A Scutari il museo delle 150 mila immagini del più famoso fotografo dei Balcani

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Pietro Marubbi era pittore ed era italiano. Diventò fotografo e diventò albanese. Membro dell'insurrezione garibaldina, dopo la sua sconfitta per fuggire alle repressioni attraversò l'Adriatico e andò ad abitare a Scutari. Cambiò il nome in Pjetër Marubbi e fondò quella che è stata forse la più celebre dinastia di fotografi dei Balcani. Adottò Kela Kodheli, che ne assunse il nome e continuò l'opera di Pjetër. Fu fotografo anche il figlio di Kela, Gegë. Ha lasciato in eredità 150 mila fotografie scattate negli anni 1858-1950.

Ne scrivo perché ero a Scutari due settimane fa e ho rintracciato il museo dei Marubbi. Si trova in un vecchio edificio del centro, ma è difficile trovarlo perché lo coprono i casermoni comunisti ed è utile interrogare i tassisti che hanno il loro posteggio nei dintorni. All'interno, delle 150 mila foto non ne sono esposte più di 30. I guardiani erano visibilmente irritati del nostro arrivo. Una donna non faceva che ripeterci 'duo euro' e a nessun costo voleva accettare denaro albanese. Poi ci si mise alle spalle come fossimo dei ladri.

La sera in uno dei negozi di libri usati di Scutari riuscii ad acquistare due album con le foto dell'albanese italiano. Marubbi era un artista e un visionario. Arrivò in un paese in cui nessuno sapeva fotografare. In un paese del quale in genere si sapeva assai poco. L'Albania viveva immersa nel passato, nel suo medioevo tribale e ottomano al tempo stesso. Giunto dall'Italia, doveva sembrargli di provenire da un futuro lontano; era inoltre equipaggiato con la tecnologia più moderna. Poi gli è bastato piazzare la modernità di fronte all'antico e calcolare con precisione i parametri della luce e del tempo. Sulle lastre di vetro coperte da legamenti d'argento apparivano figure per le quali sarebbe stata più adatta la pittura, una sua variante rinascimentale. Ma in Albania non vi fu pittura rinascimentale, e ci fu invece Pietro Marubbi.

Come sono belle queste figure della fine del XIX secolo! Gli uomini negli abiti tradizionali ricamati d'oro e d'argento, carichi di armi, hanno infilate nelle cinture smisurate pistole settecentesche a pietra focaia, arcaici revolver a cartucce incrostati di madreperla, pugnali, caricatori per le munizioni di fucili dal carico possente. Tutto ciò è infinitamente maschile, pieno di orgoglio combattivo, addirittura - e sia pure - di boria sciovinistica, ma è al tempo stesso stilizzato, dandistico, metrosessuale. Come se questi montanari, prima di mettersi davanti all'obiettivo, avessero passato lunghe ore davanti a uno specchio nel guardaroba. Perché oltre a fucili, a stiletti, oltre a tutta quella ferraglia guerresca indossano gonne bianche, pieghettate, a più strati, a balze, fino a metà polpaccio - un elemento tradizionale del loro costume. Sembrano ballerine baffute.

Le donne albanesi del tempo hanno meno grazia. Ovviamente sono ricoperte di bigiotteria, di monete d'oro e d'argento, di catenine. I mariti non lesinano loro anelli, braccialetti, orecchini, non risparmiano sul damasco e sul marocchino, ma tutto questo sfarzo sembra avere piuttosto la funzione di mettere in mostra la ricchezza di colui che ha pagato che non la bellezza femminile. La femminilità è nascosta, intabarrata, imbacuccata, imprigionata. Le donne assomigliano a fagotti privi di sesso. Gli uomini invece - benché si atteggino a severi, un po' selvaggi, battaglieri - fanno un'impressione decisamente civettuola.

Nelle foto di Marubbi si vede come nasce la realtà dei media. Le fotografie fanno ancora parte del mondo della pittura, ma già preannunciano una nuova epoca. Le figure sono in posa, serie, consce della situazione eccezionale costituita dalla creazione di un'immagine. In quei tempi, peraltro, erano solo i più ricchi a poterselo permettere. D'altra parte però si vede già il gioco palese con lo spettatore. Molti di questi 'montanari selvaggi' armati fino ai denti e vestiti con sfarzo orientale non sono altro che ragazzi di città con indosso un costume. Tutti i giorni vestono abiti occidentali, frequentano le scuole di Scutari e imparano il francese. Lo testimoniano i visi e le mani delicate.

Quelli invece che sono veramente scesi dalle montagne per farsi fotografare, per la prima volta in vita loro, coi fucili antichi e le mogli riccamente addobbate, sono stati collocati all'interno delle scenografie artificiali dell'atelier. Baffuti, dai volti simili a minerali, tanto sono essiccati dal vento e dal sole, siedono sullo sfondo di montagne dipinte, fra pietre disposte in bell'ordine e rami potati. E dunque Garibaldi dovette fuggire da Tangeri fino in America, perché Pietro Marubbi potesse finire in Albania e mettere il più recente ritrovato europeo di fronte a ciò che in Europa vi era di più antico. Il Museo si trova in via Muhamet Gjollesha. Chiedete ai tassisti.