«Finché noi resisteremo a Slovyansk, la Russia non conquisterà mai il Donbass»

Nella roccaforte gli uomini del Dnipro-1 fronteggiano i nemici. Con l’ausilio dei droni, dei sistemi forniti da Elon Musk e dei video postati sui social. «Li usiamo per scovare le postazioni nemiche: i più imbecilli sono i ceceni, li chiamiamo “i tiktokers di Allah”»

«Se vogliono prendere il Donbass, devono prima prendere Slovyansk, ma finché qui ci saremo noi il Donbass non sarà mai russo». La missione del Dnipro-1, uno dei più vecchi battaglioni volontari della guardia nazionale ucraina, si racchiude in queste parole del suo comandante Iuri Berioza, un mantra che l’ufficiale ripete dal 2014. Creare una roccaforte inespugnabile per fermare l’avanzata russa in Donbass infatti è la missione che il Dnipro-1 porta avanti dalla sua fondazione, da quando in mezzo allo sfaldamento delle forze armate ufficiali, Berioza venne messo a capo di un battaglione di volontari della regione di Dnipropetrovsk alla dipendenza diretta del ministero degli Interni. Gli uomini del Dnipro-1 si lanciarono nella celebre battaglia di Ilovaisk, e mentre l’esercito regolare fuggiva senza ordini precisi a causa della corruzione del vecchio corpo ufficiali, i volontari resistettero all’assedio dei russi. Berioza e i suoi uomini fuggirono poi in maniera rocambolesca dall’assedio e il video dell’impresa rese il comandante celebre e gli valse una carriera politica e un posto alla Rada, il Parlamento ucraino.

 

Ma dopo gli accordi di Minsk del 2015, la fine della cosiddetta Ato: l’operazione antiterroristica nell’est del Paese, e con la demilitarizzazione della regione, il battaglione Dnipro-1 finì invischiato nella lotta politica interna. A pesare sull’immagine anche la reputazione del suo finanziatore principale, l’oligarca israelo-ucraino Ihor Valerievitch Kolomoïsky, e le sue divergenze con Kiev. Anche l’esperienza da deputato di Berioza si chiuse dopo un solo mandato e il comandante finì poi anche implicato nelle conseguenze di alcune azioni disciplinari nei confronti dei suoi uomini. «Sono successe tante cose ma un nucleo di noi è sempre rimasto a Slovyansk, ci hanno presi per pazzi ma per noi la guerra con i russi qui non è mai finita», taglia secco Berioza che ha abbandonato l’abito da parlamentare per un maglia grigio verde e un cappello da pescatore.

© Alfredo Bosco

La profezia si avvera la notte del 24 febbraio con l’invasione russa su vasta scala del Paese. Questa volta però la catena di comando dell’esercito ucraino non si sfalda, gli ordini scorrono precisi e tutti sanno cosa fare. Lo sanno bene anche gli uomini del Dnipro-1 il cui scopo da 8 anni non è mai cambiato: difendere Slovyansk. Tra marzo e giugno, infatti, mentre i russi avanzavano prima su Izuym e poi Lyman i volontari iniziano a scavare la loro Fortezza Bastiani a nord della città, una rete di 10 km circa di trincee con diversi bunker anti artiglieria, dormitori interrati e un ospedale da campo. Tra gli uomini di guardia alla trincee uno porta il nome in codice “Deduska”, ovvero nonno. Deduska è nel battaglione dal 2014 e racconta di non aver mai smobilitato, «per noi è sempre stato ovvio che tutto questo sarebbe successo prima o poi».

 

Con l’inizio del nuovo conflitto ai veterani si sono aggiunte nuove leve da Dnipro come Vadym il cuoco, che fino a gennaio gestiva un ristorante a Dubai e che racconta di essere rientrato in Ucraina a metà febbraio per vedere i parenti e di essere rimasto bloccato dalla legge marziale, rimettendoci il lavoro. «Ci ho perso tanti soldi… ma proprio tanti… ma la vita è così, qui almeno a tavola si lamentano meno dei figli degli sceicchi», scherza mentre sfiletta una verza per il borsch. Ma i rinforzi che hanno fatto fare il salto di qualità al Dnipro-1 non sono né in cucina né in trincea bensì dietro le tastiere. «Ci sono in corso due grandi battaglie in Donbass», spiega Dmytro Podvorchansky, che ha gestito l’arruolamento dei giovani programmatori: «Una si gioca con l’artiglieria e l’altra con i droni». E per non perdere questa sfida una squadra di studenti di informatica ha messo in piedi la centrale operativa di sorveglianza a nord di Slovyansk.

© Alfredo Bosco

Nascosti in un capannone i ragazzi del “IT-squad”, come si fanno chiamare, hanno installato telecamere e sensori su una zona di copertura che supera i 15 chilometri quadrati. Da lì osservano «tutto ciò che vola, cammina o striscia nella nostra direzione», spiega uno dei volontari che fino a gennaio lavorava a Dnipro per una start up. L’IT squad usa dei piccoli droni DJI generalmente per compiti di ricognizione «ma con l’aggiunta di un pezzo che si stampa facilmente con una stampante 3D questi droni possono caricare fino a mezzo chilo di esplosivo», spiegano. Con le telecamere wi-fi sistemate nella foresta, invece, mostrano quanto accade sulla linea del fronte, di recente sono stati in grado di avvistare alcuni droni russi di grande dimensione, come gli Orlan, e avvisare la contraerea ucraina per favorire l’abbattimento.

 

All’inizio del conflitto però sul fronte del Donbass gli ucraini si trovarono in forte svantaggio digitale, i russi infatti erano dotati del sistema cinese di intercettazione droni AeroScope, che però «col passare dei mesi i ragazzi dell’IT squad hanno imparato a trapassare», spiega il volontario. Altro salto di qualità è stato l’arrivo di “Elon”, come lo chiamano i volontari, ovvero il cubotto nero di Starlink, il sistema di connessione satellitare ideato dal patron di Tesla: diverse unità sono state donate da Musk stesso all’esercito ucraino. Starlink ha risolto così i limiti legati all’assenza di una banda sufficientemente larga per garantire il monitoraggio e la gestione dei droni.

 

Tra i compiti dei ragazzi infine anche rastrellare i social per cercare video che possano compromettere le posizioni nemiche. «I più imbecilli sono i ceceni», racconta un ragazzo col kalashnikov poggiato sul monitor: «Qui li chiamiamo “i tiktokers di Allah”, gente che passa la giornata a farsi video mentre spara a vuoto per far vedere ai parenti che è in guerra, e se dai video si capisce la posizione, se non è troppo lontano proviamo a mandare un drone con un regalino».

© Alfredo Bosco

Chi non ha competenze informatiche o esperienze in cucina invece scava, come Viktor che dopo alcuni mesi in prima linea con l’esercito regolare si è arruolato volontario nel battaglione: «Ho posato il kalashnikov e ho preso la pala, e dio solo sa quando mi manca il kalashnikov»,, racconta a torso nudo sotto il sole mentre lavora alla seconda uscita di un bunker che ospita 8 cuccette e che è pensato specialmente per proteggere gli uomini dalle munizioni al fosforo «che i russi usano di continuo», racconta il volontario. L’artiglieria infatti è l’altra grande protagonista di questo fronte: «Fino ad aprile abbiamo avuto problemi drammatici di munizioni e di carburante per spostare i corazzati, mentre i russi erano superiori a noi in potenza di fuoco», racconta Podvorchansky. «La situazione però ora si è ribaltata, siamo dotati di artiglieria moderna con anche pezzi in arrivo dall’Europa, i nostri depositi munizioni sono pieni e lo sono anche quelli carburante, siamo pronti a resistere per mesi». A cambiare gli equilibri, infatti, l’arrivo dell’artiglieria a lungo raggio tra cui i cosiddetti Himars con cui gli ucraini hanno iniziato a martoriare depositi di carburante e la catena logistica delle truppe russe.

© Alfredo Bosco

Oltre alle postazioni scavate per l’artiglieria cingolata, larghi buchi in cui i mezzi si nascondono per poi scappare subito dopo aver sparato il colpo, la piccola fortezza ha più linee di fuoco e postazioni di difesa, separate da intervalli di spazio. «I russi mandano avanti i loro uomini a ondate come bestie al macello», spiega Deduska: «Con più linee di difesa si contiene l’assalto, con 50 di noi riesci a respingere un assalto di 500 persone». «È questione di settimane se non di giorni ma l’assalto su Slovyansk arriverà e noi dobbiamo farci trovare pronti», gli fa eco Viktor. Se Slovyansk dovesse cedere, non solo l’intera regione potrebbe vacillare, ma sarebbe anche una vittoria simbolica per Mosca, la città infatti fu la prima ad essere presa dai separatisti nel 2014 decretando l’inizio del conflitto che si combatte ancora oggi.

 

In attesa della battaglia, il Dnipro-1 si occupa anche della gestione dei checkpoint all’ingresso ed all’uscita della città, un modo di controllare anche la popolazione locale con cui il rapporto ultimamente «è complicato», racconta Viktor. «C’è un decreto del governo che chiede l’evacuazione e alcuni invece di andare via addirittura tornano», spiega il soldato: «Di oltre 100 mila abitanti a Slovyansk ne sono rimasti circa 20 mila, molti di questi sono pensionati disperati, ma tra questi si nasconde anche qualche traditore». In città rimangono due mercati aperti e diversi negozi si rifiutano di chiudere nonostante l’evacuazione, «hanno tagliato il gas, appena arriva l’inverno vedrai che scapperanno tutti a ovest», sbuffa Deduska col volto nascosto da un cannocchiale: «Qui rimarremo solo noi e i russi a spararci in mezzo alla neve, meglio così, l’inverno gioca dalla nostra parte, l’inverno aiuta sempre chi si difende e questo i russi dovrebbero saperlo bene».

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