Giorno dopo giorno è Napolitano a richiamare le forze politiche al senso di responsabilità e a spingerle a fare almeno una cosa, una legge elettorale che dia al Paese ciò che oggi non ha: una maggioranza e un'opposizione. Ma nessuno lo ascolta
di Bruno Manfellotto
26 luglio 2013
image/jpg_2133402.jpgA lla fine, nel pieno della bagarre kazaka, per evitare il peggio e partire tranquillo per due settimane di riposo in Val Fiscalina, Giorgio Napolitano è dovuto intervenire ancora una volta. Gioved' 18 luglio ha trasformato la rituale cerimonia del ventaglio nell'ennesima esternazione con la quale ha messo in guardia i nemici del governo Letta da avventure e colpi di mano, cosa che ha fatto storcere il naso ai nemici delle larghe intese e a chi paventa forme striscianti di neopresidenzialismo. Ancora larghe intese, dunque. Già, ma a che prezzo?
Il primo e più importante in fondo lo sta pagando in fondo lo stesso Napolitano. Che si è accollato il peso non indifferente di un secondo mandato e si spende quotidianamente per tenere in piedi un governo ancora più "strano" del gabinetto tecnico di Mario Monti. Nella convinzione, fondata, che non esista oggi in Parlamento una maggioranza alternativa a quella Letta-Alfano e che anche sciogliendo le Camere e andando a votare – ipotesi che per ora il Capo dello Stato non prende nemmeno in considerazione – le cose non cambierebbero, anzi ne risulterebbe un panorama politico ancora più frammentato e confuso. Scenario preoccupante. Perfino inquietante se si guarda al pericolo sottovalutato o rimosso: un'economia in piena recessione che, ripete Napolitano, non può permettersi vuoti di potere.
Al senso di responsabilità del Presidente – i cui atti sembrano andare perfino al di là delle sue più intime convinzioni – non fa però eco un'altrettanto convinta prova di maturità da parte delle forze politiche. Anzi. Di strappo in strappo, dunque, è messa a dura prova la figura stessa di Napolitano, continuamente costretto a rattoppare una tela sfilacciata. Alla crisi politica e a quella economica rischia di assommarsene ora anche una istituzionale. Ne è plastico esempio l'imbarazzante vicenda kazaka che offre lo spettacolo di un apparato statale che brilla per inefficienza, incomunicabilità con il governo e con la politica, sottomissione a poteri locali e internazionali.
Eppur bisogna andar. Governo blindato? E per quanto tempo? Finora il grosso dell'attività di governo - se si esclude il lungo lavorìo diplomatico sui tavoli europei - se ne va ormai non per "fare", ma per mediare, cioè per accordarsi su compromessi o su rinvii (Imu, Iva, omofobia, anticorruzione) che consentano al governo Letta di durare ancora un po'. Probabilmente l'atto di grande responsabilità di Napolitano ha come obiettivo minimo essenziale quello di una riforma elettorale, o almeno la resurrezione del Mattarellum, insomma la garanzia di un meccanisnmo in grado di dare comunque una maggioranza capace di eleggere un nuovo Capo dello Stato e poi dar vita a un governo. Ci vorrebbe l'impegno di tutti. E invece, irresponsabilmente, nessuno lo ascolta.
P.s. Sabato scorso Giuliano Ferrara ha dedicato la sua attenzione all'ultima copertina dell'"Espresso" accusandoci, con la consueta puntuta acutezza, di "laica inquisizione". Ma come, ha scritto l'Elefantino, il libertario "Espresso" che invoca il rinnovamento della Chiesa scavando nelle abitudini sessuali di un monsignore? Troppo facile. Ferrara sa bene che se abbiamo indagato sulla "lobby gay" è solo perché a denunciarne l'invasiva presenza nelle stanze del potere vaticano era stato papa Francesco, forse pensando proprio al caso Ior. E che lo scandalo, com'è ovvio e come abbiamo scritto, non sta certo nelle abitudini sessuali del monsignore, ma nelle programmate omertà sul caso riservate al pontefice alla vigilia di una nomina importante.
Poi però, due giorni dopo, nel suo reader's digest del lunedì, "il Foglio" stesso ha riprodotto integralmente il pezzo di Sandro Magister uscito sull'"Espresso" e lo ha titolato: "Il passato imbarazzante di monsignor Ricca: che fosse gay lo sapevano tutti tranne il Papa". Appunto. Arrigo Benedetti pregava i suoi redattori di «fare più giornalismo e meno ideologia». Ecco, a noi il "Foglio" piace moltissimo quando fa, e bene, intelligente giornalismo.