Nessuno dei due nomi è stampato sulla scheda elettorale, ma i volti di Joe Biden e Donald Trump sono ben impressi nella mente degli americani che il prossimo otto novembre saranno chiamati a rinnovare il Congresso. Non era mai accaduto prima che le elezioni di metà mandato, oltre a rappresentare nella sostanza un referendum sul presidente in carica e su i suoi primi due anni nello Studio Ovale, fossero anche la consultazione non ufficiale su un ex inquilino della Casa Bianca. Dai risultati delle urne, infatti, dipenderà il destino – profondamente interconnesso – dei due nemici giurati, in vista delle presidenziali del 2024.
Donald Trump ha reclamato un ruolo di protagonista, infischiandosene dei problemi legali che lo riguardano, come le indagini dell’Fbi sui documenti classificati ritrovati nella residenza di Mar a Lago. Ma anche le audizioni della Commissione d’inchiesta della Camera sul 6 gennaio 2021, che hanno determinato il suo ruolo attivo nel fomentare l’assalto al Campidoglio. Mattoni che avrebbero istantaneamente seppellito chiunque. Non lui, che anzi ne ha addirittura tratto vantaggio, ponendosi come perseguitato politico in campagna elettorale.
Sono decine i fedelissimi di Trump candidati in queste midterm. La loro vittoria, il volano per la sua corsa alla Casa Bianca. «Nonostante le audizioni gli abbiano fatto perdere sostegno tra i repubblicani moderati, credo sia ancora il nome che il partito sceglierà nel 2024. È un’anomalia nella storia di questo Paese», dice il professor Thomas Patterson, politologo della Harvard Kennedy School. Le violenze di Capitol Hill, comunque, non avranno peso determinante, visto che, come ricorda il sito Politico, la maggioranza dei deputati che votarono contro la certificazione dei risultati del 2020 contestando la vittoria di Biden, oggi si trovano in collegi sicuri.
Il super Pac Maga Inc. ha già iniettato milioni di dollari nelle battaglie chiave per il Senato. Come l’Ohio, dove corre JD Vance, lo scrittore populista della Hillbilly Elegy, contro il democratico Tim Ryan; o la Pennsylvania, dove il medico star della tv Mehmet Oz sfida il vicegovernatore John Fetterman. Proprio qui, il candidato della destra estrema Doug Mastriano, ultra trumpiano, cercherà di guidare lo Stato battendo Josh Shapiro.
Nelle elezioni di metà mandato, si rinnovano tutti i 435 seggi della Camera e 35 su 100 al Senato. In ballo ci sono anche 36 poltrone governatoriali, numerose altre posizioni locali e referendum. Per vincere, progressisti e conservatori hanno sposato agende diametralmente opposte. In casa dem innanzitutto ambiente, controllo delle armi, difesa del diritto all’aborto e della comunità Lgbtq. Nella prima riga del taccuino repubblicano, invece, ci sono inflazione ed economia zoppicante. E poi i temi cari alla base Gop, come la lotta alla criminalità e all’immigrazione illegale, ma anche le istanze pro-life.
Tema sensibile, il fronte ucraino-russo. Se l’amministrazione democratica rafforza l’impegno, cala il numero dei conservatori graniticamente convinti che sia responsabilità americana proteggere l’Ucraina dall’invasione russa. Dalla sua piattaforma Truth Social e dai palchi elettorali, Trump indica ai suoi elettori un nuovo indirizzo: «Dobbiamo chiedere l’immediata negoziazione della fine pacifica della guerra in Ucraina o finiremo nella Terza Guerra Mondiale». La sua base lo segue, convinta che con lui al timone, la guerra non sarebbe neppure iniziata.
A giocare contro Biden, nelle prossime elezioni, non sarà solo l’inflazione e l’incubo di un conflitto nucleare, ma anche la storia. Stiamo parlando della tradizionale teoria “surge and decline”, secondo cui, spiega il politologo Patterson, «gli elettori che portano al trionfo un partito, non tornano a votare in blocco due anni dopo. Chi si è aggiudicato la Casa Bianca, poi ha sempre perso seggi alla Camera». Il professore ricorda che le eccezioni sono solo tre: «Roosevelt nel 1934, Clinton nel 1998, Bush Jr. nel 2002». In comune, una percentuale di gradimento al 60 per cento. «I presidenti intorno al 40 per cento, come Biden, hanno sempre raccolto sonore sconfitte».
Se però in primavera per il partito dell’asinello si prospettava un disastro su tutti i fronti, l’estate ha riacceso le speranze, grazie ad alcuni successi incassati. Come l’uccisione del capo di Al Qaeda, al-Zawahiri, a un anno esatto dal ritiro, molto criticato, delle truppe americane in Afghanistan e la firma dell’Inflation reduction act, che oltre a costituire il più grande investimento mai visto in materia di clima, punta anche ad abbassare i prezzi dei farmaci. Ma a mobilitare i democratici ci ha pensato soprattutto la Corte Suprema, che con tre sentenze molto controverse - su clima, armi e aborto - si è imposta come terzo protagonista di queste elezioni di metà mandato. Quando a fine giugno i saggi hanno rovesciato la sentenza Roe contro Wade, che da 50 anni garantiva il diritto federale all’interruzione di gravidanza, l’America liberal si è svegliata dal torpore ed è scesa in piazza, realizzando che i diritti non sono inviolabili e che la loro protezione passa dalle urne. E infatti quasi due milioni di americani hanno già votato per corrispondenza.
Per i democratici una débâcle sia alla Camera che al Senato, preludio di una paralisi legislativa totale, sembra scongiurata. Almeno secondo quanto sostengono esperti e sondaggisti. Il quadro più probabile è che perdano la maggioranza alla Camera (oggi di 221, mentre i repubblicani ne potrebbero conquistare fino a 242), mantenendo però il controllo del Senato. È qui che Biden potrebbe fare la storia: diventando il primo democratico dai tempi di Kennedy ad aumentare i seggi in una elezione di un midterm. Oggi alla Camera Alta la situazione è di perfetta parità tra i partiti (50 e 50) con il voto determinante della vicepresidente che sposta l’ago della bilancia. Se riuscissero ad afferrare altri due seggi, magari strappandoli al Gop in Pennsylvania e in Wisconsin (Stati diventati blu nel 2020), e se nessuno dei senatori in corsa per la rielezione si lasciasse sfilare la poltrona, arriverebbero a 52. Il numero magico con cui il partito neutralizzerebbe i due democratici conservatori - Kyrsten Sinema e Joe Manchin - che hanno ostacolato molte battaglie cruciali.
Per Biden e i suoi alleati resta fondamentale la mobilitazione al voto, in modo da limitare il più possibile il peso del «gerrymandering», la riorganizzazione ad hoc dei distretti elettorali che generalmente favorisce i repubblicani. Per riuscirci, bisogna convincere i giovani, che rappresentano una base solida per i liberali, ma sono difficili da portare alle urne. È anche per strizzare l’occhio ai millennial e alla Gen Z, oltre che per mantenere le promesse elettorali, che recentemente la Casa Bianca ha annunciato due misure: il condono dei debiti universitari (fino a 10mila dollari per chi ne guadagna meno di 125mila all’anno) e la grazia a migliaia di americani nelle carceri federali, in larga parte afroamericani, per possesso di marijuana.
«Storicamente l’affluenza è più bassa rispetto alla generazione di genitori e nonni - dice ancora Thomas Patterson - Il partito però spera che si ripeta l’affluenza del 2018. Ci sono vari motivi che inducono a pensare che i ragazzi si mobiliteranno: oltre alle già citate questioni dell’accesso all’aborto e del clima, anche quelle della giustizia sociale e dell’equità razziale».
Mehmet Oz
E proprio a loro si rivolgerà Barack Obama, affondando i piedi nei terreni di scontro più incandescenti in coda alla campagna elettorale. L’ex presidente sarà ad Atlanta, in Georgia, il 28 ottobre. Gli occhi sono puntati sulla sfida alla massima carica dello Stato, tra il governatore conservatore in carica Brian Kemp e l’afroamericana Stacey Abrams. Nel 2018 Kemp l’aveva spuntata per il rotto della cuffia. Serrata anche la lotta per un seggio al Senato. Si affrontano il senatore democratico Raphael Warnock (pastore ad Atlanta della chiesa battista di Martin Luther King) e Herschel Walker, ugualmente afroamericano, controverso ex giocatore di football appoggiato da Trump.
Obama si sposterà poi in Michigan e Wisconsin, il giorno dopo. Pochi appuntamenti per spingere i candidati in bilico; chirurgico, per evitare ogni tipo di sbavatura con l’amministrazione Biden. Il partito - rimarca la Cnn - lo avrebbe voluto più presente, invitandolo a numerosi appuntamenti, che lui ha declinato. Secondo il sito della televisione americana, infatti, sebbene la sua popolarità sia ancora molto alta, ha preferito limitare le apparizioni, certo che la sua presenza infiammi il voto repubblicano più di quanto mobiliti la base democratica.