Il caso di Cesare Geronzi ha aperto un utile (almeno si spera) dibattito sulla cosiddetta governance duale delle società da poco introdotta anche in Italia. Il banchiere romano, non pago di essere stato nominato presidente sia del patto di sindacato sia del consiglio di sorveglianza di Mediobanca perfino a dispetto delle sue disavventure giudiziarie, avrebbe voluto partecipare pure alle sedute del consiglio di gestione della stessa azienda. Un'ambizione che deve essere sembrata esorbitante al governatore di Bankitalia tanto che, nella sua qualità di vigilante sul sistema creditizio, ha precluso tale possibilità al fine di scongiurare una preoccupante commistione di ruoli e di responsabilità fra i due collegi di guida dell'istituto.
A stretto giro di posta con l'iniziativa di Mario Draghi è sceso in campo anche il presidente della Consob, Lamberto Cardia. Il quale ha posto al centro della sua relazione annuale proprio l'esigenza di correttivi all'attuale disciplina del sistema dualistico, sottolineando che nelle prime applicazioni pratiche di tale regime "la distinzione tra funzioni di gestione e di controllo e tra le rispettive responsabilità non è sempre chiara". Giudizi ai quali Cardia ha fatto seguire anche forti rilievi critici sulla moltiplicazione di poltrone (e prebende) conseguenti all'utilizzo del nuovo modello di governance.
Ce n'è abbastanza per chiedersi se sia stato davvero un bene introdurre tale riforma nel nostro ordinamento. Forse, in via teorica, può anche suonare attraente l'idea che una società sia amministrata da un vertice bicefalo: con un consiglio formato dai manager operativi che opera sotto la sorveglianza di un collegio rappresentativo degli azionisti. Ma sul piano pratico? Nelle sue (finora poche) versioni italiane questa novità ha avuto effetti positivi solo nel senso che ha reso disponibile un più elevato numero di poltrone, così aiutando a superare quello che rimane il principale ostacolo ad operazioni di concentrazione o fusione fra società: la contesa sui posti di comando.
Sarebbero state così facili, per esempio, le nozze fra Intesa e Sanpaolo se il numeroso parentado di vertice dei due istituti non avesse potuto spartirsi ruoli e seggi in quantità fra consiglio di sorveglianza e consiglio di gestione? E ancora: il riassetto di Mediobanca, conseguente al suddetto matrimonio, sarebbe andato altrettanto liscio se non ci fosse stata la medesima opportunità di moltiplicare i posti a disposizione fra così tanti contendenti? Interrogativi retorici che postulano, però, un'ulteriore domanda: è giusto e accettabile che i pesanti costi economici di un simile incentivo alle ristrutturazioni societarie siano alla fine scaricati sull'intera platea degli azionisti?
È antica e irrisolta questione quella dei robusti compensi che i vertici delle società per azioni si assegnano sovente fuori di ogni reale possibilità di controllo da parte degli azionisti minori. Il ricorso alla governance duale rischia di esasperare i termini di un problema non marginale per la credibilità del sistema. Iniziative in materia da parte di Draghi e di Cardia appaiono tanto necessarie quanto urgenti.