Il presidente ha dichiarato “tolleranza zero” contro le mazzette e nel 2021 gli arresti sono stati oltre 627mila. Ma la “mani pulite” asiatica è anche una strategia per eliminare i rivali e ingraziarsi il popolo

19 gennaio 2022, Commissione centrale per l’ispezione disciplinare del Partito comunista cinese. Il presidente Xi Jinping ringrazia gli sforzi della commissione per combattere la corruzione nel paese e in particolare nel Partito e invita a non abbassare la guardia, anzi. «Tolleranza zero», specifica ai funzionari radunati.

 

Poco dopo escono alcune cifre che danno l’idea di quanto sia accaduto nell’ultimo anno cinese, un vero e proprio record: per aver «violato la disciplina e le leggi del Partito» nel 2021 sono stati puniti 627mila funzionari. È vero che in Cina ci sono un miliardo e 400 milioni di persone ma i numeri sono impressionanti. Nell’ultima settimana sono stati arrestati anche importanti funzionari che operavano nel settore finanziario, un altro messo sotto stretta osservazione dalla Commissione disciplinare del Partito: prima è toccato a Wang Bin, il presidente della principale compagnia di assicurazioni sulla vita China Life Insurance, posto sotto inchiesta per «sospette gravi violazioni». Poi è toccato a un pezzo da novanta, ovvero Cai Esheng, l’ex vicepresidente dell’organismo di vigilanza bancaria che si era ritirato dalle attività nel 2013. Si tratta di uno dei più importanti tra i funzionari messi agli arresti nell’ultimo periodo. Espulso dal Partito, è stato infine arrestato con l’accusa di «abuso di potere»: proprio Cai era stato incaricato della supervisione di istituzioni finanziari e società fiduciarie come ad esempio Huarong Asset, salvata dal governo lo scorso anno con un’iniezione di capitale di 6,6 milioni di dollari. L’ex presidente di Huarong Lai Xiaomin era stato condannato e giustiziato nel gennaio 2021. E prima di Cai erano stati indagati o puniti funzionari della China Development Bank, di Export-Import Bank of China e della Agricultural Development Bank of China.

 

Quando è salito al potere Xi Jinping ha fatto una promessa: «Colpiremo sia le tigri sia le mosche», indicando la volontà di muoversi - al contrario del passato - senza alcuna pietà. D’altronde, secondo Xi, la corruzione era un cancro talmente vasto da minare la stessa sopravvivenza del Partito. Nel 2013, quando Xi fu nominato presidente della Repubblica popolare (da fine 2012 era a capo del Pcc) il Partito appariva agli occhi della popolazione come un comitato d’affari intento a spartirsi l’immensa ricchezza prodotta dalla frenetica e massacrante attività dei cinesi. Xi ha scelto una strada giustizialista percependo che “fare piazza pulita” fosse una richiesta implicita da parte dei cosiddetti laobaixing, “la gente comune”. E ha funzionato, il Partito oggi è salvo ed è più che mai al centro della vita politica, economica e sociale del Paese. E Xi ha raccolto questo risultato, diventando molto popolare proprio tra la “gente comune”.

Cai E'Sheng

Nel 2013 i funzionari puniti furono 182mila, nel 2016 erano già saliti a 415mila, nel 2018 621mila. Tra questi le “tigri” furono molte, mentre l’ultima ondata del 2021 riguarda più funzionari di medio o basso livello, colpiti per lo più in funzione delle politiche di contenimento del Covid, che Pechino vuole rigide e senza errore alcuno. Oltre alle tante “mosche”, però, inesorabilmente sono state acchiappate anche delle “tigri” perché quello che la Cina si appresta ad affrontare è il suo “anno politico”, quello che precede il Ventesimo congresso del Partito.

 

Sarà il congresso che sancirà il terzo mandato di Xi Jinping, dopo che l’attuale leader ha trasformato in carta straccia la riforma costituzionale di Deng Xiaoping che imponeva un limite di due mandati per non ripetere situazioni verificatesi nel passato maoista. Xi ha fatto cambiare la costituzione, ha assunto su di sé ogni tipo di carica, ha messo il suo pensiero anche nei programmi scolastici e ora si prepara a fare piazza pulita di ogni potenziale avversario, perfino quelli che - a dire il vero - avrebbero ben poche possibilità di nuocergli.

 

Nei dieci anni al potere Xi Jinping ha modellato il Partito a sua immagine, promuovendo funzionari che lo avevano accompagnato nelle sue precedenti attività amministrative, mettendo uomini fidati all’interno degli organi di Partito più importanti e utilizzando lo strumento giudiziario per dare seguito alle sue battaglie politiche. E proprio nel giorno del suo annuncio sulla “tolleranza zero”, sulla tv nazionale veniva lanciata una serie di documentari dal titolo “Tolleranza Zero”, ovviamente, nella quale sono raccontate alcune delle più eclatanti tra le ultime epurazioni. Alcune di esse tratteggiano in modo perfetto l’utilizzo della campagna anticorruzione da parte di Xi per puntellare il proprio potere. Come nel caso delle nefandezze di uno dei più giovani vice ministri della sicurezza del paese, Sun Lijiun, condannato per corruzione e per aver formato «bande e fazioni» all’interno del Partito (accuse tra le più infamanti per un membro del Pcc). La sua condanna - all’interno di un domino di espulsioni di altri funzionari - sottolinea uno dei campi di combattimento più letali del mondo politico cinese, ovvero quello del comparto sicurezza. Un ambito di grande potere, dovuto alla quantità di informazioni raccolte e accumulate, nel quale Xi sta procedendo a una ridefinizione. Il problema è che in questo settore talvolta anche i suoi “amici” fanno una brutta fine. Sun era considerato un suo fedelissimo, era stato mandato a Wuhan dopo lo scoppio dell’epidemia per «sistemare le cose», ma evidentemente qualcosa, per lui, è andato storto.

 

Un altro esempio è uno dei casi esaminati nella quinta puntata della serie, sebbene sia necessaria una premessa: nei giorni che hanno preceduto la messa in onda, l’organo disciplinare del Partito comunista aveva rilasciato un documento nel quale si affermava che il Partito gestirà attivamente «le nuove sfide e le nuove situazioni» della campagna anticorruzione, compreso il rafforzamento delle indagini e delle punizioni per quanto riguarda la «disordinata espansione del capitale» e il monopolio di alcune piattaforme online, «giurando di spezzare», aveva scritto il Global Times, quotidiano ufficiale del Pcc in lingua inglese, «la collusione tra capitale e potere». Il riferimento è all’ultima campagna di Xi contro le piattaforme e in favore della “prosperità comune”, espressione con la quale il numero uno ha invitato i miliardari a contribuire al benessere collettivo e i colossi tecnologici cinesi a smettere di perseguire i propri fini per aumentare i profitti e rientrare nell’ambito delle necessità del paese, come ad esempio la produzione di semiconduttori.

 

E casualmente nella quinta puntata di “Tolleranza Zero” verrebbe fuori che alcune società private avrebbero effettuato «pagamenti irragionevolmente elevati» al fratello dell’ex capo del Partito di Hangzhou, la città dominata da anni da una sola azienda, Alibaba.

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In realtà il nome di Alibaba e di Jack Ma - così come di Ant, il braccio finanziario dell’azienda - non sono mai citati esplicitamente ma le indicazioni sembrano inequivocabili. Secondo il Financial Times, «Zhou Jiangyong, l’ex segretario del partito di Hangzhou - arrestato ad agosto per corruzione - avrebbe aiutato società non identificate ad acquisire terreni a buon mercato e beneficiare di politiche preferenziali dopo aver acquistato azioni di società controllate dal fratello minore, Zhou Jianyong». Secondo “Tolleranza Zero” saremmo in presenza «di uno scambio di capitali per ottenere potere». Il giovane Zhou nel 2016 ha lanciato la Youcheng United «vincendo contratti per costruire sistemi di pagamenti elettronici per la metro di Ningbo e Wenzhou». Nel 2016 suo fratello maggiore era il segretario del Partito di queste città. «Ha vinto l’affare perché io ero un funzionario del governo», dice Zhou (il fratello maggiore) nel documentario.

 

E a questo punto entra in scena Ant: l’azienda di Jack Ma avrebbe stipulato una serie di accordi con il giovane Zhou. I registri pubblici mostrano che Shanghai Yunxin Venture Capital Management Co, una sussidiaria di Ant, ha pagato 1,7 milioni di yuan (268.000 dollari) per una quota del 14,3% e un seggio nel consiglio di Youcheng United nel marzo 2019. Nel corso dell’anno, Shanghai Yunxin ha speso 1,4 milioni di yuan (221.000 dollari) per acquistare una partecipazione del 13,5% in un fornitore di servizi di pagamento della metropolitana con sede a Hangzhou di proprietà del giovane Zhou. Meno di un anno dopo il completamento dell’investimento da parte di Ant, il gruppo Fintech ha vinto un’asta per un appezzamento di terreno a Hangzhou per 5.194 yuan (819 dollari) al metro quadrato come unico offerente qualificato, benché secondo i siti web immobiliari, i prezzi medi delle case nel quartiere superino i 45.000 yuan (7.100 dollari) per metro quadrato.

 

A fine 2020 Ant vide bloccata la sua Ipo alla Borsa di Shanghai poiché non avrebbe rispettato «i requisiti di quotazione o i criteri relativi alla corretta divulgazione delle informazioni». Alibaba crollò a Wall Street e per Jack Ma cominciarono i guai con il Pcc. E ora “Tolleranza Zero” collega una questione finanziaria a fenomeni di corruzione politica. Tenendo presente che i rumors volevano Xi Jinping in persona dietro allo stop, in quanto impensierito da soci occulti della scalata di Ant, si tratta di un segno che qualcosa potrebbe accadere. E “l’anno politico” cinese sembra lo sfondo ideale per uno scandalo capace di riportare Xi ai vecchi detti tanto cari al Pcc, come ad esempio quello che invitava a “colpirne uno per educarne cento”. Figurarsi se i primi a essere colpiti sono 627mila.