Se Hitler avesse vinto la guerra, forse la cultura del Paese sarebbe stata europea. È una tesi ardita. Ma dà l'idea dello sconforto

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Un mio amico, lo scrittore ucraino Taras ProchaÊo, ha formulato in un suo libro una tesi abbastanza rischiosa. Ha scritto che, se i tedeschi avessero vinto l'ultima guerra, l'Ucraina si troverebbe ora nella cerchia della cultura europea. Questa idea ha da subito suscitato in me una profonda avversione. Capivo ovviamente che, durante la Seconda guerra mondiale, Polonia e Ucraina si trovavano in situazioni ben diverse. Hitler a modo suo corteggiava gli ucraini, illudendoli con una sorta di rudimentale autonomia (in ogni caso, questo era quanto sembrava agli ucraini), diede vita a unità di SS ucraine, a svariate formazioni ausiliarie e di polizia.
La Polonia era invece semplicemente occupata in maniera crudele e, secondo i piani dei nazisti, i polacchi sarebbero stati trasformati in schiavi. È stato in Polonia che i tedeschi hanno costruito le fabbriche di morte, perché ritenevano che questa terra non meritasse nulla di meglio e che avrebbe assorbito qualsiasi quantità di corpi e di ceneri. La Polonia sembrava loro il posto adatto per scavarvi una delle più grandi tombe della storia dell'umanità. Ovviamente il mio amico e insigne scrittore ucraino lo sa molto bene. Sono però la storia, e il luogo in cui ne facciamo esperienza, a darci forma in modo definitivo.

Il caso ha voluto che leggessi il libro di ProchaÊo attraversando l'Ucraina. Per dieci giorni non aveva fatto altro che piovere, era difficile aprire la tenda e dormivo in alberghetti di provincia. Andavo verso sud-est, lungo la valle del Dnestr fino a Chocim, dove 300 anni fa correva la frontiera polacco-turca. Per dieci giorni ho viaggiato attraverso un Paese di straordinaria bellezza. Su alture ondulate si intersecano le profonde forre dei fiumi. La steppa di un tempo, trasformata in campi arati, è tuttora ampia e potente. L'orizzonte sembra magnetico, è impossibile distogliere lo sguardo. Sulle pareti dei burroni scavati dal Dnestr, dal Prut, dal Seret si svelano strati geologici di centinaia di migliaia, di milioni di anni. Sulle colline, nelle pianure si celano villaggi sonnolenti. Nel mezzo di giardini di ciliegi e di meli stanno casupole dai muri bianchi e dalle finestre azzurre. La vegetazione è così rigogliosa da far sembrare verde persino l'aria. La valle del Dnestr è forse la regione più fertile dell'intero continente.
Ma basta lasciare la campagna, allontanarsi da quel paesaggio quasi bucolico, per scorgere le tracce dell'apocalisse. Basta entrare in una città qualsiasi per avvertire che qui aveva avuto luogo un esperimento su scala altrove ignota. I simboli materiali della caduta del comunismo sono il cemento che si sbriciola, il ferro arrugginito, l'erbaccia che cresce nelle crepe dell'asfalto spaccato. Da Varsavia fino a Ulan-Bator. Lo spazio, i grandi spazi, le piazze, le arterie, i quartieri industriali: tutto ricoperto di cemento grigio. Questo sarebbe stato l'aspetto della nuova civiltà: il cemento in un solo attimo, in un unico sforzo di modernizzazione avrebbe dovuto seppellire tutto ciò che è antico, passato, superfluo. L'intera, e ormai trascorsa, varietà del mondo. Nel caso ucraino, oltre al cemento uno strumento fu anche la fame, grazie alla quale Stalin soppresse alcuni milioni di contadini, superflui per i suoi progetti. Scheletri di case senza finestre punteggiano il paesaggio, enormi piazze in piccoli villaggi stanno quasi deserte, enormi rotonde e incroci in campo aperto attendono la marcia di eserciti inesistenti. Sembra un paesaggio dopo lo sterminio - e lo sterminio vi è veramente avvenuto. Il vecchio è stato distrutto, nulla di nuovo lo ha sostituito. Ruderi, resti, rimasugli dell'utopia ricoprono il presente. A volte sembra che questo stato di peculiare letargo debba durare in eterno. L'Ucraina sembra sprofondare in un sonno angoscioso.

Per questo non condivido l'idea del mio amico, ma ne comprendo la disperazione e lo sconforto. Esistono dei paesi su cui semplicemente grava una maledizione. Sono lo zimbello della sorte, della storia, della follia degli ideologi. Ricevono in eredità asfalto pieno di crepe, erbacce, rottami di ferro e la memoria di quando degli esseri umani per la fame hanno divorato altri esseri umani. E allora può veramente sembrare che addirittura un patto con il diavolo, stretto al tempo adeguato, sarebbe stato meglio. È bene rammentare questi paesi dal nostro lato della frontiera dell'Europa. Almeno perché la loro amarezza è tanto maggiore quanto più grande il nostro successo.