Goffredo Bettini, ?ras del Pd romano, oggi sostiene di ?non aver nulla ?a che fare con ?il controverso sindaco della capitale. E invece ?fu proprio lui ?a proporre la candidatura. E (fino a pochi mesi fa) a difenderlo

La sapete l’ultima? Goffredo Bettini Rocchi Camerata Passionei Mazzoleni, ras del Pd romano, l’uomo che appena l’anno scorso sponsorizzò Ignazio Marino a sindaco di Roma spupazzandolo per quartieri e salotti (televisivi e non) come neppure Raffaele Pisu con Provolino e Josè Luis Moreno con il corvo Rockfeller, rivela che lui con Marino sindaco non c’entra.

Poteva dirlo prima, per esempio durante la campagna elettorale 2013 o la sera del trionfo dell’allegro chirurgo al ballottaggio su Gianni Alemanno. Invece ha atteso il 17 novembre 2014, nel pieno delle polemiche per la Panda del sindaco in divieto di sosta e altri disastri. «Non io - ha svelato su Facebook - ma il gruppo dirigente nazionale chiese a Marino di candidarsi». Lui si limitò ad «appoggiare questa indicazione». Peccato che nessuno se ne fosse accorto, anzi tutti avessero pensato, detto e scritto l’esatto contrario, senza che lui mandasse mai due righe di smentita.

La diceria di una sua particolare predilezione per il medico genovese, portato in Senato da D’Alema nel 2006, era nata nel 2009, quando il prode Goffredo lo candidò per la prima volta a qualcosa: nella fattispecie a segretario del Pd, come “terzo uomo” alle primarie contro Franceschini e Bersani: «Marino sarebbe un candidato di altissimo livello per un rinnovamento di sostanza» (26.6.2009). L’Ignazio accettò e ringraziò Bettini «per tutto il sostegno che fin dall’inizio ha dato alla mia candidatura», ma soprattutto-poveretto - per la “riconosciuta coerenza” (7.7.09). Al primo turno arrivò terzo su tre, ma Bettini lo prese per un trionfo: «La soglia del 5% è ormai acquisita: corriamo per vincere e, se non dovessimo farcela saremo comunque determinanti». Anche alle primarie, naturalmente, Marino arrivò terzo e non fu determinante. Ma Goffredone aveva già pronta per lui un’altra candidatura: «Se Ignazio fosse disponibile a correre alle primarie per la presidenza della Regione Lazio, sarei contentissimo» (26.10.09).

Poi non se ne fece nulla: toccò alla Bonino e vinse la Polverini. Che però cadde anzitempo nel 2012 sul caso Fiorito e costrinse Nicola Zingaretti, candidato a sindaco di Roma, a spostarsi sulla Regione liberando la casella del Campidoglio. Solite primarie e solito Bettini. Che prima minacciò di candidarsi contro Sassoli e Gentiloni, poi ritirò la minaccia per lanciare chi? L’allegro chirurgo: «Marino è uno straordinario senatore». Anzi, di più: «Lo vedo come un Argan della scienza, un candidato che si stacca dagli altri. Capisco che gli altri hanno difficoltà a rapportarsi con lui, ma la forza di Marino è la sua irregolarità e la sua libertà. Essendo medico, sa avere un rapporto umile con le persone e inchinarsi davanti al dolore singolo. Dobbiamo ridare libertà e leggerezza a Roma, quest’organismo malato, chiuso in questi anni nella camicia di forza messa da Alemanno. Queste cose possono essere fatte e saranno fatte da Marino» (13.5.13). Nessuno poteva sospettare che Bettini preferisse un partitocrate tipo Enrico Gasbarra, come rivela oggi a distanza di sicurezza. Anzi, era proprio l’estraneità di Marino all’apparato a mandarlo in estasi: «È percepito non come esponente di uno schieramento, ma come candidato civico: è la sua carta vincente per rappresentare un elettorato più ampio, quel 70% che vuole il cambiamento, a partire da chi vota M5S» (28.5.13).

E così fu. Marino entrò trionfalmente in Campidoglio a bordo di Bettini. Il quale ancora un anno fa difese il sindaco chirurgo dalle prime imboscate del Pd e del centrodestra: «Contro Marino è in atto un tentativo di delegittimazione, anche personale, molto violenta. È evidente la strumentalità di questi attacchi: si vuole colpire la sua politica innovatrice» (28-11-13). A marzo “l’Espresso” raccolse una voce: Bettini confidava agli amici che «Marino è stato uno dei miei più grandi errori». Marino però non lo sapeva, tant’è che a maggio fece campagna elettorale per mandarlo al Parlamento europeo. Missione compiuta. Solo a quel punto l’eurodeputato Bettini ha ufficializzato che Ignazio era stato un grande errore. Non suo, però: degli altri. E, sul loro petto, ha fatto mea culpa.