che limita fortemente l’interruzione di gravidanza, condannando il Tribunale Costituzionale polacco e chiedendo al governo di Varsavia di permettere pienamente aborti legali, sicuri e gratuiti. Nella relazione i parlamentari europei hanno sollecitato inoltre gli altri paesi dell’Unione Europea a garantire un accesso transnazionale ai servizi abortivi.
In occasione della Giornata internazionale dell’aborto sicuro (28 settembre) intanto, il ministero della sanità del Belgio insieme all’associazione “Abortion without borders” hanno comunicato di voler offrire alle donne polacche bisognose di aiuto la possibilità di abortire gratuitamente, o si faranno carico delle spese se queste decidessero di interrompere la loro gravidanza in un altro paese. Al momento si tratta di un progetto pilota, una volta finite le risorse per questa iniziativa verrà valutato un importo ulteriore.
L’aborto in Polonia è quindi una questione culturale a cui la politica obbedisce ciecamente. «La scuola non ti instrada all’uso dei contraccettivi – spiega Elzbieta - non si parla mai di aborto e in alcuni casi le classi vengano separate appositamente per dividere i maschi dalle femmine. Perché invece di materie come educazione sessuale si insegnano materie come “educazione alla vita familiare”, dove non si parla nemmeno di sesso sicuro, figuriamoci di aborto».
A Varsavia, racconta Martyna, le manifestazioni si tengono ogni giorno ma il clima è molto diverso da quello di un anno fa: «Le persone sono molto più arrabbiate ma decisamente più tristi». Ma la Polonia che resiste, combatte e mette in campo ogni mezzo per contrastare le decisioni del governo di Duda c’è. «Operano grazie a raccolte e donazioni. Lo so da Internet perché fino a poco tempo fa era un argomento tabù in Polonia», afferma Elzbieta. Oltre al movimento “Strajk Kobiet” e all’opposizione parlamentare infatti esiste legalnaaborcja.pl o aborcjabezgranic.pl, due associazioni che aiutano le donne in tema di aborto e diritti, per farle sentire meno sole. Anche se Elzbieta pensa che l’unica via per resistere a questo clima sia la manifestazione di piazza: «Penso che ci sia bisogno di protestare, ma finora non abbiamo avuto alcun effetto, loro (chi ci governa) fanno ciò che vogliono. Proprio quando pensavamo che non avrebbero attraversato un altro confine, continuano a farlo. Una donna è morta a causa loro. Quindi credo che l’unico modo aspettare le elezioni del 2025 ed eleggere un nuovo governo».
Al momento ciò che emerge dalle dichiarazioni del ministro della Salute polacco, Adam Niedzelski, è che ci sarà un’indagine per accertare le cause della morte. Qualora il personale sanitario avesse agito per tutelare la vita del feto a discapito della madre i sanitari potrebbero incorrere in una sospensione dal servizio di cinque anni. La risposta da parte dell’ospedale di Pszczyna è che le pratiche sono state svolte osservando scrupolosamente la legislazione e le procedure vigenti in Polonia. Martyna non è per niente favorevole alla temporanea sospensione del personale sanitario che si è occupato di Izabela, nel senso che la trova un’operazione di facciata dove il governo si trova costretto a condannare ciò che è successo. Elzbieta evidenzia invece un altro aspetto importante “I medici sono stati sospesi dal lavoro. Credo che non siano irreprensibili, ma questa ragazza è morta perché hanno dovuto scegliere se rischiare la vita e la carriera e rimuovere il feto o aspettare che la vita della ragazza fosse in pericolo? Non auguro a nessuno questa decisione, credo che abbiano fatto il meglio che potevano. Se non fosse per questa legge, che vieta l'aborto in caso di gravi danni al feto, la ragazza sarebbe probabilmente viva».