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Perché è meglio non sottovalutare Donald Trump

La candidatura dell’ex presidente con le indagini contro di lui ancora aperte crea scenari inediti per gli Stati Uniti. E anche se molti tra finanziatori e media ora gli voltano le spalle, resta un pericolo per la dmeocrazia

«Gli Stati Uniti potrebbero incriminare per la prima volta un ex presidente e possibile front runner del partito repubblicano (se dovesse vincere le primarie). Uno scenario dieci volte più folle di quanto si possa immaginare!». Il futuro degli equilibri politici americani tracciato da Alan Rozenshtein, professore di diritto dell’Università del Minnesota, ha tinte fosche ora che Donald Trump si lancia spedito nella terza corsa alla Casa Bianca.

 

A settantasei anni, “The Donald is back!”. Due impeachment e un pulviscolo di procediementi legali a carico non sono bastati a metterlo all’angolo. «L’ultimo presidente accusato di un crimine era stato Ulysses Grant, nel 1872, arrestato per eccesso di velocità alla guida della sua carrozza», dice sardonico l’esperto, a cui chiediamo lumi per capire a cosa andranno incontro gli Usa nei prossimi due anni. Quelli in cui Trump farà campagna elettorale mentre è indagato.

 

L’annuncio della candidatura arriva martedì scorso, dalla residenza-club di Mar-a-Lago in Florida. Un’ora di discorso, in cui snocciola i successi personali e quelli dell’amministrazione, oltre alle hit migranti e criminalità. Tra la folla ci sono lealisti come Mike Lindell, patron di My Pillow, e Roger Stone. Ma a scrutarla bene, mancano tanti amici della prim’ora, pochi i membri del Congresso. Dà forfait anche Ivanka, la figlia prediletta.

 

Il vento non soffia più in poppa, pare. L’establishment del Gop è insofferente. I grandi finanziatori cambiano cavallo, dopo gli scarni risultati delle midterm, ovvero la vittoria democratica in Senato e la sconfitta di tanti candidati trumpiani. Il miliardario Stephen Schwarzman del fondo Blackstone, sosterrà la “nuova generazione” di repubblicani; lo stesso farà Kenneth Griffin di Citadel, che punta su Ron DeSantis, governatore della Florida fresco di trionfo elettorale. Anche i media di casa Murdoch, un tempo adoranti, ora traballano: tiepida Fox News, al vetriolo il New York Post. “Un uomo della Florida fa un annuncio” titola beffardo il tabloid. Mentre ribattezza DeSantis, “DeFuture”, nonostante lui non abbia ufficializzato la candidatura.

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Scaricano Trump, ma forse anche le sue guerre culturali. Sintetizza il Washington Post: «Ha alterato profondamente la vita pubblica americana, infrangendo gli standard di decoro e di civiltà». Il riferimento è agli insulti ad avversari e giornalisti, ai commenti razzisti contro minoranze e disabili, nonché alle vanterie sulle aggressioni sessuali; fino agli ammiccamenti ai suprematisti bianchi e ai rivoltosi del 6 gennaio.

 

I magistrati, intanto, alitano sul collo del tycoon. E difatti non è solo il rovello di una rivincita a nutrire l’obiettivo 2024. È la speranza che la campagna elettorale e una vittoria allentino la morsa delle rogne legali. «Si tratta di una costellazione complicata. In primis, due indagini federali sui documenti top secret trovati a Mar-a-Lago e sull’assalto al Campidoglio. Ma ci sono anche quelle statali, a New York e in Georgia», ci spiega il professor Alan Rozenshtein.

 

L’indagine sui documenti classificati era iniziata in primavera. Ad agosto, a seguito di una retata dell’Fbi nella residenza in Florida, ne furono recuperati oltre 300, tra cui 103 riservati e 18 top secret. L’altra indagine federale è quella dedicata al 6 gennaio 2021, ovvero il tentativo di sovvertire la certificazione del voto del Collegio Elettorale da parte del Congresso, dopo le elezioni presidenziali. Al setaccio non solo le istigazioni di Trump che precedettero la sanguinosa presa di Capitol Hill, ma anche le azioni dei collaboratori e le pressioni sul vicepresidente per rovesciare i risultati delle elezioni.

 

Sul fronte statale, invece, a New York la procuratrice generale Letitia James ha intentato una causa civile contro Trump e la Trump Organization. L’accusa è di aver gonfiato il patrimonio per ottenere tassi di interesse agevolati sui prestiti. In aggiunta, il procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg, accusa la compagnia di frode fiscale.

 

In Georgia, poi, si indaga sugli sforzi dell’ex presidente di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020. Nel mirino non solo le false affermazioni sui brogli, ma anche una telefonata al locale Segretario di Stato con la richiesta di trovare gli oltre undicimila voti necessari per battere Biden.

 

La candidatura di Trump alla Casa Bianca ha spinto il ministro della Giustizia Merrick Garland a nominare un procuratore speciale a capo delle indagini federali. «Non c’è conflitto di interessi», ha detto, «ma le circostanze straordinarie lo richiedono». Questo perché, oltre a Trump, anche Biden valuta la ricandidatura. Occorreva, dunque, una figura autonoma, sganciata dalla politica. Il nuovo titolare è Jack Smith, magistrato di carriera, registrato come indipendente. Negli ultimi anni ha lavorato presso la Corte dell’Aia, indagando sui crimini di guerra in Kosovo.

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L’ultima caccia alle streghe, ha tuonato l’ex inquilino della Casa Bianca. In realtà, anche la sua avversaria Hillary Clinton nel 2016, era stata indagata in corsa. L’indagine dell’Fbi sull’uso di un server privato per email governative era proseguita per tutta la durata delle primarie, chiusa poco prima della convention democratica e riaperta a undici giorni dal voto.

 

Quanto la nomina di Smith o un eventuale processo possano nuocere non è prevedibile. D’altro canto Trump è già sopravvissuto a un procuratore speciale, Robert Mueller, che aveva indagato per quasi due anni sulle interferenze del Cremlino nella campagna presidenziale del 2016. Il Russiagate aveva comprovato il ruolo di Mosca nelle elezioni, senza dare un giudizio definitivo su una possibile collusione.

 

C’è chi è pronto a scommettere che la copertura mediatica potrebbe far gioco. «Trump ritiene che una campagna attiva per una carica pubblica renderà più difficile un’incriminazione, perché esporrebbe il Ministero della Giustizia a critiche», riflette Rozenshtein.

 

L’ordinamento americano non prevede eccezioni. «Nella Costituzione, infatti, non si parla di immunità. Pertanto, dovremmo presumere che anche il presidente sia vincolato alla legge come tutti gli altri; c’è tuttavia chi sostiene che dati i poteri che la Carta gli conferisce, questi non dovrebbe essere soggetti a procedimenti penali in modo che operi efficacemente».

 

Tecnicamente, se vincesse, Trump sarebbe comunque in grado di «concedersi la grazia, cosa che probabilmente tenterà di fare», spiega ancora il professore. Potrebbe intervenire la Corte Suprema, ma in questo caso un conflitto tra Saggi e presidente provocherebbe una «crisi costituzionale senza precedenti». E aggiunge: «Non è mai successo, ma se venisse eletto mentre si trova in carcere, ad esempio, credo che la pena sarebbe sospesa per la durata della presidenza».

 

Al di là del fanta-scenario, Claire Finkelstein, docente di legge all’Università della Pennsylvania, è preoccupata per il rischio di violenze e subbugli. «Ma sarebbe sbagliato se cominciassimo a stabilire chi incriminare in base alle reazioni che ci aspettiamo da parte dei suoi sostenitori - mette in guardia - Il governo dovrà prepararsi a questa eventualità».

 

Per la professoressa la rielezione rappresenterebbe una catastrofe per la democrazia. «Mi sento rassicurata dalle midterm, in quanto i candidati che, ad esempio, negano i risultati delle elezioni, non sono andati molto bene. Questo suggerisce che il Paese potrebbe iniziare a vedere oltre questa retorica. Ma credo sia troppo presto per dirlo».

 

Anche perché il Trump che è tornato in campo continua a essere l’underdog, lo sfavorito ingombrante come nel 2016. È il ruolo in cui gioca meglio. A non tradirlo saranno i fedelissimi Maga, con cui ha mantenuto un filo diretto sul suo social Truth, dopo il bando dell’account Twitter (ora riattivato da Elon Musk). Un’umanità variegata che comprende lavoratori, gente comune della classe media, ma anche estremisti, complottisti di QAnon per cui il Messia ha ancora il volto del tycoon. Quanto vasta sia la base oggi, è ancora da capire. Il suo Pac Save America, comunque, può già contare su un tesoretto da cento milioni di dollari, capace di diffondere il verbo. Donald non è debole come molti sentenziano. O sperano.

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