L’immagine della redazione di Charlie Hebdo ci mostra quanto costa difendere i valori su cui si fonda l’Occidente

Il prezzo della libertà. È la morte che ti raggiunge violenta alla tua scrivania, davanti al computer. Libertà di pensare, di scrivere, di criticare, di dissacrare. Libertà, insomma, senza paura. Quella che noi cittadini europei - italiani, francesi, tedeschi, greci… - abbiamo costruito nei secoli attraverso un percorso faticoso e accidentato, culminato nel Novecento dei totalitarismi e infine in una democrazia apparentemente conquistata per sempre.

È alto, insopportabile il prezzo della libertà pagato in Francia per il numero di vite umane innocenti cadute per mano del fanatismo fondamentalista. Lo testimonia la foto pubblicata sulla copertina di questo numero. È stata scattata all’interno della redazione di “Charlie Hebdo”. Un’immagine di sconvolgente semplicità. Sangue versato per un’idea che va oltre il valore stesso di ogni singola vignetta satirica. Il settimanale parigino è oggi una bandiera contro il terrorismo oscurantista. È il condensato di quel coraggio anticonformista di cui a volte noi stessi in Europa abbiamo paura. Per opportunismo, per quieto vivere, per interesse, per distrazione.

Questa foto di cronaca, datata mercoledì 7 gennaio 2015, è sembrata a noi de “l’Espresso” una sorta di manifesto da dedicare alla libertà di espressione. La testimonianza di un martirio non cercato. Tutt’altro. Un luogo di lavoro dove giornalisti e intellettuali si riuniscono per dare senso alla loro esuberante creatività. A differenza di altre scene - cui purtroppo ci siamo assuefatti negli anni - l’immagine non appartiene a quei video propagandistici diffusi da Al Qaeda o dall’autoproclamato Stato islamico per riaffermare la loro potenza intimidatrice. È stata realizzata dalla polizia scientifica di Parigi. Prima di proporla al pubblico dei lettori, ci siamo a lungo interrogati in redazione sull’uso da farne. Infine abbiamo scelto di condividerla con voi, a rischio di urtare la sensibilità di alcuni. Ma quel che scandalizza oltremodo è la banalità del male: non c’è nulla di eroico nel fare irruzione in un ufficio, nello stroncare la vita di chi è intento al suo lavoro al computer. Sparsi sul tavolo un libro, una penna, qualche bottiglietta d’acqua; oggetti che nella quotidianità sono comuni a ciascuno di noi. Persino un portapacchi, forse usato per spostare pile di giornali. E quella chiazza di sangue. Ci potevo essere io; poteva capitarci chiunque, sembra suggerire la foto nella sua, a prima vista, apparente neutralità.

La ferita di Parigi non si sanerà. I servizi segreti di tutti i paesi occidentali temono altre azioni e hanno stilato una lista di quasi 800 nomi di jihadisti da tenere sotto controllo (servizio a pag. 34). Deboli le frontiere, specie quelle italiane soggette allo sbarco dei disperati. Il turbamento emotivo di queste settimane ha aperto un dibattito convulso, a tratti confuso. È fuori discussione la necessità di garantire controlli e sicurezza. Come farlo, però, è difficile da individuare. Chi propone soluzioni apparentemente semplici, tende a imbrogliare le carte. Per esempio, l’ipotizzata limitazione della libera circolazione dei cittadini europei, sancita dal trattato di Schengen, farebbe aumentare i controlli futuri, ma non avrebbe evitato le stragi parigine: il gruppo terrorista aveva regolari documenti francesi.

È il paradosso di questa tragedia: odiano l’Europa persone che in questo continente sono cresciute o sono state accolte. Come appare incomprensibile il motivo che spinge altri europei a volare in Medio Oriente per combattere con i massacratori delle milizie islamiche. Casi isolati, certo, ma non meno inquietanti. Attraverso i quali risaltano i valori del nostro vecchio, malandato continente.

Punta la prua della tua nave dove tramonta il sole perché lì è Occidente, con questa missione venivano istruiti i coloni che più di 2500 anni fa realizzarono la civiltà della Magna Grecia. Più o meno battevano le stesse rotte affrontate di questi tempi dalle tante navi cariche di disperati in cerca di fortuna. La loro meta è l’Occidente con i suoi stili di vita, le sue opportunità, le sue agiatezze, la sua cultura e le sue libertà. Di questo insieme di valori dobbiamo mantenere orgogliosa consapevolezza per difenderli con forza e determinazione, con la passione con cui ne scrivono Bernard Guetta (pag. 44) e Eugenio Scalfari (pag. 146). La lunga crisi economica sta logorando pericolosamente il rapporto tra i cittadini e le istituzioni rappresentative in tutti i principali paesi dell’Unione. Siamo obbligati a sperare davvero in una nuova Europa. Che non abbia a cuore solo i parametri, i regolamenti e le politiche di austerità. Ma che sappia mettere insieme la sicurezza, la difesa, lo sviluppo economico, le politiche fiscali. E innanzitutto la cultura. Un’Europa gioiosamente laica, del tutto diversa dal cupo integralismo dei califfati fuori dalla storia. Occorrono fatti, però. Abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini della marcia di Parigi: i leader europei sotto braccio stretti l’uno all’altro. Il cammino è solo all’inizio.

Twitter@VicinanzaL

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