Il supporto organizzato da Olena Schevchenko, presidente dell’associazione Insight, si sposta dalle piazze reali a quelle virtuali. Appelli ai paesi vicini, canali Telegram e supporti psicologici via chat. «Si ripeterà quello che è successo nel 2014 nella regione di Donetsk: cercheranno ogni attivista, lo arresteranno e poi lo metteranno in prigione»

Sono lontani i tempi di una Kiev invasa di bandiere arcobaleno per il Pride e sono altrettanto distanti i momenti in cui le associazioni Lgbt+ potevano sentirsi al sicuro. Non c’è più alcun dubbio: «È guerra, e stiamo vivendo qualcosa di folle e molto pericoloso», dice preoccupata Olena Shevchenko, storica attivista ucraina per i diritti umani, fondatrice di “Insight” e dal 2012 Co-Presidente del Consiglio Lgbt dell’Ucraina.

 

Lo scorso 20 febbraio l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha ricevuto una lettera dal rappresentante degli Stati Uniti presso l'Ufficio europeo dell’ONU Batsheba Nell Crocker secondo cui i russi avrebbero avuto un elenco di politici, giornalisti e attivisti Lgbt+. Non è mancata la smentita da parte della Russia, che ha negato di possedere liste di questo tipo. Ma Olena Shevchenko stenta a crederci: «Io ne sono convinta e penso che i russi abbiano questi elenchi. Ovviamente ne ho sentito parlare anche io ma al momento non ho nomi certi».

 

Olena racconta che questo tipo di episodi sono già accaduti in Russia e potrebbero ripetersi, qualora la situazione dovesse peggiorare: «Esistono molte organizzazioni e individui che raccolgono nomi e preparano queste liste e sono certa che ci siano gli attivisti Lgbt+».

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Secondo Olena, la priorità è riuscire a mettersi al riparo dai bombardamenti, solo dopo si potrà pensare al pericolo che un’occupazione russa comporterebbe: una forte discriminazione nei confronti della comunità Lgbt+ ucraina.

 

«Al momento stiamo cercando di raccogliere informazioni sugli attivisti sparsi in tutto il territorio ucraino» spiega, esprimendo una particolare preoccupazione nei confronti di chi si trova nelle regioni di Donetsk e Luhansk. «Dovremo poi organizzare l'evacuazione di questi attivisti verso zone più sicure del nostro paese, una volta che i bombardamenti saranno terminati».

 

Determinata a portare in salvo più gente possibile, fredda, spaventata, Olena realizza che il livello di pericolo è sicuramente più alto del solito: «Accadrà esattamente come nel 2014 nella regione di Donetsk: cercheranno ogni attivista, lo arresteranno e poi lo metteranno in prigione. La scorsa volta c'erano 200 persone nel nostro “Rifugio”, tutte fuggite dalle due repubbliche separatiste del Donbass. Loro ci hanno raccontato di quelle carceri e di quanto fossero paurose».

 

La sensazione di pericolo è molto forte, «sono giornate spaventose». Tuttavia, pur avendo la possibilità di fuggire, non ha nessuna intenzione di farlo: «Dobbiamo rimanere qui, per noi è importante continuare a sostenere i più emarginati. In questo momento a dire la verità nessun posto è sicuro».

 

In ogni caso è consapevole di avere una grande responsabilità. Ha deciso quindi di rivolgere un appello a tutte le associazioni e agli attivisti dei paesi vicini, invitandoli a scendere in piazza e a protestare contro l’invasione russa. Così facendo ha cercato di spostare, per tutelare gli attivisti ucraini, le proteste nei paesi vicini, attivando la sua rete di contatti.

 

In Ucraina invece, quell’aiuto e supporto ai più fragili che prima si poteva dare dal vivo, ora viene offerto tramite canali Telegram e con iniziative organizzate su Facebook e Instagram.

 

«Abbiamo già attivato uno sportello psicologico online in caso di crisi, e un consultorio per le persone in grado di informarle sulle misure di sicurezza» spiega Olena, e prosegue: «Stiamo pubblicando informazioni sui social network e siamo riusciti a creare in poco tempo un chat-bot”. Il profilo della chat è @Marshzhinok_bot, in questo modo gli attivisti si sono dotati di una rete momentanea, nell’attesa di un miglioramento della situazione.