La blockchain non può salvare l’Afghanistan dalla crisi, non ancora. Ma permette al denaro di entrare nel paese evitando le sanzioni degli Stati Uniti e aggirando i Talebani. «Consente il trasferimento immediato di moneta, senza necessità di intermediari, tra chi dona e chi riceve» spiega Gian Luca Comandini, imprenditore, docente universitario in blockchain, che fa parte della task force ministeriale per la transizione tecnologica. «Non si parla tanto dell’importanza delle criptovalute per l’assistenza umanitaria perché è un settore in cui gli investitori hanno poco interesse a speculare. Ma è diffuso e in grado di dare sostegno alle economie locali in difficoltà».
In un paese in cui il sistema finanziario è vicino al crollo - perché la banca centrale afghana non è in grado di mandare e ricevere denaro dagli istituti stranieri che si rifiutano di fare da intermediari, per paura di ritorsioni future da parte degli Stati Uniti - le criptovalute sono una soluzione che sempre più persone stanno utilizzando per bypassare i Talebani, evitare le sanzioni, le banche, e aiutare direttamente chi è in difficoltà. Così ha fatto, ad esempio, Fereshteh Forough, la fondatrice di Code to Ispire, una scuola di Herat pensata per insegnare alle donne la programmazione informatica e come diventare finanziariamente indipendenti. Un esperimento che si era già dimostrato di successo prima dell’arrivo dei Talebani e che Forough, che ora vive nel New Hampshire, negli Stati Uniti, ha deciso di trasformare in uno strumento di assistenza per la popolazione, inviando aiuti in moneta digitale alle studentesse e alle loro famiglie. «Abbiamo scoperto che ad Herat ci sono posti che accettano le criptovalute come forma di pagamento o che offrono in cambio denaro locale o dollari».
Come chiarisce Comandini, infatti, «i pagamenti via telefono sono molto più diffusi di quanto immaginiamo. Nel mondo ci sono più persone che hanno accesso a Facebook, e quindi hanno uno smartphone e la connessione a internet, rispetto a quelle con un conto in banca». Per pagare in criptovalute servono pochi secondi. Basta inquadrare il QR code che rappresenta l’indirizzo verso cui dovrà essere trasferito il denaro e inserire l’importo. «Anche il processo di conversione da una valuta all’altra è banale, simile a quello dei videogame. È sufficiente un’app per conservare e scambiare le monete digitali, la maggior parte delle piattaforme oggi fanno entrambe le cose». In più, non tutte le criptovalute sono così volatili come si crede. «Il bitcoin oscilla molto sul mercato perché piace, e gli speculatori comprano e vendono in continuazione. Ma esistono altre monete, le stablecoin, ancorate al valore dell’euro o del dollaro, quindi stabili, come Tether» Sono queste ad essere principalmente utilizzate nel settore dell’assistenza umanitaria, così il valore dell’aiuto offerto non varia in base alle fluttuazioni del mercato.
Grazie alle monete digitali gli afghani possono ricevere denaro in sicurezza, subito, sul telefono. Portarlo facilmente dietro, se decidono di lasciare il paese. Le transizioni digitali evitano che i contrabbandieri e gli intermediari rubino o interferiscano con gli aiuti perché «la tecnologia con cui è stata pensata la blockchain permette di tracciare tutti i passaggi della filiera umanitaria. È un registro che tiene conto di ogni procedimento che ha portato alla creazione di una criptovaluta e dei suoi trasferimenti. La mancanza di fiducia tra gli esseri umani ha fatto sì che per certificare i processi fossero necessarie delle figure super partes, i garanti, come le banche centrali per le monete tradizionali. La blockchain dà le stesse garanzie ma senza la figura di un intermediario. Con un processo decentralizzato di cui tutti siamo parte».
Ma gli aiuti umanitari in criptovalute non arrivano soltanto in Afghanistan. Sempre più organizzazioni nel mondo usano le monete digitali per sostenere le popolazioni in territori di conflitto o dopo disastri naturali. Tra queste c’è anche il World Food Programme, l'agenzia delle Nazioni Unite. Che da anni promuove Building Blocks, un progetto per fornire assistenza tramite blockchain, che aiuta più di un milione di persone tra Bangladesh e Giordania.
«La mancanza di dispositivi e connessioni è ancora un problema. Ma domani non lo sarà più. Per questo è importante dare credibilità al settore. Per il futuro. In situazioni di difficoltà, quando usare le valute digitali è l’unica alternativa possibile, molte più persone si sforzano per comprenderne il funzionamento e conquistarne l’accesso». Per questo, secondo Comandini, la blockchain è anche un incentivo allo sviluppo tecnologico.