La biografia del grande reporter divide la Polonia. Che non può vivere senza miti

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E appena apparsa in Polonia una biografia di Ryszard Kapuscinski. Il suo autore è Artur Domoslawski, e il testo ha il titolo di 'Kapuscinski non-fiction'. Il libro ha 600 pagine e illustra in maniera esaustiva la vita e l'opera di questo reporter polacco di fama mondiale. È scritto in modo onesto e ben documentato. Anche l'autore è un giornalista, specializzato in America Latina, ed è stato amico di Kapuscinski, che considerava addirittura suo maestro. Sembrerebbe una cosa normale: è morto un uomo importante, benemerito per il giornalismo mondiale, la sua vita era interessante perché così lui ha voluto che fosse, ma anche perché era vissuto in tempi interessanti ed era stato in luoghi interessanti; dunque si scrive su di lui un buon libro.

Forse sarebbe potuta andare così, ma non nel paese lungo la Vistola. Qui molto tempo prima che il libro apparisse si sono alzate voci di protesta e di scandalo. È iniziato tutto dalla richiesta dell'editore cattolico Znak, che aveva commissionato il libro, di eliminare i frammenti riguardanti la vita privata e i coinvolgimenti politici di Kapuscinski. Domoslawski non ha accettato e si è trovato un altro editore. La vedova di Kapuscinski ha tentato di bloccarne la pubblicazione per vie legali. È iniziata una vera e propria campagna contro lo scrittore. Lo hanno chiamato 'iena' e 'autore di guide per bordelli'. Figure eminenti della vita politica, autorità morali, persino un vescovo, hanno esibito la propria indignazione, alcuni con orgoglio idiota, sottolineando di non aver letto il libro e di non volerlo fare. Da un paio di settimane questo tema domina le pagine culturali dei giornali e riscalda al calor bianco i forum di Internet. Il Paese è diviso, gli amici si saltano agli occhi, la prima edizione di 45 mila copie è scomparsa dalle librerie nel giro di pochi giorni.

Cosa mai è successo nel Paese lungo la Vistola? Che cosa mai è riuscita a smuovere la biografia di un reporter di cui per decenni la Polonia non si è neanche interessata in maniera particolare, dato che descriveva altri paesi, altri continenti? Forse che noi quaggiù ci siamo mai occupati con tanto fervore delle sorti dell'Africa o del futuro dell'America Latina? Ci stava così a cuore la situazione degli esclusi, dei poveri e dei reietti negli angoli più dimenticati del mondo? E perché mai dunque abbiamo reagito in maniera così profonda, e per alcuni così dolorosa, al racconto sulla vita dello scrittore che aveva descritto con grande empatia proprio quegli angoli e quei reietti?

Purtroppo qui non si tratta di Africa, si tratta di noi. Nel Paese della Vistola abbiamo trasformato Ryszard Kapuscinski in una specie di idolo. Era diventato l'icona del successo mondiale. Curava i complessi nazionali, che da noi sono come la sabbia del mare. Di un eccezionale reporter, di un eccellente scrittore abbiamo fatto un santo della pop-cultura nazionale. In questa bizzarra classifica di autoesaltazione tribale Kapuscinski era situato solo pochi punti al di sotto del 'papa polacco'. 'L'imperatore del reportage', 'il reporter del secolo', 'il Maestro': di solito così se ne scriveva, così gli si rivolgeva la parola. Da anni era candidato certo al 'Nobel polacco' e quando questo Nobel ripetutamente non gli veniva attribuito ci sentivamo non solo delusi, ma addirittura ingannati. Perché così è fatto il mio Paese sulla Vistola: è affamato di successo internazionale, di riconoscimento internazionale, di lodi internazionali. E quando qualcuno questo successo lo raggiunge, per un qualche stravagante motivo sentiamo che è un successo di tutti noi, di tutta la nazione. È inspiegabilmente semplice e indolore il modo in cui ci innalziamo degli idoli a cui tributiamo poi onori divini, senza accorgerci che stiamo adorando noi stessi.

E poi arriva il libro di Artur Domoslawski, in cui invece di un'adorazione balorda troviamo l'immagine affascinante di un uomo vivo e pieno di contraddizioni, ed ecco che questo si trasforma in un'offesa per metà della popolazione, per le autorità morali, per i vescovi, Dio solo sa per chi altri, e certamente per coloro che non hanno mai letto non solo Domoslawski, ma neanche Kapuscinski. Una persona intelligente ha scritto che il libro di Domoslawski ha riportato Kapuscinski in vita. Ma molti pensano esattamente il contrario e che possiamo vivere solo se coltiviamo su di noi miti belli e immacolati. Come se la vita vera avesse in sé una forza distruttrice.

Non è però escluso che a guidarci in ciò sia anche l'istinto di sopravvivenza. In fondo bisogna ammettere che, oltre a fabbricare cose indispensabili, lo sforzo del mondo si è concentrato anzitutto nella produzione di immagini, nella creazione di finzioni multicolori e mobili, ora anche tridimensionali, che debbono difenderci dalla realtà. Dunque scegliendo l'irreale probabilmente stiamo optando per il futuro.